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Il punto di Pierangelo Soldavini | La sostenibilità è percepita come un costo, alla finanza trasformarla in profitto

Il punto di Pierangelo Soldavini | La sostenibilità è percepita come un costo, alla finanza trasformarla in profitto
L'isola di San Biagio sul Lago di Garda. A febbraio, per la siccità record, si poteva raggiungere a piedi (Pier Marco Tacca/ Getty Images)
Pierangelo Soldavini
Pierangelo Soldavini

Questa è la quinta puntata della nuova rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Rileggi le precedenti puntate dedicate a tech-company, intelligenza artificiale e super-app, identità digitale integrata. E buona lettura con la nuova puntata!

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"Loro hanno la prospettiva della fine del mondo, noi quella di arrivare al fine settimana". Che sia vera o meno, questa citazione di un gilet giallo francese durante i giorni di rivolta a Parigi sintetizza un approccio alla sostenibilità che si dibatte tra i due estremi, tra una visione di lungo periodo e le esigenze concrete dell'immediato. È innegabile che il tema della transizione sostenibile si stia trasformando in uno snodo del dibattito politico, argomento divisivo che fa leva sui costi immediati di una trasformazione tanto urgente quanto complessa con una politica sempre più concentrata sulla pancia degli elettori più che sulla testa e sulla visione di uno snodo determinante per il futuro dell'umanità. Anzi, tutto questo già oggi condiziona il presente con evoluzioni climatiche scandite da eventi estremi che hanno trasformato anche l'Italia in un Paese dal clima tropicale più che mediterraneo. Eppure sembrava superata l'onda lunga della resistenza dei negazionisti e avviata a livello internazionale una fragile azione concertata per affrontare e invertire un fenomeno in rapida accelerazione che non conosce frontiere: impegni e ambizioni si sono spesso scontrate con le priorità nazionali e le difficoltà economiche.

Senz'altro lo storytelling del problema non ha agevolato il coinvolgimento delle persone: un racconto del cambiamento climatico che ha fatto necessariamente leva su scenari da incubo focalizzati sulla desertificazione, sulle migrazioni climatiche, sullo scioglimento dei ghiacci e l'innalzamento degli oceani, sull'acidificazione dei mari, sul cambiamento della vita in ogni regione ha finito per innescare una paura di fondo che ha aumentato la consapevolezza, ma per molti versi ha paralizzato le ambizioni di fronte a scenari apocalittici che si scontrano con un senso di impotenza dei singoli. La sostenibilità rappresenta un filone in cui tutti (o quasi) condividono il senso di urgenza della trasformazione, ma poi delegano a governi, aziende, amministrazioni pubbliche il passaggio all'azione. Di fronte alla difficoltà di modificare i propri comportamenti anche nella vita quotidiana, è più facile pensare che il proprio piccolo gesto sia inutile e che ci debbano pensare altri su scala più ampia. Ovviamente non è così, ma a pensarci bene lo sperimentiamo come persone nelle scelte quotidiane.

Non c'è dubbio: la sostenibilità costa, in termini di cambiamenti di comportamento, di abitudini, di rinunce, di investimenti per rendere più sostenibili e a minore impatto la mobilità, la casa, la produzione, la supply chain. Se è tutto da modificare in una logica di sostenibilità, l'impatto sui conti familiari e aziendali non è indifferente. Per questo una narrativa troppo incentrata sulla paura e sui costi, più che sulle opportunità e sull'innovazione, è risultata alla lunga controproducente. Ne facciamo le spese oggi, quando una politica concentrata sull'immediato e sul localismo ha sfruttato questi temi per cavalcare lo scontento di specifici settori, mettendo in contrapposizione la visione comune con gli interessi particolari. Così è stato in Olanda dove le fortune elettorali del Partito dei cittadini agricoltori affondano nella protesta degli allevatori contro l'obbligo di costosi impianti per la riduzione delle emissioni di azoto di una massa di mucche e maiali più numerosi degli esseri umani. In Germania l'estrema destra di Alternative für Deutschland ha capitalizzato la rabbia dei cittadini contro il progetto governativo di sostituire le caldaie a gas con pompe di calore, mentre in Europa le proteste hanno costretto la Commissione ad annacquare il "Green New Deal". Sull'altra sponda dell'Atlantico anche Trump cavalca in chiave elettorale l'onda populista anche su questi temi, proprio mentre lo sciopero nell'industria auto nasce dalla paura che la transizione verso la mobilità elettrica comporti una perdita secca di posti di lavoro. Ma anche un'inevitabile maggiore dipendenza da materie prime e batterie di cui la Cina ha saputo dotarsi con una programmazione visionaria che viene da lontano.

