La voce di Gianni all'unisono con le altre voci. Perché il gospel canta lo spirito di squadra
Chiamare il gospel un genere musicale potrebbe non essere la più appropriata delle definizioni: in inglese significa Vangelo e se è vero che si ispira ai salmi della tradizione religiosa battista e protestante e alla spiritualità delle chiese afroamericane, attinge anche da diverse fonti musicali, artistiche e culturali. Con influenze soul, r'n'b e jazz, fare gospel significa soprattutto creare connessioni e legami: con i compagni di coro, con il pubblico, tra persone.
Non si tratta quindi solo di semplici esibizioni. Ad esempio, grazie a quei legami Gianni Berthod ¿ collega di orgogliose origini valdostane al lavoro in Banca Sella da trentuno anni ¿ ha ritrovato una nuova serenità. Nel 2005, in un periodo della sua vita che lui stesso definisce monotono e appiattito, ritrova il sorriso buttandosi a capofitto nel progetto dei Free Voices, coro gospel di Beinasco (TO) nato alla fine degli anni 90. Nel corso del tempo il coro raggiunge una formazione di settanta coristi divisi in quattro sezioni vocali: contralti, soprani, tenori e baritoni, come Gianni. Il gruppo comprende anche una decina di solisti e una band di quattro musicisti che accompagna dal vivo ogni performance.
In questi venticinque anni di attività il coro si è esibito in oltre settecento spettacoli: forte spirito di appartenenza e valore del gruppo sono alla base di quella che Gianni definisce "la mia seconda famiglia" e "qualcosa che mi ha permesso di avere un altro sguardo sul mondo". Perché negli emozionanti spettacoli del gospel nessuno è solo. Nessuno è soltanto spettatore.
Com'è nata la tua passione?
Sono appassionato di musica da sempre e l'amore per il gospel è esploso nel 2005, a seguito di nove anni di fermo attività artistica. Dopo che è nato il mio primo figlio ho dato priorità a famiglia e lavoro. A un certo punto però la mia vena artistica ha ricominciato a pulsare e sono finito a cantare in una chiesa, nel coro parrocchiale. Da lì ho ricevuto due offerte per entrare in altri due cori, l'ho preso come un segno: uno era il coro degli alpini e l'altro un coro gospel, il Free Voices Gospel Choir appunto.
Il gospel mi ha salvato, mi ha aiutato a tornare ad apprezzare le piccole cose, i rapporti umani. Ad essere più felice
Perché hai scelto il gospel?
Mia moglie mi ha detto "se proprio devi ricominciare, scegli il gospel" e non aveva torto. È stata la scelta giusta, mi si è aperto un mondo intero. I miei figli ormai erano diventati grandi abbastanza e avevo davvero bisogno di nuovi stimoli e di motivazione. Ad oggi posso dire che il gospel mi ha davvero salvato, mi ha aiutato a tornare ad apprezzare le piccole cose, i rapporti umani. Ad essere più felice. Ormai lo frequento da ben diciassette anni.
Mi piace sentire l'energia della musica. Nella vita ho fatto di tutto, ho anche suonato in un'orchestra di fisarmoniche
In che modo valorizza il gospel i rapporti umani?
Quando entri in un coro gospel entri in un gruppo molto unito. Il rapporto che si crea con gli altri membri è di totale simbiosi: fin da subito sono stati tutti molto accoglienti e pazienti con me e io cerco di esserlo con i nuovi arrivati. Mi hanno aiutato anche con l'inglese, la lingua del gospel, perché all'epoca lo masticavo poco, ma in fondo sapere la lingua non è poi un requisito così fondamentale. Il gospel devi sentirlo dentro di te, devi ascoltarlo per trasmettere al pubblico le emozioni che provi. Senza lo scambio con il pubblico il gospel non esisterebbe.
Dalla passione che sento, si direbbe che tu sia nato per essere un performer
Mi piace molto sentire l'energia della musica. Nella vita ho fatto di tutto, ho anche suonato in un'orchestra di fisarmoniche in Valle d'Aosta, eravamo in trenta ed eseguivamo musica classica su partiture originali, spaziando dal ¿700 alla musica moderna, da Handel a Bach, da Beethoven a Dvorak. Pensa che uno dei componenti si è diplomato in conservatorio a Pesaro ed è un concertista di fama internazionale di origine biellese. Dalla fisarmonica sono passato all'organo, che oggi suono in chiesa. Diciamo che mi piace sperimentare: in ogni mia esperienza il fatto che conoscessi bene la musica mi ha portato tanti vantaggi, mi ha fatto entrare nei giri giusti e connettere con persone che condividevano la mia stessa passione. E così è stato anche per il gospel.
