Non è solo una questione di soldi. Così una borsa rosa accende con nuovi colori il futuro
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«In questi tempi di rapidi cambiamenti, abbiamo bisogno di punti di vista ed esperienze diverse, di un range di talenti più ampio. Il vero rischio sta nel continuare a fare le cose come si sono sempre fatte». È un pensiero che diventa un manifesto programmatico del fare, identitario per tutta una generazione di pionieri che battono sentieri nuovi, inesplorati, accidentati, fatti di quelle strade impervie, di quelle salite pronunciate, ma una volta arrivati in vetta, che panorama! Fare le cose come si sono sempre fatte è un rischio incalcolabile che non possiamo permetterci. Ieri come oggi. Perché questo pensiero sembra scritto in questa fase storica e geopolitica dai destini incerti, in quello che è stato definito da Forbes come “anno di mezzo di questo decennio di mezzo” che segna un radicale cambio di paradigma di riferimenti. Le bussole di prima non vanno più bene, e allora si cerca il modo di riaggiornarle.
Eppure, questo pensiero per attribuirlo in modo esatto dobbiamo riavvolgere il nastro del tempo agli anni ‘70 del secolo scorso. Perché queste sono le esatte parole pronunciate da Muriel Siebert, conosciuta da tutti come la prima donna di Wall Street. Classe 1928, nata a Cleveland, nella sua vita ha lasciato il segno. All’epoca le poche donne che lavoravano in Borsa, anche in America, erano assunte come segretarie o dattilografe. Ma Siebert auspicava di più. Per sé stessa e per tutta una comunità al femminile che nel tempo l’avrebbe osannata. Anche se non aveva completato gli studi, riesce a farsi assumere come ricercatrice di una società di consulenza e poi, a metà degli anni ’60, stufa di guadagnare meno dei colleghi maschi, segue il consiglio di un suo caro amico di vecchia data: vai alla Borsa di New York. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare vastissimo del pregiudizio, che all’epoca si annidava – ancora oggi? – nelle certezze di molti. Per permettersi il posto, che ai tempi costava 445.000 dollari, riesce a farsi erogare un prestito dalla Chase Manhattan Bank. Così il 28 dicembre 1967 Muriel Siebert diventa la prima donna membro della Borsa di New York. Che traguardo. Ma per lei resta un punto di partenza. Non basta arrivare, bisogna farlo insieme. Prendersi per mano, fare la differenza.
Dopo due anni dal suo debutto a Wall Street, Siebert costituisce una società e diventa anche la prima donna proprietaria di un’impresa di intermediazione finanziaria. Correva l’anno 1977 e l’allora governatore di New York Hugh Carey la chiama a sovrintendere il sistema bancario dello Stato, prima donna a ricoprire anche quella carica. Lo abbiamo già scritto: Siebert non si accontenta di raggiungere posizioni apicali. Si adopera perché anche altre donne possano raggiungere quei risultati. A quei tempi lo ripete spesso: si vince anche disturbando. D’altronde è rimasta nella storia la battaglia per ottenere che alla Borsa di New York si costruisse al settimo piano – quindi nei piani alti, quelli dirigenziali – una toilette per donne. «Ne installo una portatile e non me lo impedirete», ripeteva a quei tempi. Aggiungendo che gli americani dovranno pur accorgersi che le donne fanno la differenza, anche nella finanza. «Il vero rischio sta nel continuare a fare le cose come si sono sempre fatte». Nell’ultima parte della sua vita ha avviato anche un pionieristico progetto di alfabetizzazione finanziaria per le donne che prosegue anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2013.
Empowerment al femminile
La storia di Muriel Siebert ha attraversato più secoli, più generazioni, più continenti, più modi di intendere i consumi, le comunità al lavoro. In fondo ispira a fare di più per quanto riguarda l’accrescimento delle competenze femminili nella gestione del denaro e soprattutto nella consapevolezza di valere, di fare la differenza, per usare al meglio le parole di Siebert. È quello che racconta anche il progetto di Banca Sella “Voglio una Borsa Rosa”.
È una fotografia sul contesto dell’adozione di tecnologie e di gestione del denaro per le donne, è una community con una serie di azioni per incrementare la cultura economico-finanziaria al femminile e contrastare gli stereotipi di genere. È una riflessione critica per spingere tutti gli stakeholder a comprendere l’importanza della questione. Tutto parte da una serie di domande. Qual è il grado di conoscenza economico-finanziaria che riguarda oggi le donne? In che modo incrementare le competenze femminili in materia di denaro, valorizzando l’autonomia e spingendo il tasso di imprenditorialità? E ancora, come mettersi in ascolto delle diverse esigenze e schierarsi in modo concreto e autentico contro gli stereotipi di genere che ancora imperversano sulla gestione dei soldi per le donne? Un modo per fotografare. Perché una comunità femminile più alfabetizzata e consapevole alle questioni finanziarie diventa un volano di crescita per tutti.
