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Generazioni di fenomeni. Quel passaggio di testimone che lega passato e futuro nelle imprese familiari

Generazioni di fenomeni. Quel passaggio di testimone che lega passato e futuro nelle imprese familiari
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Viviamo in un mondo che corre a velocità aumentata rispetto al passato e che spesso ci impedisce di comprendere e decodificare fenomeni nuovi. Un mondo connesso e al tempo stesso interconnesso, le cui azioni possono determinare reazioni imprevedibili. Non è un qualcosa di nuovo. Eppure abbiamo necessità di fotografare quello che avviene, di scattare un'istantanea seppur sfocata perché in movimento, di rallentare per poter ragionare sui trend emergenti internazionali che stanno riscrivendo prodotti, servizi, visioni, relazioni. Questa è il senso dei nostri longform. Con appuntamenti ricorrenti mensili vi proponiamo racconti approfonditi su alcuni temi chiave. Un modo per comprendere quello che sta avvenendo intorno a noi e per raccogliere le sfide future che riguardano persone, imprese, comunità. Buona lettura.

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«Bada come la fuma!». Vi dice niente questa esclamazione? Se frequentate il mondo dei social dovreste averla ascoltata molte volte dalla bocca di Tommaso Mazzanti mentre - davanti alla videocamera - accompagna l'apertura e la preparazione di una schiacciata fiorentina. Salumi, formaggi, creme e verdure. Simboli di una varietà enogastronomica italiana che hanno imposto il piccolo negozio a due passi da Piazza della Signoria come una delle realtà imprenditoriali più conosciute al mondo sui social. Oggi l'Antico Vinaio conta 22 negozi in giro per il mondo ma tutto nasce da quella piccola bottega a via dei Neri presa in gestione dalla famiglia Mazzanti nel 1989. Fino all'entrata in azienda di Tommaso il locale veniva frequentato esclusivamente da fiorentini ma la svolta avvenne nel 2008 quando il giovane imprenditore decise di sbarcare su Tripadvisor prima e su Facebook dopo. Le recensioni da una parte e i video delle schiacciate dall'altra hanno permesso all'azienda di sfruttare quell'area che afferisce al digital marketing per essere conosciuta, rimanere in contatto coi clienti e diffondere, quindi, il proprio brand. 

Ma il passaggio generazionale da un'azienda familiare con una clientela focalizzata sul territorio ad un'azienda con ambizioni internazionali non è così scontato, soprattutto in un Paese come l'Italia dove il tessuto produttivo è composto da centinaia di piccole e medie aziende a conduzione familiare: secondo le rilevazioni Cerved 2019 in Italia vi sono 101mila imprese familiari, un modello di business maggiormente presente tra le aziende di minori dimensioni, il 70 per cento delle PMI. Presente anche al Sud e nelle Isole, dove rappresentano il 75 per cento delle imprese totali contro percentuali comprese tra il 65 per cento del centro e il 68 per cento nel resto del territorio nazionale. Dall'esempio dell'Antico Vinaio emerge chiaramente come il digitale abbia rivoluzionato l'approccio aziendale proiettando una piccola azienda nel territorio delle grandi. Tuttavia, un cambiamento del genere è ancora una chimera per la maggior parte delle aziende familiari visto che il passaggio transgenerazionale rimane uno dei traumi più consolidati per questo tipo di aziende. 

 

 

Digitalizzare per innovare 
Nel volume "Imprese familiari e creazione di valore: il contributo delle nuove generazioni" realizzato da Liuc Business School in collaborazione con Banca Sella si parla proprio di questo: dell'importanza della digitalizzazione e dell'innovazione più in generale nel mondo del family business. Una chiave per consentire alle aziende di aprirsi al futuro utilizzando strumenti più efficaci per creare, migliorare e diffondere il proprio prodotto. Nel libro, raccontato anche dalla stampa, sono state raccolte le esperienze di 15 aziende a conduzione familiare che continuano a operare nel tempo in condizioni di efficacia ed efficienza, manifestando delle performance rilevanti. Si tratta quindi di imprese che attraverso le generazioni sono state in grado di creare valore (valore transgenerazionale appunto). Aziende che abbiano concluso con successo il passaggio generazionale, lo abbiano avviato adeguatamente oppure che siano nel prosieguo del medesimo, in una fase di affiancamento o trasferimento delle responsabilità al giovane successore. Quest'ultimo ha in azienda un ruolo di primo piano essendo nel board manageriale.

