Insights

«Le aziende familiari italiane non dimentichino le lezioni dei grandi fondatori»

«Le aziende familiari italiane non dimentichino le lezioni dei grandi fondatori»
Tommaso Ebhard
25 Sep 23
#imprese

L'Italia è in un momento delicato e importante nel cammino del proprio capitalismo familiare. Siamo nel pieno di un passaggio generazionale, si avviano al tramonto i fondatori di aziende nate in periodi storici pre-globalizzazione e sono scesi in campo nuovi leader cresciuti in un'epoca che non assomiglia più agli anni Settanta o Ottanta del secolo scorso. Una trasformazione che avviene sotto gli occhi di «fondi di private equity e investitori internazionali, che seguono con grande interesse quello che sta avvenendo in Italia per capire come evolveranno le nostre imprese familiari». Parola di Tommaso Ebhardt, che il capitalismo familiare italiano lo analizza e lo racconta da molti anni come giornalista e scrittore. Ebhardt è il Bureau Chief a Milano di Bloomberg News, colosso mondiale dell'informazione finanziaria, e si è ritagliato anche un ruolo importante di biografo del capitalismo familiare. Le sue biografie-bestseller di Sergio Marchionne e Leonardo Del Vecchio (entrambe pubblicate da Sperling & Kupfer) sono due veri e propri viaggi nei meccanismi e nei retroscena di come le grandi famiglie imprenditoriali compiono le loro scelte. Nel primo caso, è il racconto di come la famiglia Agnelli decise di affiancare un manager forte e con pieni poteri come Marchionne al giovane successore dell'Avvocato, John Elkann, che era ancora all'inizio del proprio cammino imprenditoriale. Nel caso di Del Vecchio - che si è raccontato a lungo a Ebhardt poco prima della sua scomparsa - c'è tutta la storia di Luxottica e di come il fondatore l'ha creata, fatta crescere, affidata a un manager esterno e poi l'ha ripresa in mano, per lasciarla ai figli ormai diventata il colosso EssilorLuxottica odierno.

«Mi occupo da anni dei traguardi e delle pene del capitalismo familiare italiano - racconta Ebhardt - perché agli investitori, che sono i lettori di Bloomberg, è un tema che interessa particolarmente. Ci troviamo in una fase in cui la successione volenti o nolenti arriva, i grandi patriarchi del capitalismo familiare italiano sono tutti nell'età in cui o ci stanno per lasciare o ci hanno lasciati. Sono quelli che hanno fatto grande questo mondo e che nascono generalmente tra gli anni Trenta e Quaranta. Erano ragazzini nel boom del dopoguerra e quindi hanno beneficiato di quel periodo di forte espansione in cui il paese viveva una fase di ottimismo diversa da quella attuale. Hanno realizzato i loro sogni imprenditoriali in un'Italia che aveva bisogno di tutto e l'hanno in qualche modo forgiata. Gente come gli Agnelli, i Del Vecchio, Armani, Berlusconi, i Benetton, ma anche Patrizio Bertelli e Miuccia Prada e tantissimi altri». I casi di Marchionne e Del Vecchio, secondo Ebhardt, offrono lezioni importanti alle famiglie imprenditoriali alle prese con la successione. «Nel caso degli Agnelli, tutto ha funzionato molto bene da un punto di vista economico e finanziario, sotto la guida di John Elkann il valore del patrimonio della famiglia Agnelli è decuplicato. Siamo di fronte a un caso in cui l'Avvocato sceglie il suo successore, Marchionne prende le redini operative e non ci sono scossoni perché c'è un erede designato. Un caso simile è quello di Ferrero. Dov'è che le successioni invece diventano problematiche? Quando ci sono più eredi, più rami familiari e non si trova un accordo».

