Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto. La semplicità come bussola per orientare clienti e aziende
Viviamo in un mondo che corre a velocità aumentata rispetto al passato e che spesso ci impedisce di comprendere e decodificare fenomeni nuovi. Un mondo connesso e al tempo stesso interconnesso, le cui azioni possono determinare reazioni imprevedibili. Eppure abbiamo necessità di fotografare quello che avviene, di scattare un'istantanea seppur sfocata perché in movimento, di rallentare per poter ragionare sui trend emergenti internazionali che stanno riscrivendo prodotti, servizi, visioni, relazioni. Questa è il senso della nostra nuova rubrica Insights. Si tratta di contenuti di approfondimento in logica longform. Con appuntamenti ricorrenti mensili vi proporremo racconti approfonditi su alcuni temi chiave. Un modo per comprendere quello che sta avvenendo intorno a noi e per raccogliere le sfide future che riguardano persone, imprese, comunità. Buona lettura.
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Pensiamo alla definizione della parola semplicità. Qualcosa privo di complessità, che può essere usato o pensato senza particolari difficoltà. È così? Certo. Ma se proviamo ora ad accostarlo a un brand, qual è il primo che vi viene in mente? Semplice, Apple! Il marchio della mela rosicchiata è stato uno dei primi ad abbracciare la semplicità come unico mezzo per arrivare a tutti. E non sorprende se per la prima volta dopo tanti anni il suo gioiello, ossia l'iPhone, abbia superato Samsung nelle classifiche delle vendite globali. Perché a quasi diciassette anni dalla prima apparizione sul mercato, dopo numerosi aggiornamenti software e hardware Cupertino non ha mai voltato le spalle al suo mantra easy is better! Due soli tasti: uno centrale e quello di blocco. Forme morbide, colori tenui e una facilità di utilizzo che abbraccia qualsiasi utente. Forse è stata proprio la Apple a inaugurare l'era della semplicità tecnologica: se fino all'iPhone ogni telefono cellulare era pieno di tasti con uno schermo piccolo e una fruizione respingente, l'azienda californiana ha lanciato un modo di usufruire dei tool che non ha eguali nel ventunesimo secolo. Eppure prima di Steve Jobs un'altra azienda aveva osato semplificare al massimo, diventando un caso di successo mondiale. «Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto». Così nel lontano 1888 George Eastman (insieme a Thomas Edison nella foto grande - Library of Congress / Getty Images), imprenditore statunitense fondatore della Kodak e inventore di quella che sarebbe diventata la prima fotocamera per non professionisti, descrive l'innovazione che avrebbe rivoluzionato il destino non solo di un'azienda, ma del mondo intero.
Tutto parte dalla preparazione di lastre secche alla gelatina-bromuro, che diventano pellicole trasparenti. Eastman aveva questa sana ossessione per la semplificazione. Mettersi in ascolto è essenziale per migliorarsi. Così nel 1892 fonda la Eastman Kodak, prima società impegnata a produrre apparecchi fotografici pieghevoli e apparecchi cinematografici a passo ridotto, ossia a 16 millimetri, su larga scala e a prezzi popolari. Ma c'è di più. Eastman destina la sua ricchezza per istituzioni culturali, educative e scientifiche. Nel 1920 crea un particolare apparecchio fotografico destinato alla medicina odontoiatrica e fa costruire diverse cliniche odontoiatriche per bambini bisognosi a Rochester, Londra, Parigi, Bruxelles, Stoccolma e Roma. Nel 1921 fonda la Eastman School of Music, una delle più prestigiose scuole di musica a livello internazionale. «Il mondo è sempre in movimento e un'azienda che si accontenta dei risultati che raggiunge in un determinato momento, presto resta indietro». Questa ambizione, unita alla semplificazione, è al centro del pensiero di Eastman. Quasi un secolo dopo l'intuizione di Eastman - siamo intorno al 1970 - un giovanissimo ingegnere di vent'anni dipendente proprio della Kodak, tale Steven Sasson, riesce a costruire la prima fotocamera digitale portatile. Lo fa partendo proprio da quell'idea di semplificazione che aveva contraddistinto quello startupper statunitense. Ma attenzione. Come scrive Chiara Alessi nel suo guest post, «c'è differenza tra semplice e facile. Non basta levare o mettere, bisogna sapere che cosa, come e perché. Fare buon design è un mestiere difficile che deve sembrare facile».
