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Il digitale conquista la banca, ma l'utente cerca aiuto per sciogliere la complessità

I pagamenti digitali sono ormai entrati nell'esperienza quotidiana di tutti, ma i servizi più strutturati coinvolgono ancora una sparuta minoranza. Già in passato proprio la semplicità, l'efficienza, la trasparenza, la relazione sono state le leve sulle quali la tecnologia digitale ha provato a scardinare un sistema incrostato da meccanismi e poteri consolidati. E oggi? Nuova puntata del format Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini
Il punto di Pierangelo Soldavini | Il digitale conquista la banca, ma l'utente cerca aiuto per sciogliere la complessità
Uno degli ingressi del Mobile World Congress che si è tenuto a Barcellona (Davide Bonaldo / SOPA Images / LightRocket via Getty Images)
Pierangelo Soldavini
Pierangelo Soldavini

Questa è l'ottava puntata della nuova rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Rileggi le precedenti puntate dedicate tech-company, intelligenza artificiale e super-app, identità digitale integrata, sostenibilità, big tech e capitale della fiducia. E buona lettura con la nuova puntata!

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Giusto quindici anni fa, il 3 gennaio 2009, l'enigmatico Satoshi Nakamoto lanciava il guanto di sfida alla finanza globale. Erano passati tre mesi e mezzo da quel fatidico 15 settembre 2008 in cui Lehman Brothers veniva lasciata al suo destino fallimentare aprendo quella che si annunciava come la crisi terminale del sistema finanziario come lo avevamo conosciuto fino ad allora. Ed erano passati due mesi dalla pubblicazione del white paper di Bitcoin, "un sistema di denaro elettronico peer-to-peer" che si candidava a essere un modello alternativo, in grado di eliminare l'intermediazione bancaria rimettendo il potere transazionale in mano alle persone. Non a caso nel "genesis block”, il primo blocco della blockchain di Bitcoin, è contenuto un titolo del Times di Londra legato all'ennesimo salvataggio bancario: da quel momento il sistema bancario non sarebbe più stato oggetto di costose operazioni di supporto perché sarebbe stato del tutto inutile. Questo era il messaggio neanche tanto velato di Satoshi.

Quindici anni dopo il via libera della Sec a una dozzina di Etf spot su bitcoin segnala che la prima criptovaluta si sta integrando in quel sistema finanziario che avrebbe dovuto rivoluzionare e sostituire. Possiamo discutere se sia la finanza che abbia annullato il potenziale disgregatore del sistema di Satoshi o se sia il Bitcoin ad aver fatto breccia conquistando il cuore di Wall Street. Ma il dato di fatto è che le due realtà stanno imparando a coesistere: la finanza globale si è rinnovata e ha ritrovato un suo ruolo fondamentale in un mondo altamente tecnologico, il bitcoin ha trovato un suo spazio non secondario e si è affermato come asset class ad altissimo rendimento (ed elevatissimo rischio!).

Veniamo al fintech. Anche i pionieri dell'innovazione digitale nel mondo della finanza - a dir la verità, anche prendendo a prestito il modello di Satoshi - hanno a loro volta lanciato il guanto di sfida alla grande finanza tradizionale, in particolare al mondo bancario, che proprio con la crisi del 2008 aveva mostrato tutte le sue fragilità. In particolare emergeva un'innovazione che era più ingegneria finanziaria di natura speculativa che non un modello al servizio dell'utente, pensato per semplificare la vita e avvicinare le persone alle gestione del denaro e ai servizi finanziari nel loro complesso. Proprio la semplicità, l'efficienza, la trasparenza, la relazione erano le leve sulle quali la tecnologia digitale puntava a scardinare un sistema ancora incrostato da meccanismi e poteri consolidati.

Difficile individuare una data di nascita del fintech, dal momento che si tratta di modelli e innovazioni differenti che si sono evolute nei singoli settori, dal risparmio al credito, dal banking più spinto ai pagamenti, con velocità e profondità differenti. Ma oggi le banche sono ancora al loro posto, avendo accettato la sfida con una revisione complessiva delle proprie strategie, mentre le fintech si sono ritagliate un loro spazio, rilevante ma sempre più integrato con quel sistema che miravano a sostituire. Anche in questo caso difficile dire se siano le banche tradizionali ad essersi "fintechizzate” anestetizzando la carica di disruption dell'innovazione o se sia stata la cultura fintech ad aver contagiato il sistema. Ma possiamo notare come il confronto conflittuale degli inizi si sia progressivamente sciolto in un ecosistema che sembra poter guadagnare in efficienza e fluidità grazie all'integrazione della cultura di personalizzazione e semplificazione abilitata dal digitale con la grande base di fiducia di cui i brand del sistema bancario ancora oggi godono, nonostante scandali e tradimenti del recente passato.