E un performer come te, come si prepara a un concerto?
La preparazione è fondamentale. Innanzitutto, bisogna concentrarsi su aspetti primari come respirazione, intonazione e postura. Poi ci sono le prove una volta alla settimana con la band di accompagnamento, per lavorare insieme sulla sinergia da trasmettere al pubblico attraverso gesti e movimenti a ritmo. I solisti poi in genere partecipano a incontri specifici perché devono imparare più parti dei brani. Ciò che è sempre richiesto a tutti è di salvaguardare il più possibile la voce, specialmente in inverno. E poi ci prepariamo accordandoci su chi porterà la strumentazione necessaria, l'attrezzatura, chi la monterà sul palco. Siamo tanti tuttofare.
Tutta questa preparazione è d'aiuto contro l'ansia da palcoscenico?
Non ci sono ansie nel gospel. Se fai parte di un gruppo è poco probabile andare in ansia. Il solista canta, in gergo "fa la chiamata", il coro risponde e il pubblico interagisce. Si fa tutto insieme e, se si sbaglia, si sbaglia insieme. Se ci pensi ha un certo fascino. Il senso di appartenenza è l'essenza della filosofia del gospel. Un nostro mentore americano, mancato purtroppo qualche anno fa, diceva sempre che "l'importante è partire bene e finire bene, al resto ci pensa Dio".
Se fai parte di un gruppo è poco probabile andare in ansia. Il solista canta, il coro risponde, il pubblico interagisce. Si fa tutto insieme e, se si sbaglia, si sbaglia insieme
Una filosofia applicabile alla vita
L'obiettivo del gospel è mandare messaggi d'amore e fratellanza ispirati ai testi della Bibbia, soprattutto i salmi. Ma non serve essere credenti per apprezzare il gospel: alcune persone nel mio gruppo sono assolutamente atee, altre appartengono a chiese protestanti. Ciò che conta è quanto si crede nei messaggi trasmessi, messaggi di unione, amore verso il prossimo e carità. È una sensazione molto particolare e bellissima. Quando il solista si gira verso il coro e vede 70 o 80 persone che lo guardano e gli sorridono, sa di essere sostenuto e sa che ce la farà a portare a termine lo spettacolo.
Qual è stata la tua soddisfazione più grande della tua carriera nel coro?
Ricordo con orgoglio il mio primo tour natalizio del 2005: è stato intenso e mi ha fatto appassionare fin da subito alla causa. Il coro costituisce l'attività principale dell'Associazione No Profit "Voci Libere", di cui sono stato anche presidente per un periodo, che ha tra le sue finalità la promozione culturale sul territorio e beneficienza. Le raccolte fondi richiedono tanta organizzazione: ad oggi contiamo 800 concerti all'attivo. In particolare, ricordo con emozione un concerto a Torino quando ci siamo uniti con altri cori in onore delle vittime dell'incidente alla ThyssenKrupp. Eravamo più di 250 persone sul palco che cantavano tutte insieme, che lavoravano insieme per una giusta causa e si ispiravano a vicenda.
Oltre allo scambio con i tuoi compagni dove trovi ispirazione?
Ovunque, specialmente dai grandi del gospel che arrivano dall'America, dall'Inghilterra o dalla Svezia, dove è un filone veramente molto seguito e apprezzato ed esistono radio, televisioni dedicate solo a questo stile, mentre in Italia purtroppo è ancora relegato al periodo natalizio. E poi dalla musica afroamericana alla base del gospel e da tanti cantanti pop che anche se non si direbbe trovano le loro radici nel gospel. Come Whitney Houston e Micheal Jackson. O Beyoncé.
Sono certa che Beyoncé attirerebbe molti giovani verso il gospel. Cosa consiglieresti a un neofita del gospel?
I giovanissimi hanno un rapporto strano con il gospel. Si avvicinano, lo sperimentano, ma tornano davvero a 30, 35 anni. Ne ho visti tanti. A un certo punto secondo me nella vita senti che hai bisogno di qualcosa in più, di appartenere, di credere in qualcosa di più grande e di fare del bene. Mio figlio ne è un esempio, anche lui canta con me. Per ogni nuovo inserimento c'è un tutor dedicato e nessuno è lasciato da solo: nel mio gruppo io ho il compito di preparare i giovani baritoni come me. Ma non ho mai grandi segreti da rivelare, l'importante è abituarsi all'arte della preparazione che, come dicevamo prima, è molto importante. La chiave è ascoltare, ascoltare e ancora ascoltare gospel. Emulando i grandi ce la fai sicuramente.
Anche chi è scoordinato?
Specialmente chi è scoordinato. Se senti il ritmo nel cuore e nella pancia stanne certo: al pubblico arriverai.