Le 15 aziende analizzate vanno dalla produzione meccanica, passando per l'abbigliamento, fino al settore alimentare. Il campione è eterogeneo trattandosi di imprese piccole, medie e grandi che affrontano, ognuna a suo modo e secondo le proprie esigenze, i cambiamenti in atto. 
Come scrivono i due curatori del volume, Valentina Lazzarotti e Salvatore Sciascia, l'inserimento in azienda delle nuove generazioni, dotate di talento e spirito imprenditoriale, «può generare opportunità di rinnovamento, stimolare la creatività verso nuove forme organizzative, contribuire alla ricerca di nuovi mercati più proficui, promuovere l'apertura all'innovazione o agli attuali fenomeni di digitalizzazione». Proprio quest'ultimo aspetto è uno di quelli più ricorrenti tra le pagine. La creazione di accurate campagne di digital marketing ha consentito alle aziende di esporsi e farsi conoscere pubblicizzando il proprio prodotto ma allo stesso tempo la digitalizzazione ha consentito a molte di ottimizzare i propri processi produttivi monitorando costantemente tutta la filiera e garantendo quindi a se stessi di poter intervenire con efficacia in base ad un problema. Questo si riflette non solo sulla qualità del prodotto ma anche sul benessere dei collaboratori che sono così in grado di individuare senza sforzi delle falle nella produzione e, di conseguenza, velocizzare il proprio lavoro. Nonostante in questi ultimi anni diverse aziende italiane abbiano investito nel digitale la situazione non è delle migliori: secondo una ricerca del 2023 di European House-Ambrosetti l'81% delle imprese italiane investe non più del 10% del fatturato per la digitalizzazione ma se andiamo a scompattare il dato possiamo vedere come in realtà di questi quasi la totalità investe anche meno del 10%. A livello di volumi, considerato l'ultimo triennio, la maggior parte delle aziende intervistate (il 59%) ha investito meno di un milione di euro nella trasformazione digitale. In particolare: il 25% ha investito non più di 100.000 euro; il 26% ha investito tra 100.000 e 500.000 euro; l'8% ha investito tra 500.000 e un milione di euro. Il restante 41% ha investito più di un milione di euro. Tuttavia un dato positivo: la ricerca segnala che non ci sono aziende che non hanno effettuato investimenti digitali negli ultimi tre anni.

 

 

La rivoluzione sostenibile
Rinnovare un'azienda non vuol dire solo tecnologizzarla ma anche adattarla alle nuove istanze mondiali, tra queste, la sostenibilità. Le nuove generazione sono più attente all'argomento che non riguarda solo l'attenzione nei confronti dell'ambiente ma anche alle singole persone che compongono il mondo più o meno esteso delle imprese. Diverse di queste nel libro Imprese familiari e creazione di valore hanno iniziato a redigere dei report di sostenibilità e altre sono intenzionate a farlo. Attraverso il report di sostenibilità, le aziende comunicano le loro prestazioni e gli impatti su un'ampia gamma di argomenti di sostenibilità, che abbracciano parametri ambientali, sociali e di governance. Permette alle aziende di essere più trasparenti sui rischi e le opportunità che affrontano, dando agli stakeholder una maggiore comprensione della performance al di là dei risultati economici. Questo permette all'azienda e a chi si interfaccia con essa di poter capire a che punto è la propria performance sulle nuove keyword mondiali. 
Molte hanno previsto una serie di proposte e iniziative in diversi ambiti, volte a ridurre gli sprechi e aumentare la consapevolezza e la sensibilizzazione sul tema: in diverse aziende è prevista una riduzione dell'utilizzo delle plastiche e proprio per questo è stata programmata la distribuzione di bottiglie in acciaio da riempire in prossimità degli erogatori di acqua nei siti aziendali, così come l'adozione di gadget plastic-free o articoli in elementi naturali, come bambù e carta, in sostituzione degli attuali in plastica. Ma l'impegno non è finito qui, perché diverse aziende si impegnano nel ricercare e utilizzare dei nuovi materiali per le proprie produzioni che siano compatibili con le nuove esigenze dell'economia circolare. Questo impegno integra anche i clienti che inevitabilmente devono accettare i cambiamenti promossi dall'azienda e che si ripercuotono su tutta la catena fino ad arrivare ai buyers finali. 