Più caute e più attente a risparmiare
Entriamo nel vivo della ricerca condotta su un campione di 650 manager, imprenditrici e professioniste. Mette in luce come le donne abbiano sensibilità e comportamenti diversi dagli uomini nelle abitudini di pagamento, investimenti e risparmio, gestione familiare e conoscenze in ambito economico-finanziario. Più attente a risparmiare, più propense a monitorare spese in uscita e investimenti, più inclini a investire in piani pensionistici, più abituate a condividere la gestione finanziaria con partner, amici e familiari. Ma attenzione. Sono anche meno soddisfatte rispetto agli uomini sulla capacità di risparmio e più portate a vivere questa condizione di presunta bassa conoscenza degli aspetti economici come un limite. Salvo poi scoprire che le cose non stanno proprio così. È la sindrome dell’impostore a gravare sulle competenze finanziarie che riguardano le donne, ossia quella condizione psicologica legata ad una bassa autostima per cui dubitano del grado di alfabetizzazione. Dai dati si scopre come le donne abbiano sensibilità e comportamenti diversi dagli uomini nelle abitudini di pagamento, investimenti e risparmio, gestione familiare e conoscenze in ambito economico-finanziario. Il 77% di loro ha investito negli ultimi anni in forme previdenziali e il 68% possiede un piano pensionistico contro il 57% degli uomini per un delta di ben undici punti percentuali. Ma ben 3 su 4 delle donne – precisamente il 74% del campione – non è soddisfatta di quanto riesca a risparmiare contro il 69% degli uomini. Intanto la gestione degli investimenti per l’universo femminile è più condivisa. La percentuale di coloro che gestiscono col supporto del partner conti correnti o in modo esteso con familiari e parenti è molto più alta. Non è solo indice di volontà di condividere, bensì un monito che evidenzia un vincolo che spesso genera forme di violenza economica di genere e rafforza gli stereotipi. Risparmiano, ma non abbastanza (secondo loro). La “sindrome dell’impostore” condiziona la percezione delle donne sulle competenze finanziarie. «Cosa mi ha sorpreso di più della ricerca? Scoprire che molte donne – anche in ruoli di responsabilità – percepiscono un senso di inadeguatezza sulle tematiche economiche e finanziare. In un contesto in cui tempo e semplicità contano, l’obiettivo è rendere la finanza uno strumento di vicinanza e accompagnamento, non di distanza». Così Chiara Romanelli di Banca Sella racconta il progetto su Sella Insights. Un’iniziativa che coinvolge decine di colleghe del gruppo Sella e si rivolge a tutta la community estesa. Obiettivo: offrire strumenti concreti, accessibili e vicini alla vita reale per affrontare le decisioni economiche con fiducia e sicurezza.
Divari da colmare
Non è la prima volta che ci occupiamo di alfabetizzazione finanziaria e inclusione femminile. Lo abbiamo fatto già un paio d’anni fa, riportando i dati di una ricerca promossa dall’Università Cattolica di Milano, raccontata sempre su Sella Insights. Partiamo dai numeri, drammatici nella loro esemplificazione. Oggi 1 donna su 3 non percepisce una fonte di reddito propria e soltanto 1 donna su 20 ne ha una integrativa. Anche i consulenti finanziari sarebbero più inclini a illustrare prodotti e servizi quando si trovano a dialogare con un uomo, invece che con una donna. Si tratta di un pregiudizio che alimenta quella violenza economica di genere in un circolo vizioso molto difficile da scardinare e che proviamo oggi su queste pagine a raccontare. Perché questo bias è da superare. Ma c’è di più. Da tempo anche per l’Italia il quadro è reso peggiore dalla scarsa educazione finanziaria in Italia: siamo il penultimo Paese G20. Inoltre, meno della metà delle donne hanno intrapreso percorsi di conoscenza finanziaria rispetto al 65% degli uomini. Ma qualcosa si può e si deve fare. Anche perché in questa fase storica i media digitali sono contemporaneamente punti di accesso al mondo finanziario e luoghi di scambio e socializzazione. «Il divario di genere nell'ambito finanziario è evidente a tutti, sia agli operatori che al pubblico in generale, ma finora si è fatto ancora troppo poco per attuare soluzioni efficaci al fine di ridurlo. Secondo i risultati delle nostre ricerche è imperativo intervenire su diversi fronti. Innanzitutto, è cruciale agire sulla consapevolezza. È necessario formare gli operatori riguardo all'influenza che gli stereotipi di genere esercitano sul loro lavoro. Inoltre, è fondamentale implementare strategie di comunicazione nell'ambito dell'educazione finanziaria, mirate in modo più efficace al pubblico femminile, utilizzando linguaggi meno stereotipatamente maschili». Così afferma Claudia Manzi, professoressa ordinaria alla facoltà di Scienze della Formazione (UCSC) all’università Cattolica di Milano e vicepresidente del Gender Equality Plan nello stesso ateneo. Si parla tanto di violenza di genere, ma solo negli ultimi tempi ci si dedica a quella economica. Ma in realtà i due temi sono interconnessi. «L’ambito economico è uno dei primi ambiti in cui la donna può cadere in una situazione di mancanza di autonomia nella coppia. Infatti, le prescrizioni di genere legate agli stereotipi portano le donne a delegare agli uomini tutto quello che ha a che fare con pratiche burocratiche, tasse, gestione dei soldi Ma attenzione. Questo lo fanno anche le donne che sono molto istruite. Di per sé dividersi i compiti in una coppia non ha nulla di male. Il problema emerge quando, in una situazione di sbilanciamento di potere o addirittura di abuso, l’uomo utilizza questo suo ruolo per esercitare un controllo nei confronti della sua partner», precisa Manzi, che da anni si occupa di stereotipi di genere, anche in relazione all’uso del denaro.
