Settembre, tempo di ripartenze. Ma quello passato a pensare (o a fare altro) non è senz’altro perso. Anzi…
Questa è la nuova puntata della nuova rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Rileggi le precedenti puntate dedicate su Sella Insights.
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Una scena di mezza estate. Mi ritrovo nella piazza di una cittadina medievale di una Toscana meno conosciuta, seduto al tavolino del bar storico della piazza centrale. È giornata di mercato, gli spazi sono pieni di persone, locali che fanno la spesa alle bancarelle o che parlano, turisti, camminatori, ciclisti sudati. In effetti l’umidità si fa sentire quest’anno e il clima non è certo confortevole. Ma ci sono tante persone che, nonostante tutto, passeggiano per la piazza, per una volta liberata dalle automobili. Mi guardo attorno, vedo i volti di persone indaffarate, che passano di corsa, altre si sono fermate a chiacchierare con conoscenti, ridono, parlano, ordinano, fanno i conti di quello che devono fare, accendono un sigaro, fanno conoscere due cani che si annusano davanti e dietro, senza litigare. C’è chi entra nel negozio di fianco, chi dal tabaccaio, chi aspetta il suo turno davanti alla bancarella di frutta e verdura, chi assaggia il cacio locale per decidere se acquistarlo, chi chiacchiera con l’agricoltore locale che fa bella mostra della sua produzione, chi si affretta per andare in Comune prima che chiuda. È vacanza un po’ per tutti, una scena di vita quotidiana, senza nulla di particolare: non succede nulla che sia al di fuori di una giornata normale, come tutte le altre. Eppure è bello osservare quella normalità che ti scorre davanti. Mi accorgo di aver dimenticato il cellulare, ma chi se ne importa. In altri momenti, a Milano, non avere con me quell’avatar digitale della mia persona mi farebbe sentire inadeguato, quasi nudo, senz’altro fonte di ansia… Qualcuno mi cerca, mi doveva chiamare uno per un’intervista, magari i figli mi cercano e si preoccupano. Perché oggi tutto è in tempo reale, non siamo più abituati ad aspettare o a far aspettare, se non si risponde subito è come se avessimo perso un’occasione o fossimo scomparsi del tutto, se non leggiamo il messaggio immediatamente è come se avessimo detto all'interlocutore che non ci interessa nulla di lui. Non che sia una scoperta che faccio adesso, quante pagine sono state scritte e lette su questi temi. Ma me ne rendo conto più di altre volte.
Allora provo a fare a meno del cellulare, anche se in fondo mi sento preda di un certo disagio. Faccio finta di niente. Mi guardo attorno. Ci sono due cicloturisti stranieri appena arrivati, hanno ordinato brioche e succhi di frutta, sorridono: lei bionda e occhi azzurri, lui più alternativo, capello lungo e maglietta colorata. Entrambi sfruttano la pausa per aggiornarsi sui messaggi ricevuti, la testa bassa rivolta agli schermi luminosi. Anche nel tavolo di fianco una famiglia intera è china sui cellulari: hanno consumato e adesso non si parlano neanche, ognuno chiuso in una sua dimensione, isolati rispetto agli altri. Per fortuna di fianco una coppia di anziani ride e prosegue a raccontarsi i propri pensieri. Ma accanto un’altra tavolata di persone di diverse età ha in mano lo smartphone, qualcuno legge e scorre le pagine, altri lo tengono in mano e lo consultano ogni tanto, come per rassicurarsi, ma più che altro in preda a una nevrosi inconsapevole. Siamo tutti un po’ così, schiavi di quella dimensione virtuale in cui sempre più siamo convinti sia racchiusa la realtà, le persone, gli amici. Ma quanta realtà “vera” ci perdiamo quando siamo così isolati: non ci accorgiamo di quello che ci succede attorno, delle persone che ci passano di fianco, di quello che fanno, del loro umore e dei loro comportamenti.
