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Private banker, dalla gestione dei patrimoni alla gestione dei bisogni. "È un lavoro sempre più complesso, ma anche avvincente. Tecnologia ed empatia sono le leve vincenti"

Private banker, dalla gestione dei patrimoni alla gestione dei bisogni.
Andrea Tosti

Secondo il Global Wealth Report del 2022 realizzato dal Credit Suisse Research Institute, in Italia la quota di patrimoni servita da private banking e family office nel corso degli ultimi due anni è aumentata. Questo fenomeno, in linea con il trend mondiale che ha visto la ricchezza globale crescere nel 2021 fino a superare i 450 trilioni di dollari con un incremento del +12,7% rispetto al 2020, racconta un settore in fase di consolidamento. Da quindici anni, il settore del private banking è cresciuto più del PIL e della ricchezza italiana: una crescita che ha evidenziato la capacità dell'industria del private banking di affrontare e superare con successo i momenti critici legati ai cicli economici e alle fasi alterne dei mercati. È quanto emerso anche da un recente studio dell'Aipb, associazione italiana private banking. 

Ed ecco che la figura del private banker entra in campo, assumendo un ruolo sempre più centrale. In un contesto di maggiore incertezza i banker si trovano oggi a fronteggiare sfide importanti come quelle legate ai passaggi generazionali o ai fattori ambientali, da affrontare coniugando consulenza e tecnologia per offrire ai clienti servizi sempre più targhettizzati e adatti alle loro esigenze. Così Andrea Tosti, private banker che lavora in Banca Patrimoni Sella e C. da undici anni, ha vissuto in prima persona l'evoluzione della sua professione, portando a maturazione un'esperienza in ambito finanziario cominciata molti anni fa. "Dal 1999 ho iniziato a lavorare tra Londra e Parigi al servizio di alcune banche d'affari. Mi occupavo di quotazione in borsa di società. Quindi all'epoca le mie controparti erano gli imprenditori, i fondi di investimento a cui dovevo vendere le società che stavo quotando, ma non avevo mai avuto il contatto diretto con chi poi comprava sul mercato le azioni", afferma Tosti, che un bel giorno decide di fare un MBA che gli apre nuove prospettive e soprattutto che gli fornisce una serie di competenze che poi svilupperà nella pratica nel corso degli anni a seguire. Dopo un'esperienza di lavoro in un'azienda industriale di meccanica pesante, fatta "per cambiare prospettiva, per stare al fianco dell'imprenditore", torna nel mondo della finanza, fino ad entrare nel team di Banca Patrimoni. "Quando sono arrivato in ufficio a Milano nel 2012 avevo trentotto anni e ricordo che ero uno dei più giovani private banker di Banca Patrimoni. Sono stati anni straordinari", ricorda Tosti.

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"Dobbiamo integrare le conoscenze specifiche e verticali con le soft skill, competenze laterali legate all'ascolto e che ci forniscano una visione d'insieme delle persone. Obiettivo: proporre la migliore strategia in base alle loro esigenze"

Com'è cambiata la tua professione in questi dieci anni?
Quando sono arrivato il mio lavoro era principalmente basato sulle conoscenze finanziarie, quindi delle azioni, delle obbligazioni, delle gestioni patrimoniali. Nel tempo però ho assistito ad un'evoluzione incredibile, per cui tutto il mio settore di business è andato verso un servizio di consulenza a tutto tondo caratterizzato da un approccio ampio, non limitato al patrimonio finanziario del cliente: non solo quindi aziende, immobili, cash e investimenti finanziari, ma anche la famiglia. 

Come si fanno a gestire asset come ad esempio i nuclei familiari?
Oggi la famiglia è un patrimonio che va gestito e noi dobbiamo aiutare il cliente a gestirlo al meglio, per esempio sotto l'aspetto del passaggio generazionale. Ecco che alle competenze tradizionali, tipiche del lavoro del private banker, si sono unite altre competenze che diventano cruciali per mettere in pratica un nuovo tipo di consulenza che tiene in considerazione anche elementi della personalità, che afferiscono all'aspetto più umano dei clienti che abbiamo di fronte e che vanno oltre il singolo numero o la singola performance del prodotto che sto proponendo. Dobbiamo associare alle conoscenze specifiche e verticali anche delle soft skill, ossia competenze laterali legate all'ascolto e che ci forniscano una visione d'insieme delle persone che abbiamo di fronte utili a valutare il patrimonio dei nostri clienti a tutto tondo e a proporre la miglior strategia in base alle loro esigenze.

"Oggi mettiamo i clienti in condizione di utilizzare al meglio le piattaforme digitali. In Banca Patrimoni abbiamo sviluppato applicazioni di investimento che consentono in qualsiasi momento ai nostri clienti ti di monitorare, informarsi, approfondire"

Che ruolo gioca la tecnologia?
È uno degli elementi fondamentali che ha accompagnato l'evoluzione del nostro lavoro. Mi riferisco sia a quella che viviamo in ufficio, quindi ai sistemi informativi che ci consentono di leggere in maniera più chiara e utile le informazioni e i dati per poi trasmetterli in maniera comprensibile ai nostri clienti, ma anche a quella che ha trasformato l'esperienza d'uso dei clienti stessi. Una tendenza partita anni fa e che l'emergenza pandemica ha accelerato, arrivando a modificare le dinamiche attraverso le quali sviluppiamo le nostre relazioni professionali. Quindi la possibilità di gestire i clienti a distanza o di coinvolgere in maniera più efficace le nuove generazioni, che spesso sono più autonome e che hanno un approccio digitale. Per questo in Banca Patrimoni abbiamo sviluppato delle app di investimento che consentono in qualsiasi momento ai nostri clienti di monitorare, informarsi, approfondire, porsi delle domande e sulla base di quelle instaurare nuove tipologie di discussione.

"Anche se i giovani guardano ad un servizio principalmente digitale, per le decisioni più complesse rimane fondamentale l'interazione umana"

Come si conciliano tecnologia e consulenza?
La tecnologia è fondamentale per il nostro lavoro e lo sarà sempre di più. Ma l'attenzione e la comprensione delle esigenze del cliente passa attraverso una relazione che va oltre l'elemento tecnologico. La grande sfida che avremo tutti nel futuro sarà proprio quella di integrare la tecnologia sempre di più nei rapporti con i nostri clienti, di sfruttarla nell'ambito di una relazione che deve sempre comunque basarsi sulla comprensione delle loro esigenze, prima ancora di arrivare all'analisi dei numeri.

Questo vale anche per le giovani generazioni?
Certo. Anche se le nuove generazioni di investitori guardano ad un servizio principalmente digitale, per le decisioni più complesse rimane fondamentale l'interazione umana. Con questa tipologia di clienti è necessario adottare un approccio ibrido e puntare ad offrire servizi sempre più personalizzati, che associno maggiore praticità nell'esperienza di gestione con a un supporto personalizzato per orientare al meglio le scelte. 

Restando ai giovani, questo ha ancora più senso se consideriamo che hanno interessi e priorità nuovi, come quelli legati ai temi ambientali oppure agli asset digitali.  Per questo dico che il lavoro del private banker si fa sempre più complesso e allo stesso tempo sempre più avvincente. La mia sfida è quella di passare da gestore di patrimoni a gestore dei bisogni e degli obiettivi dei miei clienti: solo comprendendo bene le necessità dei clienti si potranno proporre gli strumenti e i prodotti che saranno adatti sia a loro che alle future generazioni.