Ripartire dalla Z
Allarghiamo la visuale. Perché oggi l’educazione finanziaria viene considerata una nuova competenza di cittadinanza. E guarda a chi abiterà, lavorerà, si sposterà, si divertirà nel futuro. L’obiettivo è accompagnare la generazione Z nel saper usare il denaro. E tutto questo diventa anche un po’ come… saper guidare una macchina. Una metafora calzante, soprattutto se si parla alla generazione che maggiormente si sposta nel mondo. Lo ha fatto dialogando proprio con i più giovani durante il Salone dei Pagamenti 2024 Giovanna Boggio Robutti, Direttore Generale di Feduf, ossia la fondazione per l’educazione finanziaria e il risparmio costituita su iniziativa dell’Abi per promuovere l’educazione alla cittadinanza. «Bisogna imparare a farlo, ma una volta fatto è tutto facile, diventa naturale. Resta il problema di guadagnarlo, ma almeno si conoscono le tecniche per usarlo bene, tanto o poco che sia. Care ragazze e cari ragazzi, vi darei una buona e una cattiva notizia. La buona è che se si impara da subito a prendersi cura del proprio denaro – esattamente come facciamo con la nostra salute o con la cura del nostro corpo – sarà molto più semplice averne abbastanza in futuro. La cattiva è che se si aspetta a farlo, ci si troveranno con un grosso problema da adulti quando magari sarà troppo tardi per intervenire. Per le ragazze l’educazione finanziaria ci aiuta ad abbattere stereotipi di genere che ancora troppo spesso vedono le donne emarginate dalla gestione del denaro in famiglia e limitate nella loro autonomia». Così afferma Boggio Robutti. Il messaggio è proprio per loro, per quelle giovani impegnate come le fasce più mature ad abbattere il soffitto di cristallo, anche partendo dalla consapevolezza dell’autonomia economico-finanziaria.
«Ragazze, non esiste un motivo al mondo per cui voi non dovreste essere in grado di guadagnare come un uomo, gestire come il budget della famiglia e soprattutto gestire i vostri risparmi. Vi prego, siate consapevoli che siete perfettamente in grado di farlo, dovete iniziare subito a farlo per costruire la vostra indipendenza e la vostra sicurezza economica per il futuro», precisa Boggio Robutti. Si dice che in ballo c’è anche la sostenibilità economica del loro futuro. Ma cosa significa esattamente? «Penso alle pensioni che a causa dell’invecchiamento della popolazione e della natalità che si abbassa sempre più saranno sempre maggiormente ridotte o insufficienti a mantenere un buon livello di benessere. Il problema si risolve iniziando a risparmiare da giovani, ma se i giovani non lo sanno e i loro genitori neanche come si fa? Ecco uno dei motivi per cui è stata introdotta a scuola l’educazione finanziaria. Ed ecco perché imparare come usare bene il denaro è prima di tutto una questione di sostenibilità, oltre che di democrazia, di equità, parità e ricchezza economica individuale e sociale», dice Boggio Robutti. E ancora, cosa bisognerebbe imparare a sapere del denaro? In fondo, tutto: come usarlo, come investirlo, quando e come indebitarsi, come non buttarlo al vento, col gioco d’azzardo o con investimenti pericolosi. Ma anche come adottare stili di consumo e di spesa sostenibili e come dargli il giusto ruolo nella vita, sapendo che è uno strumento di benessere e non il fine ultimo della felicità. Ne è convinta Boggio Robutti. «Il risparmio dovrebbe diventare un’abitudine mentale e riferirsi non solo su soldi, ma anche ai consumi. Ciò che compriamo, ciò che sprechiamo, ciò che vogliamo perché lo hanno i nostri amici e che magari non ci serve ma ci fa sentire integrati.
Il risparmio è un’abitudine intelligente che dovrebbe essere interesse di tutti acquisire». Una sfida plurale che interroga le nostre coscienze. Perché nella gestione del denaro il mondo che abbiamo e che avremo possa essere più giusto, più consapevole.