 

Alcuni giovani manifestanti durante la COP27 tenutasi in Egitto lo scorso anno (Mohamed Abdel Hamid/Anadolu Agency via Getty Images)

 

Insomma, la situazione è complessa e non ha soluzioni facili e univoche e c'è già chi prevede che la corsa verso un mondo a emissioni zero possa provocare la prossima grande rivolta populista nel mondo occidentale. Eppure quel percorso verso l'abbandono delle fonti energetiche fossili e verso una sostenibilità a tutto tondo, che comprenda anche quella sociale e di governance dell'acronimo Esg, appare non più rinviabile. Si tratta di modificare la narrativa spostandola verso le opportunità e le competenze che si aprono in un mondo che ha anche da guadagnare in questa transizione. In questa ottica c'è una grande opportunità anche per la finanza per ricostruire un'immagine più responsabile, attenta a ridurre il finanziamento di emissioni e di attività eticamente criticabili o irrispettose di diritti umani e parità di genere. Per di più con la possibilità di riavvicinare una fetta di pubblico più giovane, nativamente più sensibile alle tematiche legate alla sostenibilità, oltre che digitale. Per millennials e generazione Z il rispetto dell'ambiente e delle persone è dato per scontato: se hanno il sospetto che sia assente o carente abbandonano immediatamente, senza indugi. L'innovazione fintech può dare un contributo determinante in termini di innovazione abilitando l'adozione di tecnologie di decarbonizzazione, la raccolta e la gestione di dati legati alla sostenibilità - oggi una delle fragilità nella lotta al climate change - in chiave previsionale e il supporto di framework che riducano il rischio. Ma anche la finanza tradizionale può avere un ruolo determinante nel trattare in maniera adeguata un risk management oggi difficile da gestire con i criteri tradizionali e nel dirottare le risorse finanziarie sulle iniziative che puntano verso la transizione, energetica e sostenibile. Da questo punto di vista la finanza diventa centrale nel premiare le singole aziende ma anche nel responsabilizzarle lungo tutta la filiera di fornitura, fino al più piccolo produttore che può diventare il pretesto per condizionare l'accesso al mercato del credito o penalizzare dal punto di vista dei costi mediante un credit scoring più basso.

Certo, bisogna sciogliere il nodo della standardizzazione dei criteri di valutazione Esg oggi ancora zoppicante, in modo da garantire un livellamento dei giudizi e l'individuazione più agevole del greenwashing. Con un'efficacia rafforzata l'industria dei servizi finanziari può però assumere un ruolo di traino a supporto del cambiamento operando da cinghia di trasmissione reale per incanalare gli investimenti verso l'economia davvero sostenibile.
Questo nuovo ruolo rientra in una nuova responsabilità dell'azienda che non ha più solo il mercato e gli azionisti come riferimento, ma che deve fare i conti oggi con una pluralità di stakeholder a tutti i livelli: i dipendenti, gli azionisti, il territorio, l'amministrazione pubblica, il bene pubblico, l'ambiente. Sotto questo profilo l'ampliamento della responsabilità sociale dell'impresa di fronte all'ampiezza e alla complessità delle grandi sfide della contemporaneità, climate change in testa, richiede un nuovo impegno delle imprese, finanza in testa. Ma anche un affiancamento al soggetto pubblico che non sempre riesce a essere all'altezza. Di fronte alle conseguenze sempre più evidenti anche nel nostro Paese degli eventi estremi e alla necessità di adeguare infrastrutture e territorio per ridurre i rischi, serve oggi più che mai un patto tra attore pubblico e iniziativa privata che faccia da stimolo per l'azione, laddove non più rinviabile. I ritardi della politica rischiano di avere effetti devastanti per i cittadini e per il sistema produttivo: in questo le imprese possono avere un ruolo decisivo all'insegna della responsabilità sociale. C'è solo da guadagnare, soprattutto per le aziende. In fondo è il concetto stesso di profitto che oggi viene stravolto: non più limitato alla semplice ultima riga del bilancio, ma come effetto di profittabilità e produttività coniugate con reputazione e impegno riconosciuti a livello sociale, un valore immateriale e ancora difficile da valutare, ma codificabile e riconoscibile. È questa nuova concezione di profitto d'impresa che deve guidare la gestione, a tutti i livelli. E per la banca c'è una grande opportunità di recuperare autorevolezza e centralità sociale, trasformando la sostenibilità da costo in guadagno.

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