Quel gesto eroico dell'utente e il capitale essenziale della fiducia
Questa è la settima puntata della nuova rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Rileggi le precedenti puntate dedicate a tech-company, intelligenza artificiale, super-app, identità digitale integrata, sostenibilità e big tech. E buona lettura con la nuova puntata!
***
Lo so che a Natale bisognerebbe essere tutti più buoni. Ma questa volta mi lascio andare un po' alla rabbia da social, ma a fin di bene! Negli ultimi mesi mi sono capitati episodi diversi con più di un'azienda che mi hanno colpito. Provo a mettere in fila le cose. Non faccio nomi, per non fare torto a nessuno, ma posso garantire che si tratta di brand primari nel loro settore. Decido di disdire l'abbonamento a un operatore televisivo perché ho realizzato che per loro non ero solo un cliente affezionato di lunga data, ma anche una vacca da mungere con grande disinvoltura. Non ho mai controllato, ma sono sicuro che all'inizio dell'abbonamento la mia rata mensile fosse decisamente più bassa: con il passare del tempo era lievitata in maniera spropositata senza che io avessi opzionato nuovi servizi. Con ogni probabilità vengono fatti aggiustamenti in maniera surrettizia della quota, con comunicazioni confuse o magari del tutto assenti.
Va bene! Con il contributo dei figli realizzo che sto spendendo troppo. In effetti passa qualche giorno dalla disdetta e iniziano le telefonate del call center che mi propone offerte decisamente più allettanti: rinunciando a qualcosina, ma davvero a poco, arriverei a pagare meno di un quarto della mia rata precedente. Ormai però è troppo tardi: decido di resistere alle sirene del ritorno per mero principio. Non sono un qualcosa da spremere per fare fatturato, ho una mia dignità. Mi reco a restituire gli apparati vari, ma è troppo presto. Posso farlo solo dopo una certa data perché così prescrive la procedura: il negozio non può ritirare prima di una certa, che poi sono solo due giorni dopo. Ma queste sono le condizioni, non c'è margine di trattativa. Mi viene in mente che un paio di mesi prima un parente un po' sprovveduto, ma non per questo da prendere in giro, mi aveva sottoposto un'ingiunzione di pagamento per un'utenza telefonica che non sapeva neanche di aver sottoscritto. Aveva fatto un cambio di operatore per un abbonamento fisso più mobile e paga regolarmente le bollette del nuovo operatore. Nello stesso tempo ha continuato a ricevere bollette dal vecchio operatore, relative a un'utenza che non ha mai usato, ovviamente scritta in piccolo, da cercare con il lanternino. Ha colpevolmente ignorato le bollette e adesso si ritrova a dover pagare il conto. Non ci sono alternative. Ma per puntiglio provo a capire come sia stata aperta questa nuova utenza: ho i miei sospetti. Risulta del tutto impossibile: il vecchio operatore non fornisce informazioni via cellulare e comunque, avendo ceduto il credito, non ha più la documentazione relativa. Questo dopo lunghe telefonate e attese interminabili che non hanno fatto altro che aumentare la rabbia, i sospetti e la frustrazione.
Ultimo caso legato ai dispositivi per il pagamento in mobilità dell'autoveicolo. Ho cambiato macchina e mi offrono un nuovo gestore. Mi forniscono il dispositivo in tempi rapidi ma ho qualche difficoltà nella registrazione in-app: forse sbaglio anch'io - come sempre parto sempre dal presupposto che ci metta del mio -, ma il dato di fatto è che impiego mesi per accoppiare la targa e quindi a poter utilizzare il servizio. Quando riesco finalmente a risolvere, mi dicono che devo anche validare l'Iban, ma l'app non me lo consente. Forse c'è un problema di software. Il dato di fatto è che dopo sei mesi non posso ancora fruire del servizio. Sei mesi sono un tempo infinito per chi è ormai abituato, nonostante l'età, ad avere risposte in tempo reale, e in ogni caso io ho pagato per questo periodo.
