Il punto di Pierangelo Soldavini. La vera lezione dell'intelligenza artificiale e di ChatGPT? Imparare a imparare (e a disimparare)
Questa è la seconda puntata della nuova rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Buona lettura!
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Siamo tutti ossessionati dall'intelligenza artificiale! Che sia ChatGPT, Bard, Midjourney o un'AI indistinta, sembra proprio che non si possa neanche andare in vacanza senza pensare a come utilizzarla, a come poterla sfruttare per la nostra azienda o per la nostra professione, a come evitare che ci rubi il lavoro. Insomma, un po' ne siamo affascinati, ma per lo più ci mette molta ansia. Forse troppa... Siamo preoccupati di cosa poterne ricavare, in quali settori e funzionalità poterla impiegare, come piegarla al meglio ai nostri bisogni, come affrontare la sua competizione. Anche se forse dovremmo essere ben consapevoli che non è proprio il caso di mettersi in concorrenza con lei - già, ma che genere dobbiamo usare? Ed è davvero femminile? - sul suo stesso piano. Perché da questo punto di vista avremmo già perso!
Da quando abbiamo preso le misure con ChatGPT - chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico sviluppato da OpenAI, specializzato nella conversazione con un utente umano - siamo concentrati sul modo di porgli domande, un po' per capire come risponde, come ragiona, come può esserci utile davvero. In realtà quello che potrà fare la differenza sarà la nostra capacità di fare le domande giuste per ottenere delle risposte il più possibile in linea con le nostre esigenze. E che soprattutto siano migliori rispetto alle risposte ottenute dagli altri! Tanto che si favoleggia di una nuova professione emergente, quella del prompt engineering, basata sulla capacità di saper sollecitare al meglio la presunta intelligenza artificiale. Se c'è una cosa da cui possiamo partire è che l'intelligenza artificiale è ben lungi dall'essere intelligente. Anzi, è tendenzialmente stupida ed è dotata di quell'intelligenza che noi umani vogliamo che abbia. Niente a che vedere con la sensibilità, i sentimenti, la creatività, l'emotività che fanno dell'essere umano una creatura ben diversa da tutti gli altri animali. Nel bene e nel male. Ma qui ci fermiamo perché probabilmente su questo non tutti sono convinti e ci sarebbe da discutere all'infinito. Quello che ci preme invece sottolineare - e che probabilmente è meno divisivo - è che dall'intelligenza artificiale abbiamo tanto anche da imparare. Al posto di fare domande bisognerebbe anche imparare a farsi interrogare da lei! La provocazione nasce da un confronto con Massimo Chiriatti, chief technology officer di Lenovo e autore di "Incoscienza artificiale: come fanno le macchine a prevedere per noi" edito per Luiss University Press, la cui grande competenza in fatto di tecnologia si fonda sulla sua curiosità, sulla capacità di capire e di mettersi in discussione, senza pregiudizi, per comprendere opportunità e anche rischi. Parliamo di usi di ChatGPT in chiave didattica: "Oggi - mi dice Chiriatti - tutti i ragazzi si preoccupano di porre domande per ottenere un testo che faccia al caso loro. Invece forse dovremmo insegnare loro a farsi fare domande da ChatGPT". Intende che l'intelligenza artificiale, con il suo sapere immenso e con la sua capacità di connettere e comprendere relazioni tra eventi e dati, senz'altro più veloce e performante rispetto a quella umana, potrebbe anche essere utilizzata per prepararsi all'interrogazione, per capire se abbiamo compreso i concetti, se siamo pronti a rispondere a domande impreviste e imprevedibili.
Non c'è che dire: una provocazione stimolante. In effetti lo stesso schema potrebbe essere applicato al mondo del lavoro, per essere pronti a rispondere al meglio alle sfide imprevedibili della quotidianità o a un colloquio di lavoro. Se dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra chi teme che questa tecnologia possa condurre all'estinzione (peraltro, tra questi, c'è anche chi dell'intelligenza artificiale ha fatto un business) e chi prevede che possa essere la panacea di tutti i mali, potrebbe essere proprio la sua capacità di insegnarci qualcosa.
Qualcosa da imparare abbiamo senz'altro. A pensarci bene gli algoritmi di machine learning imparano in maniera ben diversa da come noi siamo o siamo stati finora abituati a imparare, fin dai banchi di scuola. Abbiamo una tradizione di apprendimento lineare, che passa dalle regole generali, dal quadro complessivo, per arrivare all'applicazione concreta. Studiamo su manuali corposi a scuola e, se ci pensiamo bene, nel recente passato c'erano anche manuali altrettanto voluminosi che ci introducevano ai software e ai computer. Per intenderci, noi impariamo a scrivere partendo dalle singole lettere, per poi passare a sillabe e dittonghi, alle parole, andando di pari passo con le regole grammaticali, le declinazioni dei verbi, i generi. Nella scuola primaria qualcosa è cambiato, ma tendenzialmente l'approccio rimane quello che parte dalle regole. Ben diverso è il modo di procedere degli algoritmi alla base dei programmi di correzione ortografica cui oggi demandiamo in buona parte la correttezza dei nostri testi. Di certo sono partiti anche loro dalle regole, ma alla base del loro apprendimento c'è la categorizzazione. Ancora di più, l'individuazione di relazione tra concetti e parole. Non partono dalle singole lettere per comporre parole, frasi e testi di senso compiuto. Ma vengono dati loro in pasto interi testi da cui imparano a mettere in connessione i concetti, più che le singole parole, ricavando la logica profonda del ragionamento, con una sensibilità particolare per quelle relazioni più deboli, quelle che sfuggono alla sensibilità umana.
Ecco, forse il modello formativo anche aziendale dovrebbe ispirarsi all'intelligenza artificiale con modalità di apprendimento più basate sulle relazioni tra fatti e concetti, spingendo sull'interdisciplinarietà e sulle competenze trasversali più che sulle singole discipline, separate e lineari. Già il sistema scolastico si sta adeguando, ma deve accelerare perché la preparazione degli studenti deve conformarsi a questo modello. Che poi è ispirato al metodo deduttivo della scienza: provare, sbagliare, trovare relazioni e regole sulla base della sperimentazione, rimettere in discussione, riprovare. Questa è forse la vera lezione di ChatGPT, andando oltre al semplice fenomeno mediatico: formare la conoscenza in modo diverso rispetto al recente passato. Quindi non imparare una disciplina sulla base delle sue regole, ma imparare a imparare sulla base di un metodo. Forse, però, la vera novità è che l'intelligenza artificiale ci impone fondamentalmente a imparare a disimparare. Dobbiamo lasciarci alle spalle un metodo vecchio di approcciarsi alla conoscenza, rinnovando il nostro sapere. Magari anche liberando spazio per nuove competenze. Consapevoli che l'intelligenza artificiale non si ferma mai, continua a masticare dati per affinare sempre più la sua capacità previsionale per comprendere i comportamenti umani e le evoluzioni dei fenomeni. Esattamente quello che va sotto l'etichetta di formazione continua nel corso della nostra vita professionale.