Scenari
Geopolitica

È cominciata la prova per i grandi del mondo. La sfida? Adattarsi in tempi brevi a cambiamenti senza precedenti

Le conseguenze sull’economia globale e sulla rete di alleanze degli Stati Uniti, con l’arrivo di Trump, si stanno dimostrando senza precedenti. La disputa sui dazi è evidentemente il fattore che più sta accelerando la trasformazione degli equilibri globali. Le riflessioni degli analisti dell’ISPI nella nuova rubrica Il Punto di Paolo Magri
È cominciata la prova per i grandi del mondo. La sfida? Adattarsi in tempi brevi a cambiamenti senza precedenti
Una nave contaniner nel terminal merci del porto di Los Angeles (Photo by Patrick T. Fallon / AFP via Getty Images)
Paolo Magri
Paolo Magri

Questa è la seconda puntata della nuova rubrica Insights - Il punto di Paolo Magri, un'analisi a firma degli analisti dell’ISPI, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di cui Magri è presidente del comitato scientifico. Qui puoi rileggere la prima puntata. Il pezzo è co-firmato da Filippo Fasulo. Buona lettura.

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Il 2025 si preannunciava come l’ora della verità – come ISPI ha indicato nel suo rapporto annuale – e i primi mesi dell’anno non hanno certamente deluso le aspettative. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato un cambio di passo netto non solo con l’amministrazione precedente, ma addirittura con la politica estera degli Stati Uniti degli ultimi decenni, le cui conseguenze sull’economia globale e sulla rete di alleanze di Washington si annunciano senza precedenti. All’orizzonte si delineano, così, molte sfide nello scenario internazionale. Se da un lato la presidenza Trump è indaffarata a tradurre le promesse elettorali in azioni concrete – missione ad oggi in buona parte compiuta con il disappunto di molte cancellerie – dall’altro l’Unione Europea deve dimostrare la capacità di reagire alle nuove sfide globali, mentre la Cina è alle prese con il rilancio di un’economia che fatica a ritrovare slancio in un contesto globale sempre più complesso. 

La disputa sui dazi è evidentemente il fattore che più sta accelerando la trasformazione degli equilibri globali. La globalizzazione, che stava già vivendo una fase di crisi, sembra entrata in una spirale di profonda depressione dopo il Liberation Day del 2 aprile. Donald Trump ha dimostrato di non voler guardare in faccia a nessuno nel tentativo di rilanciare la manifattura made in USA. In particolare l’Europa viene accusata di approfittarsi eccessivamente del sostegno americano, economico e militare. Una visione impostata sulla sfiducia verso Bruxelles che è confermata dalle parole pubbliche (come alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco) e private (come nelle chat con il Segretario della Difesa) del vicepresidente JD Vance. 

La durezza con l’Europa si manifesta anche con un dialogo diretto di Trump con Putin sul tema dell’Ucraina. La ragione del tentativo di chiudere presto con Mosca, persino attraverso l’umiliazione pubblica del presidente ucraino Zelensky, viene letta sui media statunitensi nel contesto del più ampio confronto con la Cina. Pechino è vista da Washington come la principale minaccia economica e strategica, per la quale si possono giustificare sia i dazi a Messico e Canada richiamando il tema del fentanyl, sia, appunto, il tentativo di riavvicinamento con la Russia. Emerge, così l’ipotesi di mettere in atto la strategia chiamata “reverse Nixon”, con un riferimento storico all’apertura verso la Cina in chiave anti-sovietica promossa del presidente USA e dal suo segretario di Stato Henry Kissinger nei primi anni ‘70. Allora gli USA si erano avvicinati alla Repubblica Popolare Cinese di Mao per isolare l’Unione Sovietica, oggi invece Trump vorrebbe avvicinarsi alla Russia per arginare la Cina. Tuttavia Mosca non sembra intenzionata a triangolare con Trump e rinunciare a Pechino e, anzi, si prepara a rinsaldare “l’amicizia senza limiti” – come si definisce il rapporto tra i due Paesi dal 2022 – con la partecipazione di Xi Jinping alla grande parata di Mosca del 9 maggio per celebrare gli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale che, nella visione cinese e russa li ha visti protagonisti nello sforzo contro i fascismi, nello specifico della Germania e del Giappone. Trump corre il rischio così di perdere l’Europa senza guadagnare la Russia
 