Il caso di Del Vecchio è interessante perché «il fondatore passa gli ultimi dieci anni della propria vita ad assicurarsi che l'azienda possa continuare senza di lui. Questa è la grande ossessione di tutti gli imprenditori che ho conosciuto: a un certo punto l'azienda diventa la tua famiglia, e questo era particolarmente vero per un bambino cresciuto tra gli orfani del Martinitt come Del Vecchio. Lui ha spartito il patrimonio tra sette eredi e ha fatto delle regole per cui solo con l'accordo di tutti si possono cambiare le cose. Il problema è che quando poi il fondatore viene a mancare, emergono le varie personalità e tutto diventa più complicato se non c'è un leader designato o i compiti non sono divisi bene».

Quando non si riesce a fare una successione "soft" che mantenga le redini in famiglia, aggiunge Ebhardt, «allora nascono situazioni in cui può essere necessario che la famiglia perda la componente imprenditoriale e diventi un gestore di patrimonio. A quel punto, molto spesso, vediamo l'ingresso di un fondo che investe con un orizzonte temporale lungo o di un investitore esterno che prende il controllo portando la propria competenza ed esperienza e gli eredi diventano azionisti. Oppure arriva un manager forte che aiuta la successione familiare». Il caso di Marchionne rientra in quest'ultima fattispecie e insegna che può essere utile in alcuni casi "che arrivi uno che fa da parafulmine, che prenda su di sé tutte le attenzioni mediatiche e la responsabilità delle scelte, per permettere nel frattempo alla famiglia di crescere. Quando Marchionne è mancato nel 2018, era già pronto a lasciare il mondo Fiat e le redini a Elkann e trasferirsi forse in Ferrari". Qui la lezione per le aziende più piccole, "quelle che non sono la Fiat, può essere che serve un manager forte se l'erede designato non è ancora pronto. Certo, esiste sempre il rischio che il manager diventi troppo forte e decida che vuol diventare anche azionista». In ogni caso, aggiunge Ebhardt, «tra le oltre 100 mila aziende familiari italiane ci possono essere una molteplicità di possibili percorsi da seguire, ciascuna ha una sua storia e sue caratteristiche. Un caso interessante è quello della Stevanato Group di Piombino Dese (Padova), eccellenza italiana del settore farmaceutico e sanitario, dove la successione dal fondatore ai due figli ha portato a una grande crescita avvenuta andando alla conquista soprattutto del mercato americano e quotandosi a Wall Street, con una chiara divisione dei compiti tra i due fratelli». La digitalizzazione e tutto il fronte della ricerca e sviluppo, spiega Ebhardt, sono fattori essenziali della crescita anche per le aziende familiari, come conferma anche la ricerca LIUC-Banca Sella. «Si sente ripetere spesso che in Italia non si possono più fare i salti in avanti che si facevano negli anni Sessanta o Settanta, in realtà la digitalizzazione ha aperto possibilità immense che non esistevano solo pochi anni fa. Per cui puoi crescere in modo esponenziale se hai l'idea giusta. Lo dimostrano alcune startup e in particolare quelle che sono diventate ¿unicorni'. Pensiamo a Satispay o Scalapay, che sono due esempi straordinari e da studiare». 

«Io sono ottimista di natura - conclude Ebhardt - e vedo grandi prospettive e opportunità per il capitalismo familiare italiano. Però è importante che non si perdano o si trascurino le lezioni che ancora ci insegna la storia dei grandi patriarchi. Il punto di forza di Del Vecchio, per esempio, e il motivo per cui ha ripreso il controllo dell'azienda a 80 anni, è che lui guardava ai prossimi 10 o 20 anni, mentre un manager, per quanto bravo, spesso guarda al breve termine. Questo è un elemento di forza di un'azienda di famiglia. È ciò che ha spinto Del Vecchio a comprare un marchio storico americano come Ray-Ban offrendo il doppio di quello che offriva Safilo, perché ha visto quello che quel brand poteva diventare dieci o quindici anni dopo».

Condividi e partecipa alla discussione