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Sovranità monetaria e innovazione? Si può fare con le stablecoin, ma la sfida va affrontata insieme

Si tratta di criptovalute basate su blockchain che sfuggono all’estrema volatilità di bitcoin e simili con l’agganciamento ferreo a una valuta ufficiale. Si stima che questo mercato possa arrivare a 1.900 miliardi nel 2030. La partita da tecnologica diventa sempre più economica e geopolitica. Per quanto riguarda l’Europa, il neonato consorzio di banche che vede in campo anche Sella rappresenta la via maestra. La riflessione di Pierangelo Soldavini.
Sovranità monetaria e innovazione? Si può fare con le stablecoin, ma la sfida va affrontata insieme
Bitcoin, Ethereum e la stablecoin USDT vengono promossi in un negozio di criptovalute a Hong Kong (Photo by Peter Parks / AFP via Getty Images)

Questa è la nuova puntata della rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini, un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Qui puoi leggere le precedenti puntate.

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Uno dei primi atti di Donald Trump appena insediato alla Casa Bianca è stato cancellare il dollaro digitale. Non sarebbe stata più necessaria una versione nativamente digitale del biglietto verde nella forma ufficiale della Fed. In effetti, di valute di quel genere ne esistevano già nel mondo delle criptovalute: il Tether e l’Usdc di Circle monopolizzano il mercato da anni. Lui stesso, con un’azienda di famiglia, avrebbe approfittato per fare la sua versione di dollaro digitale, con l’Usd1, incurante di conflitti d’interesse grandi come una casa. A seguire è arrivata anche una cornice normativa di riferimento per le stablecoin. Per quanto criticabile e discutibile, quantomeno tutto all’insegna della chiarezza. Gli Stati Uniti hanno quindi fatto la loro scelta strategica, senza rischi di fraintendimento e per di più in tempi molto brevi: la valuta digitale a stelle e strisce non sarebbe stata di Stato, ma avrebbe avuto una forma privata. Anzi, diverse forme, dal momento che a quelle già esistenti sul mercato se ne sarebbero potute affiancare tante altre: quella della World Liberty Financial dello stesso Trump, la PyUsd di PayPal, quelle che sarebbero allo studio da parte di Amazon e Walmart. Anche Mark Zuckerberg sarebbe intenzionato a riprovarci con una propria criptovaluta.

Le grandi banche non vogliono rimanere escluse dalla partita che si sta aprendo e alcuni tra i big di Wall Street, guidati da JpMorgan, hanno scelto di unire le forze per mettere in campo una loro stablecoin. D’altra parte la partita non è irrilevante: Citigroup stima che il mercato di questi strumenti possa crescere dai 280 miliardi di dollari attuali a 1.900 miliardi nel 2030, con una forbice che può arrivare fino a 4mila miliardi nello scenario più ottimista. Anche Swift, la rete che rappresenta il sistema nervoso delle transazioni finanziarie globali, ha avviato un progetto con una trentina di istituzioni internazionali per avviare un’infrastruttura blockchain parallela a quella tradizionale. Anche in questo caso, non da sola. Le grandi banche americane e le infrastrutture globali hanno quindi scelto di collaborare per lavorare al mondo della finanza del futuro, senza disperdere energie e risorse andando ognuna per la sua strada. Ma il motivo non è solo il mercato da difendere o conquistare…

