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Nel tempo della permacrisi l’ascolto digitale del cliente integra la prossimità territoriale

Oggi le banche sono chiamate a un cambio di mentalità trasformandosi in consulenti. Il sistema creditizio può giocare un ruolo determinante in un affiancamento che vada oltre il banking tradizionale. La nuova riflessione nel format Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini
Nel tempo della permacrisi l’ascolto digitale del cliente integra la prossimità territoriale
Un punto vendita di un brand della moda su Decentraland, uno dei mondi virtuali più famosi, durante la Metaverse Fashion Week (Vittorio Zunino Celotto / Getty Images)
Pierangelo Soldavini
Pierangelo Soldavini

Questa è la nuova puntata della rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini. Qui leggerai un'analisi a firma del noto giornalista italiano esperto di economia e innovazione. Da trent'anni Soldavini scrive sul Sole24Ore ed è considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario. Perché abbiamo bisogno di comprendere le sfide contemporanee che attraversano i nostri mercati. Perché abbiamo necessità di individuare bussole che ci orientano in questo tempo incerto. Perché abbiamo urgenza di decriptare la complessità, provando a comprenderne il senso. Rileggi le precedenti puntate e buona lettura con quella nuova!

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“In Italia è impossibile fare impresa”. Quante volte abbiamo sentito questo ritornello, un po’ stantio e vacuo, che peraltro non riconosce i meriti di tanti imprenditori che continuano a creare e fare impresa in condizioni non certo semplici. Per come si possa giudicare il quadro burocratico e amministrativo italiano, oggi senz’altro il contesto stesso non contribuisce certo a facilitare. Anzi, rispetto al recente passato la complessità per le imprese è andata, se possibile, complicandosi sempre più. Il lockdown e l’emergenza epidemica forse hanno rappresentato la parte più semplice, dal momento che almeno gli effetti sono stati contenuti nel tempo. Da allora si è dispiegata quella che con un neologismo brutto ma efficace viene indicata come “permacrisi”: un quadro di incertezza in apparenza permanente che coinvolge uno scenario congiunturale fragile, cui contribuiscono l’irrigidimento della politica monetaria destinata ad allentarsi (ma non si bene quando), il fattore geopolitico tornato a farla da padrone con conflitti in aree sensibili e prossime che aprono prospettive inquietanti, le catene di fornitura globali che vanno a singhiozzo con i chiari di luna planetari. 

A questi fattori si aggiungono fenomeni trasversali che impattano in maniera sempre più rilevante sull’operatività, tanto più perché difficilmente controllabili: il cambiamento climatico con i suoi effetti devastanti e l’accelerazione continua dell’evoluzione tecnologica, alle cui conseguenze si aggiunge anche un quadro regolamentare che si va complicando. Insomma, sembra davvero che fare impresa oggi, non solo in Italia, sia più complesso che mai . 


Una condizione che colpisce ancora di più un’economia dominata da imprese di dimensioni ridotte, se non atomiche, che risultano più esposte ai venti del cambiamento e bisognose di accompagnamento in questo scenario di complessità crescente, in particolare per sopperire al gap informativo e di competenze di cui inevitabilmente soffrono più dei big. Ma che, allo stesso tempo, possono sorprendere per la loro grande capacità di adattamento e di innovazione che si esprime al meglio proprio nei momenti più difficili. In questo scenario si moltiplicano i segnali che evidenziano le esigenze da parte delle imprese di supporto e accompagnamento, non solo a livello politico, ma anche operativo. Sotto questo profilo il sistema creditizio può giocare un ruolo determinante in un affiancamento che vada oltre il banking tradizionale trasformandosi in una logica più da consulente che non da business standard

Recentemente l’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano ha dedicato un focus specifico alle Pmi, rilevando come le micro e le piccole imprese richiedano prima di tutto processi snelli con minimi requisiti documentali e un supporto consulenziale durante l’adozione delle soluzioni di finanziamento. Questo per quanto riguarda nello specifico la gestione della liquidità e del capitale circolante. Dalle Pmi emerge la necessità di nuove forme di finanziamento più flessibili e avanzate, anche se dall’indagine dell’Osservatorio emerge una scarsa conoscenza delle opportunità più innovative, come quelle della finanza di filiera, inducendo così a privilegiare forme tradizionali come il credito, l’anticipo fattura o il factoring. Allo stesso tempo, in termini più generali, le stesse Pmi evidenziano l’esigenza di un accompagnamento che possa guidarle e sostenerle nelle loro scelte finanziarie più complessive. Insomma, dal mondo delle imprese emerge oggi una richiesta impellente di aiuto e di accompagnamento di fronte alla realtà competitiva complessa che devono affrontare, di capacità di ascolto delle esigenze e di offerta di soluzioni alla portata di tutti, semplici e flessibili. Nel loro rapporto con il mondo bancario, le Pmi puntano a privilegiare una relazione personale, basato sulla fiducia. Era un approccio che aveva caratterizzato il sistema finanziario fin dalla sua nascita, soprattutto sulla base di un legame di prossimità territoriale, ma che si è andato via via appannando con il passar del tempo a favore di una logica standardizzata e rigida, basata sulla concorrenza e sulla redditività. Non che adesso si debbano abbandonare questi fattori, ma oggi le banche sono davvero chiamate a un cambio di mentalità, sia quelle legate al territorio che quelle più grandi e distribuite, trasformandosi in veri e propri consulenti dal punto di vista finanziario per le aziende. Sempre più agli istituti di credito si apre la prospettiva di uscire dai confini dei meri servizi finanziari tradizionali espandendo la loro offerta a funzionalità e servizi nuovi.

