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Una via da percorrere: Marco e i principi del Judo

Una via da percorrere: Marco e i principi del Judo
Marco Stecca

Marco Stecca lavora come Execution Specialist in Banca Sella, un ruolo trasversale che gli permette di mettere a disposizione la sua esperienza in diversi ambiti aziendali. Ma al di fuori dell’ufficio, c’è un’altra dimensione che lo accompagna da quasi cinquant’anni: il Judo. Tutto è cominciato nel 1977, al Doyukai di Torino, tempio del Judo in Piemonte, dove salì scalzo sul tatami accompagnato da sua madre e dalle sue storie affascinanti sul mondo di questa disciplina. Quella sensazione si è presto trasformata in un richiamo di vita: anno dopo anno, il Judo si è rivelato una via senza una destinazione, un percorso capace di stimolare la crescita personale, la consapevolezza di sé e la comprensione degli altri, insegnando che la vera forza sta nell’equilibrio tra corpo, mente e cuore.

In questa nuova puntata di Stories abbiamo chiesto a Marco di raccontarci della sua passione e di come le lezioni imparate sul tatami possano integrarsi non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche nella vita lavorativa, influenzando il modo in cui affronta sfide, guida le persone e costruisce relazioni.

Marco, cos’è il Judo per chi non lo conosce?
Il Judo è una via da percorrere, non una destinazione. È una disciplina giapponese che combina corpo, mente e cuore attraverso tecniche di equilibrio, controllo e movimento. Ma non è solo sport: insegna rispetto, responsabilità, collaborazione. Il fondatore, Jigoro Kano, lo concepì come un percorso per sviluppare la mente, coltivare principi etici e applicare lo spirito del combattimento nella vita quotidiana.

Spiega meglio che cos’è lo O Nami Dojo di Biella
O Nami Dojo è una scuola di Judo nata a Biella come “luogo in cui percorrere la via”, grazie all’iniziativa del Maestro Salvatore Azzarello. Io mi ero trasferito da Torino a Biella e cercavo un luogo che mi consentisse di proseguire in quel Judo che avevo apprezzato e fatto mio negli anni precedenti. Entrando nel dojo ho capito subito che quello era il posto giusto e che il suo Judo era il Judo che cercavo. È un luogo dove si formano persone con la P maiuscola, secondo valori universali, nella speranza che un giorno possano portarli nel mondo al di fuori delle mura del tatami.

Qual è stato il momento più significativo della tua carriera nel Judo?
Quando il Maestro Salvatore è venuto a mancare prematuramente, bimbi e ragazzi della O Nami Dojo si sono rivolti a me nella speranza di trovare un nuovo riferimento. Fare il nodo alla mia cintura il giorno successivo ha cambiato completamente significato: da quel momento ho capito che il Judo non era solo una pratica, ma una responsabilità verso chi ti sceglie come guida.

Come trasmetti ai tuoi allievi l’importanza della responsabilità?
In Judo 1+1=1: due compagni insieme diventano un’unità. Il più bravo aiuta il compagno a migliorarsi, creando un ciclo continuo di crescita reciproca. La responsabilità verso se stessi e verso gli altri diventa naturale: insegnare e imparare sono due facce della stessa medaglia.

E per le generazioni future?
Niente è più importante dell’educazione: ciò che una generazione assimila bene può influenzare molte altre. Quando un allievo mi dice “sono fiero di ciò che sono diventato grazie a te”, rispondo sempre che era già tutto in lui: io ho solo indicato la via.

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In che modo il Judo influisce sul tuo lavoro e sul tuo approccio alla gestione delle persone?
Il ruolo di maestro di Judo ha avuto un grande impatto sul mio modo di fare coaching e sul lavoro in generale. Nella vita professionale, così come in quella personale, siamo immersi in un ecosistema di relazioni: più che essere chiamati a “fare”, siamo chiamati a “far accadere”. Ogni obiettivo, traguardo o progetto non è che un insieme di eventi che devono accadere grazie alle persone che vi interagiscono. Come nel Judo, anche fuori dal tatami il Maestro può guidare chi lo circonda, sostenendolo nel collaborare e nel crescere insieme.
Gli aforismi del Judo “Seiryoku Zenyo” (miglior impiego dell’energia) e “Jita Kyoei” (mutuo benessere e prosperità) spiegano perfettamente questa visione: ascoltare l’energia degli altri, armonizzarla e indirizzarla verso obiettivi condivisi senza imporre nulla, arricchendo le persone con cui si interagisce di esperienze, conoscenze e valori.
Negli ultimi anni ho potuto sperimentare tutto questo in un percorso di mentoring con un collega: condividere valori e principi, instaurare fiducia e responsabilità reciproca, analizzare insieme contesti complessi e gestire situazioni critiche come se si eseguisse una tecnica di Judo. Il risultato è stato un arricchimento reciproco, un esempio concreto di mutua prosperità applicata al lavoro

Un consiglio a chi vuole applicare i valori del Judo nella vita e nel lavoro?
Riflettere sui propri principi etici e vivere secondo il principio del “dare”, con costanza e impegno. Senza questo, non c’è Judo.

E a chi vuole iniziare a praticarlo?
Direi semplicemente che il Judo è uno stile di vita. Una volta che ci si avvicina, rimane per sempre, indipendentemente dal fatto che lo si pratichi o meno. E poi… è anche uno sport.