Il mio pensiero continua a procedere per vie incontrollabili e salta da una cosa all’altra, apparentemente senza una logica. Allora penso alla nostra dimensione lavorativa. Anche lì siamo sempre immersi in una realtà digitale necessaria per lo svolgimento del nostro compito, sempre con uno sguardo alternato sullo smartphone sempre a portata di mano. Tanto più dopo il lockdown e l’emergenza pandemica tendiamo a rinchiuderci ancora di più all’interno delle nostre realtà. Intendiamoci, anch’io lavoro benissimo da casa e, anzi, il mio lavoro è decisamente più efficiente senza tutte le interruzioni in un ambiente sociale come l’ufficio, ma forse davvero ci perdiamo qualcosa che è importante: il mondo che ci circonda, le persone con le loro esigenze e le loro abitudini, i colleghi e le chiacchiere davanti alla scrivania o alla classica macchinetta del caffè con le idee che ne possono nascere. Siamo tutti troppo immersi e distratti in quella dimensione virtuale in cui ci sembra che si esaurisca la realtà.
Allo stesso tempo siamo tutti un po’ troppo assorbiti dal nostro lavoro, come se fosse un compito scolastico da svolgere a testa bassa e con determinazione fin eccessiva, senza avere il tempo per pensare. Ecco… pensare. Questo è il grande pregio di questi periodi di vacanza. Non abbiamo più una mansione da ricoprire, un obiettivo da raggiungere, una scadenza da rispettare: è come se, al contrario, avessimo del tempo libero che dobbiamo riempire, che ci permette di seguire i nostri pensieri, di vedere le altre persone, di riscoprire passioni e interessi. Bella scoperta che ho fatto… Non l’aveva mai detto nessuno. Penso alle prossime settimane, quando torneremo al nostro lavoro e mi chiedo se non sarebbe meglio se riuscissimo a portare un po’ di questa capacità di alzare la testa dallo smartphone, dal computer, dal nostro lavoro, per pensare. D’altra parte, finché svolgiamo il nostro lavoro con dedizione e precisione abbiamo fatto il nostro dovere. E nessuno potrà rimproverarci. Ma, tanto più in un’epoca come questa in cui tutti, aziende e persone, si devono confrontare con lo strapotere dell’intelligenza artificiale, la vera competitività si gioca sull’intuizione e la creatività dell’intelligenza umana. Allora ritagliarsi del tempo per pensare può essere davvero fondamentale per noi e per le nostre aziende: può essere il semplice cazzeggiare o leggere un libro, guardare una serie tv o fare una passeggiata, seguire il flusso dei pensieri o dei video su YouTube. Comunque alzare lo sguardo per vedere quello che c’è intorno a noi, le persone, le cose, le innovazioni, i comportamenti, i gusti. Ognuno può trovare la sua dimensione, ma l’importante è riuscire a mantenere questo squarcio di approccio da vacanza anche sul lavoro. Il sociologo Domenico De Masi diceva che i veri ricchi nell’era della conoscenza sono quelli che hanno tempo: le persone sono talmente prese nella loro frenesia quotidiana e lavorativa che chi riesce ad alzare la testa finisce per avere le idee vincenti. Fabiola Gianotti confessa che le idee migliori le ha in coda al supermercato. C’è l’azienda che impone ai suoi dipendenti almeno un giorno al mese di fare quello che vogliono, senza dover rendere conto a nessuno, e quel giorno il centralino non può passare nessuna telefonata. Ma nel caso meglio spegnere anche il cellulare! Insomma, che ogni singolo e ogni azienda trovi la sua modalità, ma l’importante è fare in modo che ciascuno possa essere messo nelle condizioni di poter pensare. Anche l’ultimo dei dipendenti può avere l’idea giusta per modificare l’organizzazione del lavoro, per creare valore nella sua funzionalità, per inventare nuovi servizi o nuovi modelli di business. Così come ciascuno di noi può inventarsi qualcosa per imprimere una svolta alla nostra semplice e noiosa quotidianità.