A guadagnarci alla fine potrebbe essere proprio il cliente. Già, come si posiziona l'utente di fronte a questo scenario in continua evoluzione? A cercare di tracciarne l'identikit a oggi è il recente Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, dal quale emerge un'utenza, sia che si tratti di persone che di aziende, che ha complessivamente modificato i propri comportamenti con una crescente predisposizione a sfruttare le funzioni digitali offerte dai player dei servizi finanziari, che si tratti di banche o di fintech. Ma è una disponibilità che in ogni caso si ferma alle funzionalità più di base, quelle più semplici - per intenderci, pagamenti e bonifici in particolare -, mentre la diffidenza aumenta con il crescere della complessità, soprattutto laddove le esigenze operativa sono più sofisticate, nel mondo aziendale.

Crescono così gli utenti di home e mobile banking, di transazioni online, di onboarding digitale, ma quando poi si passa al mutuo o al fido una chiara maggioranza preferisce ancora il contatto diretto, la relazione con la persona. Vero è che si tratta di un comportamento fortemente condizionato dall'età, visto che le fasce più giovani non si fanno problemi ad optare per il digitale anche per le funzioni più complesse. Ma è anche vero che quelle stesse generazioni sono poi quelle meno preparate dal punto di vista dell'educazione finanziaria e che quindi poi hanno comunque bisogno di un supporto alternativo ai classici (e generici) video su Youtube.

Anche le nuove opportunità offerte dal digitale faticano a fare breccia. Le polizze online vanno alla grande se si tratta di prodotti standardizzati come Rc auto o viaggi, ma per le polizze sanitarie o quelle Vita cresce a dismisura la diffidenza e la richiesta di supporto. Così le opportunità aperte dalla Psd2 variano molto nell'utilizzo: i pagamenti digitali sono ormai entrati nell'esperienza quotidiana di tutti, ma i servizi più strutturati come l'aggregazione dei conti viene sfruttata da una sparuta minoranza. Anche la propensione a condividere i dati si scontra con una generica diffidenza nei confronti degli operatori non finanziari (è contrario l'87% degli utenti), ma anche di banche diverse dalla propria (ben il 74%). A meno che non si veda la possibilità concreta di benefici a portata di mano grazie alla concessione delle informazioni sui propri comportamenti. In questo senso l'embedded finance potrà rappresentare un forte driver di innovazione nel prossimo futuro.

I dati di utilizzo dei canali digitali nella gestione finanziaria delle partite Iva non sono molto diversi da quelli dei consumatori. La divergenza in questo ambito è proporzionale alle dimensioni, con le microimprese che faticano di più a rompere i legami con le banche di riferimento. Facciamo il caso del prestito: il 74% delle imprese avrebbe la possibilità di farlo online, le Pmi che lo hanno già richiesto sono il 36%, la percentuale scende al 27% tra le microimprese.
D'altra parte dal rapporto emerge chiaramente che le caratteristiche più apprezzate della banca da parte di Pmi o microimprese in misure simili sono la competenza nel rispondere alle esigenze, la consulenza personalizzata di fronte a un problema e l'offerta di prodotti finanziari adatti all'impresa. La disponibilità del digitale raccoglie l'apprezzamento solo del 15% delle Pmi. Più del 90% ha rapporti con la stessa banca da oltre cinque anni, solo l'8% ha cambiato istituto di riferimento nell'ultimo quinquennio.

Segno, appunto, che le aziende nella relazione con la banca cercano un supporto solido e stabile nella gestione della complessità, che si fonda prevalentemente sulla relazione personale e sulla prossimità. Il rapporto diretto con gli operatori finanziari rimane quindi un aspetto fondamentale, che cresce con la dimensioni e la strutturazione delle esigenze: la quasi totalità delle Pmi (93%) identifica in banca una figura di fiducia a cui rivolgersi in caso di problemi.
"L'emergenza pandemica ha ridotto gli alibi al non utilizzo dei canali digitali, che si sono rivelati un fattore abilitante per consumatori e aziende. Ma proprio quel periodo ha rafforzato i driver della necessità di una presenza umana in ambito finanziario, vale a dire la complessità di questi servizi e l'insicurezza delle persone che deve essere placata”, sintetizza Filippo Renga, direttore dell'Osservatorio del Politecnico. Soprattutto le aziende hanno fatto prevalere la concretezza e il realismo di un valore sempre più interpretato come la risposta alla richiesta di supporto nella gestione di questa complessità. Che è poi la complessità con cui persone e aziende si confrontano ogni giorno.

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