Un arcobaleno in una stanza. Quando l’ascolto è un atto rivoluzionario
Giugno è il mese in cui, in molte città del mondo, si celebrano l’inclusione, l’ascolto e la libertà di essere sé stessi. E se c’è qualcuno che ha fatto di questi valori una parte fondamentale della propria vita, dentro e fuori dal lavoro, è Domenico Addante, Key Account Manager da oltre 15 anni, oggi in Fabrick.
In particolare, Domenico segue i clienti e-commerce, gestendo con attenzione le loro esigenze e offrendo soluzioni su misura. Ma la storia che raccontiamo in questa puntata di Stories va oltre l’ambito professionale. È la storia di una sensibilità maturata nel tempo e alimentata da esperienze di volontariato, ascolto e impegno sociale, che lo hanno portato ad aprire la porta – talvolta letteralmente – a chi aveva bisogno di sentirsi accolto.
Un letto per sentirsi a casa
Tutto comincia a Bari, quando Domenico ha appena 18 anni. È l’inizio di un percorso personale fatto di consapevolezza e ricerca di un senso di appartenenza. In quegli anni si avvicina a un’associazione LGBTQIA+ della città e inizia a offrire il suo tempo per organizzare attività di sensibilizzazione, prevenzione e ascolto. Lì incontra giovani che vivono situazioni difficili, in alcuni casi rifiutati dalle famiglie. È allora che Domenico apre le porte della propria casa, offrendo un posto in cui dormire e la possibilità di sentirsi al sicuro, anche solo per una notte.
Domenico, come hai iniziato a offrire aiuto alla comunità LGBTQIA+?
Avevo appena iniziato il mio personale percorso di consapevolezza relativa al mio orientamento sessuale e di coming out verso amici e famiglia. Vivevo a Bari e conscio di quanto fosse stato difficile nell’arco della mia adolescenza accettare il mio orientamento, scelsi di far parte di una delle associazioni LGBTQIA+ della città. Principalmente ci occupavamo di organizzare varie attività sul territorio con il supporto di associazioni simili: banchetti di prevenzione e sensibilizzazione sull’AIDS, fiaccolate per i diritti, uno sportello di ascolto per tutti coloro che avrebbero avuto bisogno di un luogo in cui sentirsi capiti e accettati. Ed è proprio lì che ho conosciuto ragazzi che vivevano con estremo disagio il loro orientamento nell’ambiente familiare, tra cui alcuni a cui non era stato permesso di far ritorno a casa, nonostante fossero alle volte anche minorenni. In quelle situazioni, io che per qualche mese ho vissuto da solo in camere condivise nei pressi dell’università di lingue, ho offerto il mio letto per permettere loro di avere un posto in cui dormire per qualche giorno finché non fossero riusciti a trovare un’alternativa.
Ferite invisibili, che restano sottopelle. Quali sono le difficoltà più grandi che affrontano ragazzi e ragazze quando vengono rifiutati dalle loro famiglie?
Parliamo prima di tutto di un problema pratico. Dove dormire, come vivere, come gestire i propri risparmi, se ne si hanno, il che è sicuramente fonte di stress. La difficoltà più grande però, quella che rimane nel tempo appunto sotto la pelle, quella più invisibile, è sicuramente l’impatto sulla salute mentale. Il rifiuto e l’abbandono da parte di chi avrebbe dovuto solo amarti ti restano dentro: li porti con te in ogni luogo e ci lotti per il resto della tua vita.
Dal Sud Italia alla Spagna, e ritorno: il volontariato come bussola
Durante gli anni vissuti in Spagna, Domenico entra in contatto con Sonar Despierto, un’associazione che si prende cura di bambini e adolescenti ospitati in centri d’accoglienza. Organizza corsi di danza e attività ludiche, portando il gioco e la leggerezza in vite segnate da povertà, dipendenze familiari e sofferenze. Più recentemente, spinto dalla passione per la psicologia, decide di formarsi per diventare operatore volontario di Progetto Itaca, una realtà che offre ascolto e supporto a persone con disturbi mentali.
Ci racconti la tua esperienza?
Progetto Itaca ha lasciato in me un segno evidente. L’associazione l’ho ricercata negli ultimi anni, quelli della pandemia. Ho avuto modo di far parte della loro linea di ascolto, rispondevo al numero verde. In quel periodo ho conosciuto tante persone attraverso una cornetta: persone con problematiche di schizofrenia, persone afflitte da bipolarismo di tipo 1 e 2, persone che lottano tutti i giorni con la depressione. Alcuni spezzati da quelle malattie che li avevano allontanati dal mondo. Altri estremamente dolci e vulnerabili, che mi ricordavano quanto fosse bello avere dell’affetto intorno.
C’è una storia che ti è rimasta particolarmente nel cuore?
Ce ne sono tante in realtà. In modo molto chiaro ricordo un signore di Barletta che mi chiamava spesso alla linea di ascolto. Sia lui che sua madre soffrivano di bipolarismo e percepivo spesso il peso che gravava, non solo sulla sua vita e sulla sua mente, ma anche sulla sua famiglia. Un dettaglio bellissimo, che ricordo, è che anche nei suoi momenti di down, quando era al limite della sopportazione e mi chiamava per uno sfogo personale, finiva per raccontarmi dei modellini di barche che costruiva insieme a suo figlio. Ogni dettaglio che raccontava era un atto d’amore.
Com’è cambiata la tua vita da quando hai iniziato a fare il volontario?
Ti direi che sicuramente è cambiata. Non so dire se in meglio o in peggio. Alla fine, porti dentro tanta sofferenza, ma guadagni un’empatia che ti insegna a non dare mai nulla per scontato nella vita. Ogni gesto gentile è un dono, mai un dovere. Però ciò che mi ha sempre colpito, con una certa amarezza, è rendermi conto di quante poche persone, ancora oggi, scelgano di dedicare parte del proprio tempo a donare agli altri un po’ di quella serenità che la vita ha concesso loro – non per diritto, ma per privilegio. Dobbiamo sempre ricordarci che ogni percorso è unico, e forse quello verso l’empatia è il più lungo e complesso di tutti.
Cosa diresti oggi a un adolescente che ha paura di fare coming out o a un genitore che fatica ad accettare il proprio figlio?
Direi che il coming out è una decisione personale e che dovrebbe seguire il sentire del singolo, nei tempi e nei modi in cui la persona sceglierà. In un mondo ideale, però, non dovrebbe nemmeno esistere il bisogno di fare coming out. Nessuno dovrebbe sentire il dovere di giustificare il proprio orientamento sessuale, né tantomeno temere che questo possa essere percepito come un elemento che sminuisce il proprio valore come persona.
Per questo, in questo contesto, essere genitori è un compito ancora più delicato e importante. Chi sceglie di diventarlo ha il dovere non solo di fornire strumenti per affrontare la vita, ma soprattutto di offrire affetto e amore, fondamenta indispensabili su cui un figlio possa costruire la propria autostima. L’amore genitoriale non dovrebbe mai rappresentare un limite, ma essere il carburante della felicità.
Un impegno che continua
Giugno, con il suo arcobaleno di voci e racconti, è il mese perfetto per ricordare che l’ascolto può davvero fare la differenza. E la storia di Domenico ci insegna che anche una sola persona, con empatia e coraggio, può diventare punto di riferimento per chi è in cerca di una voce amica. Perché l’inclusione non si celebra soltanto: si costruisce, ogni giorno, anche nei piccoli gesti.