Semplice come l'AI
Oggi il percorso verso la semplificazione della tecnologia è assodato e tutte le imprese si orientano verso quelle esperienze definite da Kevin Roose, columnist del New York Times, come frictionless (ne avevamo già parlato su Sella Insights). Eppure anche questo percorso sta portando molti a ragionare su come il nostro approccio alla realtà stia cambiando. È possibile che usare i nuovi strumenti messi a disposizione come l'intelligenza artificiale stiano influenzando il nostro modo di avere esperienza del mondo? La domanda su ciò che possiamo conoscere ha tormentato i filosofi per secoli. Immanuel Kant nella sua "Critica della ragion pura" ha espresso l'idea che gli oggetti in sé, al di là della nostra percezione sensoriale, siano del tutto ignoti. Possiamo conoscere solo la realtà fenomenica, mentre il noumeno, ciò che si trova al di là della realtà sensibile, ci resta ignoto. Ma come questa riflessione si riflette nella modernità, in particolare nell'era dell'intelligenza artificiale e della realtà virtuale? Le tecnologie emergenti non solo stanno cambiando la nostra percezione della realtà, ma stanno anche influenzando il nostro pensiero e i paradigmi ontologici che ci definiscono in quanto umani. L'intelligenza artificiale può simulare il pensiero, ma potrà anche andare oltre, creando nuove forme di ragionamento e conoscenza? Questo quesito solleva domande profonde sulla natura dell'essere e su ciò che significa essere umani in un mondo in cui anche le macchine possono pensare. Se Kant sottolineava l'inaccessibilità del noumeno, oggi ci troviamo di fronte a una realtà virtuale modellata da intelligenze artificiali che sconvolgono radicalmente i paradigmi tradizionali e aprono orizzonti esaltanti, misteriosi e complessi da decifrare. E non è detto che fenomeno e noumeno siano più così distinti.
Fabio Moioli, Executive Search & Leadership Advisor per Forbes, è convinto che dopo due anni dall'esplosione di ChatGPT e dagli applicativi delle AI in genere, il modello conversazionale a cui siamo abituati chiamato LLM (Large Language Model) stia per essere soppiantato dai World Models, dei modelli di AI in grado di integrare i dati e utilizzarli per ragionare su nuove scoperte scientifiche. «Immagina un modello di intelligenza artificiale progettato per la scoperta di farmaci, analizzando le strutture molecolari. Questo modello non è solo linguistico; si sta avventurando nel regno della linguistica biologica. E nella robotica i WM consentono alle macchine di comprendere e interagire con il mondo con un livello di sofisticazione senza precedenti, combinando dati visivi, suoni, percezione fisica e persino sensori non umani come infrarossi, radar, scanner termici e altri dati mondiali dell'IoT», scrive Moioli. Insomma, il mondo diventerà il suo linguaggio di testo interpretabile e riconoscibile. L'essere umano può usufruire di uno sviluppo del genere per arrivare a conoscere ciò che è al di là del percepito e semplificare processi prima molto complessi in poche mosse. Eppure uno sviluppo del genere non è così semplice.
Semplificare, ma come?
Anche se per ora gli sviluppi più avanzati dell'AI non sono diffusi capillarmente, c'è da aspettarsi che tra pochi anni possano essere alla portata di tutti. La domanda è come cambieranno i customer service e il nostro modo di apprendere e lavorare. Ad esempio, in risposta alla crescente presenza dell'intelligenza artificiale nell'istruzione, l'UNESCO ha chiesto un approccio trasparente e incentrato sull'uomo all'uso di queste tecnologie. L'obiettivo è spostare il dibattito per includere il ruolo dell'AI nell'affrontare le attuali disuguaglianze relative all'accesso alla conoscenza, alla ricerca e alla diversità delle espressioni culturali e per garantire che l'AI non aumenti i divari tecnologici all'interno e tra i paesi. La promessa dell'AI per tutti deve includere i benefici della rivoluzione tecnologica in corso e accederne ai frutti, in particolare in termini di innovazione e conoscenza. Lo stesso sta accadendo nel mondo del lavoro: secondo un'indagine del Wall Street Journal l'AI sembra poter svolgere molti compiti al posto dei colletti bianchi. Secondo la testata anglosassone, il 25% dei compiti è oggi automatizzabile: presentazioni, e-mail, piani di lavoro, contratti. Tutti processi per cui prima era impiegata una persona, oggi svaniscono e a prenderne il posto sono le AI. Inoltre lo sviluppo di questi task costa 10 volte in meno rispetto agli esseri umani. Questo sta già causando dei licenziamenti in massa e una rimodulazione dei luoghi di lavoro. Tuttavia esistono anche altre realtà che hanno deciso di implementare l'uso delle intelligenze artificiali: stiamo parlando di tutte quelle aziende che svolgono lavoro a contatto coi clienti e hanno deciso di migliorarne l'esperienza semplificando operazioni e interazioni.
