Non è solo questione di soldi. Quella violenza economica di genere da studiare, raccontare, contrastare
Partiamo dai numeri, drammatici nella loro esemplificazione. Oggi 1 donna su 3 non percepisce una fonte di reddito propria e soltanto 1 donna su 20 ne ha una integrativa. Anche i consulenti finanziari sarebbero più inclini a illustrare prodotti e servizi quando si trovano a dialogare con un uomo, invece che con una donna. È quanto emerge da una recente indagine realizzata dall'Università Cattolica di Milano. Si tratta di un pregiudizio che alimenta quella violenza economica di genere in un circolo vizioso molto difficile da scardinare e che proviamo oggi su queste pagine a raccontare. Perché questo bias è da superare. Ma c'è di più. Da tempo anche per l'Italia il quadro è reso peggiore dalla scarsa educazione finanziaria in Italia: siamo il penultimo Paese G20. Inoltre meno della metà delle donne hanno intrapreso percorsi di conoscenza finanziaria rispetto al 65% degli uomini. Ma qualcosa si può e si deve fare. Anche perché in questa fase storica i media digitali sono contemporaneamente punti di accesso al mondo finanziario e luoghi di scambio e socializzazione.
Il problema emerge quando, in una situazione di sbilanciamento di potere o di abuso, l'uomo utilizza la gestione del denaro per esercitare un controllo
Divari da colmare
«Il divario di genere nell'ambito finanziario è evidente a tutti, sia agli operatori che al pubblico in generale, ma finora si è fatto ancora troppo poco per attuare soluzioni efficaci al fine di ridurlo. Secondo i risultati delle nostre ricerche è imperativo intervenire su diversi fronti. Innanzitutto è cruciale agire sulla consapevolezza. È necessario formare gli operatori riguardo all'influenza che gli stereotipi di genere esercitano sul loro lavoro. Inoltre è fondamentale implementare strategie di comunicazione nell'ambito dell'educazione finanziaria, mirate in modo più efficace al pubblico femminile, utilizzando linguaggi meno stereotipatamente maschili». Così afferma Claudia Manzi, professoressa ordinaria alla facoltà di Scienze della Formazione (UCSC) all'università Cattolica di Milano e vice-presidente del Gender Equality Plan nello stesso ateneo. Si parla tanto di violenza di genere, ma solo negli ultimi tempi ci si dedica a quella economica. Ma in realtà i due temi sono interconnessi. «L'ambito economico è uno dei primi ambiti in cui la donna può cadere in una situazione di mancanza di autonomia nella coppia. Infatti le prescrizioni di genere legate agli stereotipi portano le donne a delegare agli uomini tutto quello che ha a che fare con pratiche burocratiche, tasse, gestione dei soldi Ma attenzione. Questo lo fanno anche le donne che sono molto istruite. Di per sé dividersi i compiti in una coppia non ha nulla di male. Il problema emerge quando, in una situazione di sbilanciamento di potere o addirittura di abuso, l'uomo utilizza questo suo ruolo per esercitare un controllo nei confronti della sua partner», precisa Manzi, che da anni si occupa di stereotipi di genere, anche in relazione all'uso del denaro.
