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Doppia materialità, doppia opportunità: la bussola per investire tra rischio e impatto

Per il format “Finanza a impatto” l'intervista a Manuela Mazzoleni, Direttore Sostenibilità e Capitale Umano di Assogestioni
Doppia materialità, doppia opportunità: la bussola per investire tra rischio e impatto
(Shutterstock)
Manuela Mazzoleni
Manuela Mazzoleni

Direttore Sostenibilità e Capitale Umano di Assogestioni

In un momento in cui il dibattito attorno alla finanza sostenibile si fa più acceso e gli approcci ESG vengono messi alla prova da ripensamenti internazionali e incertezze normative, il settore dell’asset management è chiamato a dimostrare solidità, coerenza e capacità di adattamento.
A guidare questa transizione, secondo Manuela Mazzoleni, Direttore Sostenibilità e Capitale Umano di Assogestioni, è un principio chiave: «Integrare i fattori ESG nei processi di investimento è innanzitutto una forma evoluta ed efficace di gestione del rischio». Un’impostazione orientata al lungo termine, capace di leggere le trasformazioni in atto e intercettare nuove opportunità.
Nonostante il contesto globale sia attraversato da tensioni e revisioni, il mercato italiano si distingue per la maturità dell’approccio e per una crescente integrazione strutturale dei criteri ESG. Resta però aperta la sfida più tecnica: qualità dei dati, semplificazione normativa e trasparenza restano leve decisive per rafforzare la fiducia degli investitori e consolidare un mercato sostenibile credibile.

In questa intervista, facciamo il punto sull’evoluzione del settore, sul ruolo dell’asset management e sulle risposte dell’industria in un momento cruciale per il futuro della finanza sostenibile.


In un contesto in cui le regole e gli approcci ESG appaiono meno definiti e più dibattuti, quali principi dovrebbero guidare oggi gli investimenti sostenibili?
Il principio guida resta uno: la consapevolezza che integrare i fattori ESG nei processi di investimento è innanzitutto una forma evoluta ed efficace di gestione del rischio. Accanto a questo, la grande opportunità offerta dalla sostenibilità risiede nella capacità di orientare il capitale verso risultati concreti, con un impatto positivo sia economico che sociale. Questa doppia prospettiva – rischio e impatto – è alla base del concetto di doppia materialità, oggi essenziale per un approccio davvero sostenibile. Anche in un contesto di incertezza normativa o fluttuazioni dell’interesse pubblico, questi pilastri restano fondamentali per promuovere una finanza orientata al lungo termine e alla responsabilità. Naturalmente, il contesto evolve: si aggiornano le norme, cambiano le aspettative degli investitori, si trasformano i mercati. Per questo motivo, il nostro approccio rimane dinamico, capace di adattarsi alle sfide emergenti e di accompagnare l’industria verso una sostenibilità sempre più concreta ed efficace.

Può chiarirci cosa si intende per “doppia materialità” e perché è così centrale nel quadro normativo europeo?
La doppia materialità è il cuore del concetto europeo di sostenibilità ed è alla base anche della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).

Da un lato, la materialità finanziaria valuta l’impatto dei fattori ESG sui risultati economici delle imprese – pensiamo ai rischi climatici, alle controversie legali o ai danni reputazionali che possono compromettere la performance di un titolo.
Dall’altro, la materialità d’impatto considera come le attività di un’azienda influenzino l’ambiente e la società. È una dimensione più soggettiva, spesso legata alle preferenze degli investitori, siano essi retail o istituzionali.
In questo ambito, il ruolo dell’asset manager è cruciale: deve fornire strumenti robusti di misurazione, monitoraggio e rendicontazione, contribuendo al tempo stesso a costruire una maggiore consapevolezza tra i clienti.


A livello globale, alcuni asset manager stanno rivedendo i loro impegni ESG. Che tendenze osservate nel mercato italiano?
Nel contesto internazionale, in particolare negli Stati Uniti, abbiamo visto alcuni grandi operatori prendere le distanze da impegni ESG precedentemente assunti, anche per effetto di un clima politico meno favorevole. Tuttavia, in Italia il quadro è diverso. Anche se i flussi di ingresso nei prodotti “sostenibili” risentono del clima mutato e delle tensioni internazionali, il mercato italiano mostra ormai una struttura fortemente caratterizzata da investimenti che tengono in considerazione – con diversi livelli di ambizione – i criteri di sostenibilità. Secondo i dati di Assogestioni, circa il 50% degli asset gestiti rientra nelle categorie articolo 8 e 9 della SFDR, mentre la restante parte adotta comunque analisi ESG come parte integrante della valutazione dei rischi. 
Ciò dimostra che in Italia la finanza sostenibile non è stata una moda, ma una scelta strutturale, che difficilmente potrà essere abbandonata senza compromettere la fiducia degli investitori.

Le normative europee – SFDR, CSRD, Tassonomia – stanno trasformando il mercato. Quali sono le principali sfide operative per i gestori?
La SFDR ha avuto un impatto decisivo nel promuovere l’integrazione ESG, ma ha anche generato criticità: concetti poco chiari, incoerenze, comunicazione eccessivamente complessa per l’investitore. La revisione in corso dovrebbe portare maggiore coerenza e semplicità, ma richiederà comunque alle SGR un importante lavoro di adattamento: dalla documentazione informativa ai modelli di prodotto.
Un’altra sfida chiave è rappresentata dalla disponibilità e qualità dei dati ESG. La CSRD avrebbe dovuto colmare questo gap, ma la recente proposta della Commissione Europea di ridurre il numero di aziende soggette a obblighi di rendicontazione rischia di limitare fortemente la base informativa a disposizione degli investitori.
Comprendiamo la necessità di non sovraccaricare le imprese, ma è essenziale che la semplificazione normativa non comprometta la trasparenza e l’affidabilità del sistema di dati e informazione ESG alla base della valutazione di sostenibilità.

In questo contesto normativo, in che modo possono essere supportati gli operatori del settore? 
E’ importante che gli interventi si sviluppino su due livelli. In primo luogo, contribuendo attivamente alla definizione delle norme, dialogando costantemente con le istituzioni europee e italiane: in quest’ottica, come Assogestioni partecipiamo a consultazioni pubbliche e istituzionali, portiamo la voce delle associate nei tavoli tecnici e formuliamo proposte concrete. In secondo luogo, riteniamo importante supportare le SGR nell’attuazione delle norme esistenti, organizzando gruppi di lavoro mensili, momenti di formazione e offrendo anche spazi di confronto diretto con i regolatori (Consob, Banca d’Italia, MEF), per chiarire i punti più critici e trovare soluzioni praticabili.

Quali saranno, secondo lei, i principali driver dell’evoluzione del mercato ESG nei prossimi anni?
Il mercato ESG sta entrando in una fase di maturazione. A nostro avviso, i principali driver di questa evoluzione saranno tre. Prima di tutto, la qualità dell’informazione: meno overload informativo, più dati utili, comprensibili e pertinenti, per rafforzare la trasparenza e contrastare il greenwashing. In secondo luogo, una semplificazione normativa: le regole devono essere più chiare, coerenti e orientate alla sostanza più che alla forma. Infine, ma non meno importante, la relazione con l’investitore finale: è cruciale rafforzare il dialogo e accompagnare gli investitori in scelte consapevoli, costruendo fiducia nel lungo termine. Se il settore saprà affrontare queste sfide, la finanza sostenibile potrà consolidarsi come un pilastro centrale dell’economia del futuro.

 

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