Sono sicuro che chiunque stia leggendo queste righe abbia un suo caso da aggiungere. Mi dico che senz'altro i colossi di big tech su questo sono molto più bravi: loro sono nati in un mondo in cui nativamente viene messo al centro il cliente, da coccolare ed esaudire in tutte le sue esigenze. Mi viene in mente il Wrapped di fine anno di Spotify (nella foto l'evento dedicato a Londra © Antony Jones / Getty Images for Spotify) che ai miei occhi rappresenta il modo in cui dimostra a ciascuno dei suoi oltre duecento milioni di abbonati che tiene a lui, proprio a lui, avendo un prodotto che sembra parlare a lui, ai suoi gusti e alle sue preferenze, al suo modo di fruire la musica. A me dice che sono "eroico" perché ascolto album dall'inizio alla fine, abitudine ormai desueta per i più. Lo avrà detto a tante persone, ma a me importa che l'abbia detto proprio a me!
Anche la certezza di big tech viene meno: non riesco ad accedere al mio account presso un "primario" operatore di e-commerce e realizzo che non c'è possibilità di mettermi in contatto, di avere un supporto, neanche un call center presso cui spendere qualche bella mezz'ora alla ricerca di una soluzione. Insomma, mi rendo conto che, a dispetto di tutto quello che si racconti sulla semplificazione, sull'agilità, sul cliente da mettere al centro, il digitale si scontra con una cultura della complicazione e della furbizia che resiste al di là di tutto. Eppure le aziende dovrebbero essere consapevoli che così facendo perdono un cliente, che faticherà a tornare da solo, soprattutto tra i più giovani, che richiedono invece lealtà e trasparenza nei loro essere consumatori.
Ecco allora che mi viene da sottolineare ancora una volta che, oggi più che mai, quei concetti di lealtà e trasparenza sono la base della relazione delle aziende con i loro clienti, da considerare come persone prima ancora che consumatori. A partire proprio dalle ultime generazioni, quella relazione deve essere costruita sulla base del rispetto dell'essere umano, parte integrante dell'ambiente in cui le aziende stesse operano e di fronte al quale sono pienamente responsabili: persone non da spremere per ricavare reddito sul breve periodo ma da coltivare in una logica di lungo periodo.
Rispetto significa non solo non prendere in giro le persone propinando loro prodotti e servizi in maniera surrettizia, senza che se ne accorgano: la scelta deve necessariamente essere consapevole. Rispetto oggi vuol dire anche agevolare l'utente per semplificargli la vita, anche quando decidesse di rinunciare al nostro servizio: domani si ricorderà che siamo stati leali fino in fondo, gli abbiamo fornito tutte le informazioni possibili per la rescissione del contratto, non gli abbiamo messo i bastoni tra le ruote perché rimanesse con noi. Ogni pezzettino di quella relazione deve comunque essere all'insegna della semplicità, ossia di quell'effetto frictionless raccontato anni fa anche da Kevin Roose sul New York Times e che suona come risoluzione dei problemi. Oggi più che mai la riduzione della latenza tra il bisogno e il suo soddisfacimento cui la tecnologia ci ha abituati impone un approccio nuovo nei confronti del consumatore, ben sapendo che lui sceglierà sempre la strada più semplice e immediata.
Per questo la cura di quel rapporto è importante tanto quanto la qualità del servizio o del prodotto, in ogni minimo dettaglio. Poi ho visto al cinema "Cento domeniche", il film di Antonio Albanese sui fallimenti bancari con il coinvolgimento di cittadini ignari, turlupinati da chi tradiva la loro fiducia in nome di una finanza tossica che ha mostrato il suo volto peggiore. La sintesi di tutto è in quel volto incredulo di chi non solo ha visto i risparmi di una vita volatilizzati, ma di chi era stato raggirato da persone di cui si fidava ciecamente. In quella fiducia tradita c'è il fallimento di una relazione che lascia il segno per sempre. "Mi hanno rubato tutto", realizza amaramente il prepensionato Albanese. Per le banche è ancora più delicato perché hanno a che fare con quanto di più prezioso le persone hanno, ossia il denaro. Ma non vale solo per loro. Il raggiro e il mancato rispetto rappresentano una fiducia tradita per tutte le imprese. Oltre e più del denaro, è prezioso il valore umano della relazione che è alla base di quel patrimonio immateriale che è la fiducia delle persone.