L’Unione Europea si trova, allora, ad affrontare un flusso costante di annunci provenienti dagli Stati Uniti con la convinzione che il sostegno, sempre dato per scontato, di Washington non sia più una certezza, anzi. Per questo sta frettolosamente cercando di fare i “compiti a casa”. Dopo il rapporto Draghi di settembre, la Commissione ha pubblicato il Competitiveness Compass, un documento che delinea le misure necessarie per rafforzare la competitività europea. Ma soprattutto il secondo mandato di Ursula von der Leyen ha fatto dei passi avanti sul fronte della difesa per venire incontro alla richiesta di Trump di un aumento della spesa militare europea fino al 5% del PIL, ben oltre la soglia del 2% attualmente prevista dalla NATO. La risposta europea è arrivata con "Readiness 2030" (prima chiamato con lo sfortunato nome di ReArm Europe), un piano da 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni per la difesa. Di questa cifra solo 150 sono finanziati da prestiti europei, mentre il resto sarà coperto dai bilanci nazionali sfruttando le clausole di flessibilità contenute nel Patto di Stabilità. Questa modalità, che ha incontrato un diffuso sostegno in linea di principio, ha però aperto un fronte tra paesi del Nord e del Sud che hanno diversa capacità di indebitamento. 

In ogni caso la risposta dell’UE alle sfide globali cui deve far fronte ha bisogno del protagonismo tedesco per avere successo. Berlino sembra essersi mostrata all’altezza della situazione. La prima metà del 2025, infatti, è stata segnata dalle elezioni anticipate in Germania, che hanno visto la vittoria dei cristiano-democratici di Friedrich Merz e l’avanzata dell’estrema destra di Alternative für Deutschland. Merz, prossimo cancelliere alla guida di una "Grosse Koalition" con l’SPD, ha accelerato l’approvazione della riforma della Legge Fondamentale per superare il rigore di bilancio e creare un fondo da 500 miliardi di euro per le infrastrutture, con 100 miliardi destinati al Climate and Transformation Fund. Il ventre molle dell’UE pare invece essere la Francia, dove l’instabilità sembra essere diventata strutturale e dove l’agenda politica è dominata dalla recente condanna di Marine Le Pen. Un risvolto, questo, che rischia di destabilizzare nuovamente la politica interna e aprire un interrogativo sulla tenuta del parlamento che a luglio potrà essere nuovamente portato nelle urne a un anno dal precedente ciclo elettorale. Pur alle prese con tali difficoltà, Emmanuel Macron sembra consapevole dell’ora della verità che sta attraversando il vecchio continente e si pone alla guida della "Coalition of the Willing", insieme al premier britannico Keir Starmer, per garantire il sostegno all’Ucraina senza l’appoggio degli Stati Uniti. 

Da Oriente il presidente cinese Xi Jinping osserva il caos creato da Donald Trump, probabilmente compiacendosi del disordine che serpeggia nel patto transatlantico. Fino al giorno dell’inauguration del 20 gennaio, infatti, la Cina era il rivale comune contro cui trovare un punto di convergenza tra le differenti prospettive che dividono Washington e Bruxelles. Nel giro di poche settimane, la situazione è stravolta e l’Unione Europea guarda a Pechino addirittura come una possibile valvola di sfogo e di sicurezza per ridurre l’effetto degli attacchi di Trump. D’altronde un pensiero simile lo stanno facendo anche molti leader asiatici, a Nord Est (Giappone e Corea del Sud) come a Sud Est. Dopo aver cercato negli USA un freno all’espansione cinese, tutti corrono alla corte di Xi per controbilanciare i dazi americani. Un quadro internazionale più aperto è in realtà una manna anche per Xi, che continua ad affrontare una economia in rallentamento a causa di consumi che non si sono mai ripresi dalla pandemia. Vedere per credere gli incontri a Pechino con i dirigenti dei più grandi gruppi industriali al mondo avvenuti nelle ultime settimane.

Le principali potenze mondiali si devono così adattare in tempi brevi a cambiamenti senza precedenti, in buona parte strutturali – come nel caso del confronto di lungo periodo tra Stati Uniti e Cina – ma anche frutto di scelte rivoluzionarie di Donald Trump. Il terremoto scatenato dal presidente USA, però, sembra ancora non essersi assestato e i prossimi mesi richiederanno altre scelte difficili per adattarsi al nuovo ordine economico che si sta formando. 
 

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