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Quel difficile ma necessario equilibrio da trovare per il bene di tutti tra diritti e tecnologia

La storia dell'umanità è stata scandita da grandi salti tecnologici che hanno avuto enormi conseguenze sull’organizzazione sociale e sulle modalità del lavoro. Ma tutto ciò richiede un bilanciamento delle misure e un approccio concordato con tutte le parti, non calato dall’alto, per poter arrivare a un compromesso proficuo per tutti. La riflessione di Pierangelo Soldavini
Quel difficile ma necessario equilibrio da trovare per il bene di tutti tra diritti e tecnologia
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Questa è la nuova puntata della rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini, un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Qui puoi leggere le precedenti puntate.

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Uno dei migliori matematici mondiali, l'italiano Alfio Quarteroni, ammette con grande umiltà che oggi nessuno è in grado di dire che direzione prenderà l'intelligenza artificiale. D'altra parte in tre anni abbiamo già scoperto più di una nuova frontiera della tecnologia già prima abbondantemente utilizzata in diversi ambiti per le sue abilità previsionali. Non abbiamo fatto in tempo a conoscere l’AI generativa, che si mette sul nostro stesso piano facendo concorrenza nella produzione di contenuti intellettuali, che la prospettiva è subito cambiata e ora dobbiamo fare i conti con gli agenti AI che arrivano a decidere per gli umani, lasciando intravedere un futuro per alcuni versi inquietante. 

Ora uno dei massimi esperti di AI ci dice che non sappiamo quale potrà essere il prossimo step, forse l'intelligenza artificiale generale, quella in grado di mettere insieme tutte le sue abilità confrontandosi direttamente con la capacità di ragionamento dell’essere umano. Eppure lo stesso Quarteroni ha appena pubblicato un libro in cui, per una volta, dismette i panni del matematico puro calandosi in quelli del divulgatore, proprio per sciogliere ansie e paure e favorire una maggior comprensione della nuova frontiera tecnologica e delle sue enormi potenzialità in una logica di potenziamento piuttosto che di sostituzione. Lo fa con grande efficacia, pur senza nascondersi rischi e controindicazioni.

D’altra parte dalla ruota in poi, la storia dell'umanità è stata scandita da grandi salti tecnologici che hanno avuto enormi conseguenze sull’organizzazione sociale e sulle modalità del lavoro, ma che dipendono in massima parte dall’uso che ne fa l’essere umano. La ruota può essere utilizzata per facilitare gli spostamenti o per alleviare il carico dell’aratro nei campi, ma anche per rendere più veloci i carri da guerra, così come la dinamite può servire per rendere meno faticoso il lavoro nelle miniere, così come per uccidere i nemici con maggior efficacia. Ancor più oggi strumenti potenti e di portata globale come internet o lo smartphone sono condizionati nei loro effetti dall’uso che se ne fa, come abbiamo potuto verificare in più occasioni con la possibilità di falsificazione della realtà o di manipolazione delle coscienze. Figuriamoci cosa si possa immaginare di fare con algoritmi dalla portata infinita e ignota come quelli di AI: l’aumento esponenziale delle potenzialità tecniche si coniuga con le questioni etiche legate ai potenziali utilizzi. Tanto più se abbiamo perso di vista – e lo ammettono persino gli esperti – le modalità con cui una tecnologia come l’AI produca i suoi effetti: l’abbiamo istruita per imparare in maniera autonoma e non siamo più in grado di comprendere come possa ragionare. Il principio di precauzione che deve connotare il modo in cui affrontiamo il progresso scientifico e tecnologico si trova così, una volta di più, di fronte al dilemma di volere - o dovere - porre dei limiti per evitare utilizzi fuorvianti o malevoli, controproducenti per l’essere umano. Si tratta di un vero dilemma, quello della regolamentazione: se da una parte, di fronte a un’innovazione in grado di cambiare le vite di tutti, diventa urgente fissare dei paletti e dei criteri all’utilizzo, il rischio è quello di bloccarne lo sviluppo con condizioni troppo stringenti. 
Non c’è, infatti, nulla di più divisivo di tentare di regolamentare la tecnologia. Lo dimostra l’AI Act, il corpo di regole che l’Europa, prima tra le potenze globali, ha voluto con determinazione approntare per favorire un uso consapevole e controllato dell’intelligenza artificiale in termini di comprensione, trasparenza, spiegabilità e responsabilità. Un corpo di regole che rappresenta un unicum e che si confronta con l’enorme libertà dei concorrenti americani e cinesi nell’esplorare senza limiti i confini della tecnologia: l’Europa punta a mettere dei paletti per orientarne l’utilizzo prima che sia troppo tardi, i concorrenti vogliono testare i limiti futuri per capire come poterli controllare, ma solo a posteriori. Con il rischio concreto che la zavorra regolamentare, pur alimentata dalle migliori intenzioni, finisca per frenare ulteriormente le aziende europee che già faticano a tenere il passo con i colossi cinesi e americani. Ma, allo stesso tempo, a pena di arrivare troppo tardi, una volta che le conseguenze siano sfuggite di mano.