Un esempio chiaro in questo senso è la nuova attenzione alle tematiche legate alla sostenibilità per supportare imprese che si trovano invischiate in una nuova complessità di reportistica e regole, soprattutto a livello europeo, che spesso travalica le loro competenze. Un tema che impatta intere filiere produttive coinvolgendo anche gli attori più piccoli, che rischiano di trovarsi in netta difficoltà. Ma d’altra parte la compliance delle regolamentazioni Esg riguarda direttamente anche le banche, che hanno tutto l’interesse a standardizzare le aziende clienti su metriche coerenti con il loro modello di rischio. Il supporto offerto ai clienti in termini di rendicontazione e formazione finisce quindi per andare incontro anche all’interesse delle banche per arrivare a una valutazione corretta delle controparti aziendali in relazione ai fattori Esg e della loro esposizione ai rischi climatici, per esempio, in relazione ai collaterali immobiliari. La sostenibilità si configura quindi come un terreno di espansione di un nuovo modello di relazione tra banca e impresa già sperimentato nell’ambito della finanza di filiera, laddove l’affidabilità creditizia del capo filiera fa da garante per i fornitori a cascata lungo l’intera filiera, con soluzioni all’insegna della flessibilità e della semplificazione.

I presupposti imprescindibili di questo modello sono la fiducia e la conoscenza. Non c’è dubbio alcuno che le banche godano ancora di un elevato livello di fiducia da parte dei clienti, sia consumer che business, un patrimonio di credibilità da non erodere e anzi da capitalizzare come base per il consolidamento del posizionamento di mercato. A pensarci bene ci sono intere aree che possono trasformarsi in opportunità di supporto (e di business), oltre a quelle tradizionali o innovative come la sostenibilità: dall’internazionalizzazione alla cybersecurity, dal risk management a una copertura assicurativa profilata su misura, fino a nuovi settori operativi come la mobilità o – e perché no? – lo Spazio. Nuovi ambiti in cui poter fornire davvero servizi che vadano oltre la semplice finanza, ma che ad essa sono connessi. La conoscenza da sempre si basa sulla relazione personale e sulla prossimità territoriale, che deve continuare a essere coltivata ancora oggi, nonostante la crisi del modello basato sulla filiale. Abbiamo già sottolineato in altre occasioni come la presenza fisica sia determinante ancora oggi. Ma il digitale offre parallelamente nuove opportunità per affinare la relazione in termini di efficienza e qualità, per poter rispondere con rapidità e flessibilità alle esigenze della clientela. Da questo punto di vista le banche tradizionali stanno digerendo la lezione dell’innovazione fintech, avendone compreso la sfida culturale in termini di accompagnamento, di ascolto e di semplificazione, proprio sulla base della digitalizzazione dei servizi e della gestione efficienti di quel patrimonio di dati che gli attori dei servizi finanziari hanno in pancia. Ma un’economia basata sui dati deve essere ispirata anche all’apertura e da questo punto di vista imprese e Pubblica amministrazione sono chiamate a fare la loro parte per poter conseguire servizi finanziari evoluti. Il patrimonio informativo degli attori dei servizi finanziari può essere trasformato in valore esponenzialmente più alto se incrociato, per esempio, con le banche dati catastali o con quelle legate alle certificazioni ambientali dando vita a servizi accessori a valore aggiunto, per giunta automatizzati. Ma anche l’Industria 4.0, con i suoi impianti che producono dati oltre alle merci, potrebbe agevolare di gran lunga il compito delle banche nella valutazione della solvibilità, della produzione e delle giacenze, delle opportunità di finanziamento del circolante. Il fluire libero e aperto dei dati potrebbe non sostituire del tutto, ma senz’altro integrare la capacità di ascolto e di conoscenza del mondo imprenditoriale per poter rinnovare quella relazione non più tra banca e cliente, ma tra partner che perseguono un bene comune. Anche nell’interesse del sistema Paese.

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