Guarda caso, anche su questa sponda dell’Atlantico, nove tra le maggiori banche europee – tra cui Banca Sella – hanno deciso di mettersi insieme per creare una stablecoin comune con l’obiettivo dichiarato di «fornire una concreta alternativa europea al mercato dominato dagli Stati Uniti, contribuendo all’autonomia strategica dell’Europa nel settore dei pagamenti», come ha ripreso anche il Sole24Ore. Per l’Europa c’è molto terreno da recuperare in termini di sovranità monetaria e lo si può fare solo insieme. 
Facciamo un passo indietro, perché non possiamo dare per scontato che tutti sappiano cosa sono le stablecoin. Si tratta di criptovalute basate su blockchain che sfuggono all’estrema volatilità di bitcoin e simili con l’agganciamento ferreo a una valuta ufficiale, al momento per la quasi totalità il dollaro. Di fatto ogni Tether o Usdc emesso è garantito da un dollaro di liquidità o titoli del Tesoro Usa a breve liquidabili all’istante. Con il passare del tempo quello che era uno strumento di trading per mettersi al riparo dalle oscillazioni delle criptovalute si è trasformato in un ponte tra finanza tradizionale e decentralizzata, basata su blockchain, e ora, sotto l’impulso di Trump, in un mezzo di pagamento che garantisce, in teoria, transazioni istantanee e con costi minori. Insomma, le stablecoin finiscono per sostituire le valute digitali di Banca centrale, il dollaro digitale della Fed, nel caso specifico.
In questo modo finiscono per rappresentare anche un succedaneo delle valute ufficiali come mezzo per definire i confini dell’influenza economica nel mondo: in un momento in cui l’economia globale si sta smarcando dal dollaro, le stablecoin legate al dollaro fungono da strumento tecnologico per riaffermarne il valore. Non è un caso che anche la Cina stia affiancando sperimentazioni in questo campo allo yuan digitale, avviato da tempo, ma che incontra qualche difficoltà nell’adozione. Da tecnologica, la partita diventa quindi economica e politica!

L’Europa rischia di rimanere ai margini, confermando una dipendenza da piattaforme finanziarie legate al dollaro e agli Stati Uniti, per di più con le banche ancora più escluse. Ecco perché il segnale che viene dalle nove banche europee – ma il progetto è aperto ad altre adesioni – è cruciale. Avrebbero potuto farlo come singoli, ma mettere insieme le forze significa razionalizzare le risorse in un settore come quello tecnologico che ne assorbe a dismisura e che richiede flessibilità assoluta e, soprattutto, dare un segnale forte al sistema finanziario e al mondo politico nel suo insieme. Anche l’euro digitale punta nella stessa direzione, quella di tutelare la sovranità monetaria continentale, sotto l’ombrello della Banca centrale europea che proprio in queste settimane ha scelto di passare alla nuova fase operativa. Ma i tempi si prospettano lunghi: non prima del 2029, o almeno così sembrava fino a ieri! Il progetto delle banche europee punta a una rapidità maggiore, con un orizzonte del 2026 per essere pronti con una piattaforma efficiente e interoperabile che eviti la frammentazione e la dipendenza dal dollaro. La Bce sembra aver raccolto la sfida, anticipando al 2027 la data per la realizzazione dell’euro digitale. Anche perché tre anni potrebbero fare davvero la differenza in uno scenario tecnologico e geopolitico in continuo movimento che va delineandosi sempre più come composto da più strumenti – e diverse tecnologie - che possono convivere sul mercato offrendo una scelta sulla base delle esigenze del momento.

Peraltro proprio la tecnologia costituisce uno degli ostacoli maggiori. Molte istituzioni finanziarie sperimentano da anni la blockchain, ma sono poche le iniziative che hanno raggiunto una scala significativa o un ritorno adeguato e la tendenza delle banche a sviluppare progetti autonomi ha portato a una frammentazione che non favorisce l’interoperabilità e l’efficienza che questa tecnologia promette. La stessa Citigroup prevede che il mercato delle stablecoin continuerà anche tra cinque anni a essere dominato dal dollaro, con una percentuale che scende dal 99 al 90%, ma che parla da sola. Se si vuol smentire questo scenario con i fatti – e per le banche accusare un ritardo che rischia di diventare incolmabile – l’apertura alla collaborazione e all’integrazione rappresenta l’unica strada possibile. Non ci possono essere scorciatoie!
 

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