Dal vecchio al nuovo
Queste 15 aziende delineano un quadro di cambiamento positivo che ha permesso un rinnovamento fruttuoso del vertice accompagnato ad uno sviluppo culturale dell'azienda. Tuttavia in Italia non è scontato che questo avvenga. Un aspetto peculiare è la presenza di leader ultra-settantenni (secondo l'Osservatorio AUB, in un decennio sono aumentati dal 17 per cento al 25,5 per cento) il che porta in primo piano il tema del passaggio generazionale: una fase che solo nel 9 per cento dei casi viene effettivamente preparata elaborando un piano di successione, sebbene sia prossimo per il 18 per cento delle aziende familiari italiane e sebbene il 62 per cento dei leader familiari italiani auspichi una continuità nella proprietà. «Io sono ottimista di natura - afferma nell'intervista di spalla al nostro longform Tommaso Ebhardt, Bureau Chief a Milano di Bloomberg News, colosso mondiale dell'informazione finanziaria, ritagliatosi anche un ruolo importante di biografo del capitalismo familiare - e vedo grandi prospettive e opportunità per il capitalismo familiare italiano. Però è importante che non si perdano o si trascurino le lezioni che ancora ci insegna la storia dei grandi patriarchi».

 

 

È quindi importante che i nuovi manager siano in grado di indirizzare l'azienda verso un nuovo modo di concepire l'approccio aziendale familiare, anche perché i dati Cerved mostrano come proprietà e governo familiare sono positivamente correlati ad una minor crescita aziendale. Ad esempio, nelle PMI non familiari i ricavi sono mediamente superiori di 800 mila euro e l'attivo supera di 1,4 milioni quello di equivalenti controllate da una famiglia; anche il margine operativo è maggiore per le imprese non familiari, 459 mila euro contro 400 mila. In questi casi, pur producendo dei miglioramenti in termini di fatturato e di attivo, ricorrere ad un amministratore delegato esterno sembra peggiorare le performance in termini di redditività, di cash-flow e sostenibilità dei debiti, probabilmente a causa di un peggioramento dei costi di agenzia legati alla separazione tra proprietà e controllo oppure per i limiti nelle possibilità di attrarre manager capaci o ancora perché la gestione familiare pregressa è stata particolarmente inefficiente.

 

 

Le 15 aziende analizzate, al contrario, riescono ad emergere nel difficile passaggio generazionale grazie alle intuizioni dei propri manager. I curatori Valentina Lazzarotti e Salvatore Sciascia hanno individuato cinque profili diversi tra i giovani imprenditori analizzati: il revolutioner (apporta cambiamenti radicali con impatti significativi soprattutto in termini di innovazione), l'orchestrator (un vero «direttore d'orchestra», capace di gestire un'elevata complessità e di sviluppare tutte e tre le forme di imprenditorialità), il venturer (sempre alla ricerca di nuove sfide, anche in nuovi business), il renewer (riorganizza l'azienda e la managerializza) e infine, l'improver (valorizza la tradizione, migliorando le caratteristiche del business). Questi sono in grado di innovare senza snaturare il percorso familiare dell'azienda perché come ha scritto nella prefazione del volume Maurizio Sella, presidente del gruppo Sella: "Gestire un'azienda familiare è un'arte. Non esiste un modello prefissato per farlo. Ognuna è un universo, che con l'impegno costante dell'imprenditore, del management e di tutte le persone che ne fanno parte, si adatta nel tempo ai cambiamenti o li anticipa con lungimiranza e prudenza, senza mai fare passi più lunghi della gamba".

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