Le donne si sentono meno competenti degli uomini anche quando le conoscenze oggettive sono allo stesso livello. È lo stereotipo di genere
La necessità dell'empowerment
«Il gender gap nell'educazione finanziaria è legato a una molteplicità di fattori culturali, sociali ed economici. Oltre che parlare di conoscenze oggettive, è rilevante dedicare la giusta attenzione alle competenze percepite, ossia focalizzarsi su quanto donne e uomini si sentono competenti quando si tratta di denaro. Da un nostro recente studio è emerso che il gender gap nella percezione del proprio livello di competenza è tanto presente nella popolazione generale quanto tra coloro che hanno svolto studi in ambito economico-finanziario. In altre parole le donne si sentono meno competenti degli uomini anche quando le conoscenze oggettive sono allo stesso livello. Per spiegare questo fenomeno dobbiamo considerare il ruolo degli stereotipi di genere presenti nella società contemporanea, con il pregiudizio dell'uomo meglio in grado di compiere scelte finanziarie complesse», afferma Edoardo Lozza, professore ordinario alla facoltà di psicologia (UCSC) all'Università Cattolica di Milano. Tra le più recenti pubblicazioni spicca “Psicologia del denaro: un approccio storico-genetico” per Vita e Pensiero (2023). Per Lozza gli effetti di queste convinzioni stereotipate – presenti in donne e uomini indistintamente – seguono una duplice direzione: la discriminazione diretta e l'interiorizzazione dello stereotipo. Da un lato si verifica un accesso più limitato all'educazione finanziaria da parte delle donne, dall'altro lato questi stereotipi di genere sono talvolta fatti propri dalle stesse donne, rendendo più difficile una corretta gestione del denaro e la messa in pratica delle proprie conoscenze finanziarie. I programmi educativi sono certamente importanti per aumentare il livello di financial literacy, ma vanno affiancati da iniziative di empowerment femminile per legittimare il ruolo della donna nel contesto finanziario», puntualizza Lozza.
Professor Lozza, facciamo un passo indietro. Cosa rappresenta il denaro?
Più che uno strumento o un oggetto, il denaro è sempre più anche un modo di relazionarci con gli altri. Oggi i soldi sono oggi al centro di una mentalità sempre più diffusa in cui ci aspettiamo che le nostre relazioni sociali siano esclusivamente come quelle del mercato: competitive, oggetto di calcolo, egoiste ed individualiste. Questo comporta il fatto che il denaro impatta sul nostro modo di relazionarci con gli altri, nonché con la società più in generale, anche al di fuori degli scambi di mercato.
Professoressa Manzi, cosa comporta non avere autonomia economica?
Non avere una indipendenza economica dal partner significa per una donna mettersi in una situazione in cui è più difficile sottrarsi ad altri tipi di abusi. Qundi è sempre meglio non delegare del tutto ad altri la gestione dei propri soldi
Professor Lozza, perché spesso nella sua gestione inciampiamo non riusciamo a essere razionali?
Il denaro nasce e si sviluppa come strumento di rendicontazione e di scambio, ma nel corso della storia, in numerose situazioni esso tende spesso a diventare un fine pervasivo ed assorbente. Sono però queste le situazioni in cui questo strumento smette di essere neutrale e determina tutta una serie di effetti psicologici e comportamentali, ben esemplificati dai bias cognitivi evidenziati dall'economia comportamentale, così come dalle emozioni a volte incontrollabili che può suscitarci, evidenziate tanto dalla psicoanalisi quanto dalle neuroscienze.
Professoressa Manzi, che opportunità offrono i social?
Molteplici, in primis il facile accesso a informazioni finanziarie di qualsiasi natura e a iniziative di educazione finanziaria. Le innumerevoli fonti di informazioni contribuiscono a una maggiore trasparenza nei mercati finanziari, aiutando gli investitori a prendere decisioni maggiormente informate. Inoltre negli ultimi anni si sono moltiplicati i podcast a tema economico-finanziario, che offrono un'occasione preziosa per comprendere concetti complessi in maniera chiara e alla portata di tutti.
Professor Lozza, ma quali sono i rischi più evidenti che si annidano?
In primo luogo c'è la disinformazione: soprattutto per persone inesperte, non è sempre facile identificare informazioni inesatte o dettate da interessi puramente commerciali. Poi c'è l'abbondanza di informazioni disponibili può essere travolgente, rendendo difficile discernere tra ciò che è rilevante e affidabile e ciò che non lo è. Come ultimo punto, la costante disponibilità di nuove informazioni può indurre una condizione di dipendenza dal dato, portando le persone a controllare in maniera ossessiva i propri portafogli e preoccuparsi eccessivamente delle continue e naturali fluttuazioni del mercato. È dunque fondamentale che le persone sviluppino una competenza critica nell'interpretare e utilizzare le informazioni a propria disposizione.