La semplificazione per le banche
La relazione tra banche e clienti anche grazie all'AI sta migrando verso nuovi lidi: se touchpoint come sportelli, siti o bancomat hanno condizionato il servizio clienti per decenni, oggi l'implementazione delle nuove tecnologie sta soppiantando questi punti di contatto per fare spazio a dei nuovi. Un esempio sono gli assistenti virtuali che non solo permettono di gestire le proprie finanze, bensì di pianificare e investire. Questo permette di avere tre vantaggi principali: il primo è consentire ai clienti di navigare facilmente tra i servizi bancari; il secondo è ridurre la necessità di interventi manuali e abbassare di conseguenza i costi operativi; infine il terzo è aumentare le opportunità di cross-selling per offrire consigli sui prodotti su misura. Nel mondo tre esempi possono essere considerati all'avanguardia nell'integrazione dell'AI nel customer service: in America HSBC ha introdotto Amy, assistente virtuale generativo basato sull'AI che fornisce guida e assistenza finanziaria personalizzata ai clienti. Amy assiste gli utenti con attività quali la gestione dei conti, la pianificazione finanziaria e i consigli sugli investimenti. Un altro esempio è quello di JP Morgan Chase che ha sviluppato COIN, sistema generativo che automatizza la revisione e l'estrazione di informazioni rilevanti da documenti legali. Questo sistema semplifica il lungo processo di revisione dei documenti, migliora la precisione e riduce i costi operativi. L'ultimo è il NAV Planner di DBS Bank, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale generativa per fornire ai clienti consigli di investimento personalizzati e approfondimenti sulla pianificazione finanziaria. Questo approccio basato sull'intelligenza artificiale aiuta i clienti a prendere decisioni di investimento informate e personalizzate in base ai loro obiettivi finanziari e profili di rischio. Ciò non vuol dire che l'intelligenza artificiale abbia ancora raggiunto il suo pieno potenziale. Ci sono ancora innumerevoli questioni e normative da affrontare per il suo utilizzo. Tuttavia sono state gettate le basi per rivoluzionare il customer service bancario e creare un'esperienza eccellente per clienti e agenti. Ma quale sarà il futuro di quest'ultimi?
Nel segno dell'empatia
Diciamolo chiaramente e senza timore di essere smentiti. Tutte queste novità nel campo del customer service non soppianteranno le relazioni tradizionali, soprattutto quelle che presuppongono uno scambio tra operatore e cliente. Secondo Blake Morgan, redattrice di Forbes ed esperta di customer experience, l'intelligenza artificiale non può sostituire l'interazione umana e per quanto i clienti desiderino velocità ed efficienza, «vogliono anche qualcuno che li capisca e ciò non può sempre derivare dall'intelligenza artificiale. Gli agenti del servizio clienti forniscono un elemento umano fondamentale: l'empatia. Fornendo il meglio di entrambi i mondi: semplificazione ed empatia umana, l'intelligenza artificiale può creare clienti più soddisfatti e dipendenti più coinvolti». La giornalista cita una ricerca dell'Harvard Business Review in cui viene spiegato come le aziende che applicano strategicamente l'intelligenza artificiale al servizio clienti creano una nuova serie di attività umane, molte delle quali hanno un valore maggiore rispetto alle tradizionali responsabilità, tra cui: perseguire il miglioramento continuo avendo più tempo per la formazione; assicurare che il sistema di IA sia in linea con il cliente e non alteri i principi etici; testare e valutare gli avatar per le interazioni e infine, monitorare la privacy dei dati e ridurne al minimo la distorsione. Quando le aziende riprogettano i lavori del servizio clienti tenendo presente queste nuove attività possono creare un ambiente di lavoro più coinvolgente e attrarre più facilmente grandi talenti e clienti esigenti. Le banche sono tra le prime imprese che hanno sviluppato dei customer service di qualità integrando l'AI nei meccanismi di scambio cliente-operatore semplificando questo processo e permettendo agli operatori bancari di migliorare l'esperienza in un'ottica predittiva. Un percorso inaugurato da poco tempo che è destinato a rivoluzionare i touchpoint consueti con l'approccio dei World Models dove l'AI non sarà solo in grado di generare, ma di predire un concetto o un'operazione. Forse il noumeno non è così inafferrabile. E forse le nuove frontiere della semplificazione, sfruttando proprio l'AI, riusciranno a posizionarsi al meglio su quel terreno pioneristico legato ai servizi predittivi. Prima ancora di chiedere, l'azienda riuscirà a soddisfare il nostro desiderio quasi inconscio e non ancora esplicitato. A questo punto, riprendendo Eastman, non si dovrà neppure premere il pulsante perché l'azienda saprà comunque fare il resto. E lo saprà fare al meglio.