I propugnatori di una visione umanocentrica della tecnologia, strenui difensori dei diritti fondamentali dell’essere umano, accusati di imbrigliare l’innovazione e l’economia legata alle nuove tecnologie, si confrontano con i liberisti estremi, fautori di una deregulation che vuole fare a meno di regole e freni al progresso, almeno in una fase iniziale. Certo, il bilanciamento tra innovazione e regolamentazione è una questione estremamente delicata e sensibile. Basti pensare alle questioni della privacy, con le norme del tanto criticato Gdpr europeo che hanno trasformato la tutela del diritto alla privacy e alla riservatezza delle persone in una massa di documenti e procedure che pesano ogni giorno sulle aziende e sui singoli. 
Ma quello che era accusato di essere un monumento alla burocrazia e un fardello per tutti avrebbe potuto rivelarsi provvidenziale quando si è scoperto che un colosso come Facebook aveva perso il controllo dei dati di milioni di utenti, utilizzati per manipolare le loro opinioni in passaggi cruciali della vita politica dei loro Paesi da una società privata. In quell’occasione il Gdpr europeo si è trasformato in un modello di protezione e di tutela delle persone.

Ora anche i servizi finanziari, per loro natura uno dei comparti più regolamentati del mondo, tornano a essere al centro dell’attenzione. Sull’altra sponda dell’Atlantico l’amministrazione Trump spinge verso una deregulation del settore, dopo avere però adottato un quadro regolamentare preciso, atteso da anni, per lo sviluppo delle criptoattività, segnando quindi un passo doppio e, in qualche modo, contrastante. Intanto in Europa si rischia una pericolosa sovrapposizione di regole nel settore finanziario. La Commissione ha presentato un “Digital Omnibus” con proposte di legge-contenitore e atti collegati per semplificare e rendere coerenti varie norme europee su intelligenza artificiale, dati, cybersecurity e identità digitale. Peraltro lo fa a fin di bene: l’obiettivo dichiarato è semplificare e ridurre oneri amministrativi per le imprese, con una stima di risparmi fino a 5 miliardi di euro, senza abbassare gli standard di tutela. Ma l’Afme – l’associazione che rappresenta le principali banche europee in materia di mercati finanziari – ha già denunciato che, a dispetto degli obiettivi, si profilerebbe una pericolosa sovrapposizione con il Dora per quanto riguarda le normative legate alla sicurezza informatica che porta a una duplicazione di regole e di procedure che vanificherebbe l’obiettivo di risparmio e di efficienza.
Una volta di più l’Europa si presenterebbe quindi nei panni del conglomerato burocratico e regolamentare fatto apposta per frenare le imprese. I detrattori, sempre più compatti e determinati, chiedono di avere meno avvocati, politici, filosofi e burocrati a dettare le strategie sulla tecnologia e più imprenditori, ingegneri e venture capitalist a guidare l’innovazione. “Make it easy” è la sintesi della richiesta che sale forte da Governi sovranisti, attenti alle esigenze delle industrie nazionali e sempre più insofferenti nei confronti del dirigismo di Bruxelles. Così l’Unione europea ha dovuto iniziare ad allentare le rigidità del Green Deal, una delle battaglie di bandiera dell’Europa. La spinta verso la liberalizzazione e la deregulation ha portato ad ammorbidire le regole e allungare i tempi. Con grande sollievo dell’industria, forse un po’ meno del pianeta. Come sempre in questi casi, l’accelerazione della tecnologia, che oggi non concede tregua, richiede un bilanciamento delle misure e un approccio concordato con tutte le parti, non calato dall’alto, per poter arrivare a un compromesso proficuo per tutti. Se non si vuole buttare via il bambino con l’acqua sporca, bisogna mettersi d’accordo su cosa sia il bambino e cosa l’acqua sporca, dove stia un punto d'equilibrio tra tecnologie e innovazione spinta e protezione asfissiante dei diritti. Solo così si può evitare un’involuzione che riduca l’Europa a un vassallo economico e tecnologico di Stati Uniti e Cina, mantenendo allo stesso tempo una cultura adeguata alla persona e al rispetto dei diritti. Make it easy.
 

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