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È l'era dell'intelligenza aumentata. Così l'AI ridisegna servizi, processi, relazioni

È l'era dell'intelligenza aumentata. Così l'AI ridisegna servizi, processi, relazioni
Uno dei dinosauro robot dell'hotel Henn-na, nella periferia di Tokyo (Kazuhiro Nogi / AFP via Getty Images)

Viviamo in un mondo che corre a velocità aumentata rispetto al passato e che spesso ci impedisce di decodificare fenomeni nuovi. Un mondo connesso e al tempo stesso interconnesso, le cui azioni possono determinare reazioni imprevedibili. Abbiamo necessità di fotografare quello che avviene, di rallentare per poter ragionare sui trend che stanno riscrivendo prodotti, servizi, visioni, relazioni. Questa è il senso della rubrica Insights Longform, giunto alla terza puntata. Si tratta di contenuti di approfondimento che trovano spazio da oggi sul nostro hub editoriale per comprendere quello che sta avvenendo intorno a noi e per raccogliere le sfide future che riguardano persone, imprese, comunità. Buona lettura!

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Il futuro talvolta si annida anche negli spazi più reconditi del passato. Ma tanto passato. Addirittura dobbiamo tornare indietro di duecentotrenta milioni di anni, quando i primi dinosauri dominavano le terre emerse. Può sembrare un paradosso, ma il primo robot dotato di intelligenza artificiale nato in Giappone e assunto come receptionist in un hotel è stato disegnato con le sembianze di un dinosauro. Benvenuti all'hotel Henn-na, periferia est di Tokyo, megalopoli da più di sei milioni e mezzo di abitanti non nuova ad entrare nei guinness dei primati per l'adozione di tecnologie immersive ed evolute. Nomen omen, come dicevano i latini. Un presagio che diventa auspicio. Perché Henn-na tradotto dal giapponese significa strano. Ed è forse quello che hanno pensato i primi clienti della struttura ormai otto anni fa, quando sono stati accolti da questo robot con fattezze da dinosauro e con indosso un minuscolo cappello da fattorino sulla testa addetto al check-in, alla registrazione dei documenti, allo smistamento dei bagagli nelle stanze. I sensori del dinosauro rilevano il movimento e accolgono il cliente con un robotico "benvenuto". I robo-dinos elaborano i check-in tramite un sistema tablet che consente anche ai clienti di scegliere la lingua che desiderano utilizzare per comunicare con i robot multilingue. L'effetto è bizzarro, con i grandi dinosauri che gesticolano con le loro lunghe braccia e pronunciano frasi fisse. È quanto ha sottolineato anche il Guardian, che ha raccontato questa pionieristica esperienza. Henn-na è stato il primo al mondo con personale robotico, seguito poi da Hilton e Marriott. In fondo l'industria del turismo è stata una delle prime ad essere coinvolta in questa trasformazione tecnologica legata alle prestazioni dell'intelligenza artificiale, conosciuto con l'acronimo di AI. Ma non è la sola industria. Sempre nel 2015 il colosso bancario giapponese Mitsubishi UFJ Financial Group - holding di banche appartenenti al Gruppo Mitsubishi con headquarter nello storico quartiere di Chiyoda e con una capitalizzazione pari a 2,4 miliardi di dollari - da molti anni ha assunto Nao, robot umanoide multilingue alto 58 centimetri e dal peso di 5,4 chilogrammi, impegnato nella relazione con i clienti nelle filiali della banca. A svilupparlo la società francese Aldebaran Robotics, filiale del gigante giapponese delle telecomunicazioni e di Internet SoftBank, Dotato di una telecamera sulla fronte, Nao è programmato per parlare ben diciannove lingue. Analizza le emozioni dei clienti dalle loro espressioni facciali e dal tono della voce, saluta e chiede di quali servizi si necessita. "Ciao e benvenuto. Posso parlarti del cambio della valuta, dei servizi legati al bancomat, dell'apertura di un conto bancario?" Così esordisce il robot, come ha raccontato la stampa internazionale.

 

 

Il futuro talvolta si annida anche negli spazi più reconditi del passato, abbiamo scritto prima. Perché anche il concetto di intelligenza artificiale, uno dei termini oggi più in voga, nasce nel lontano 1955 e quindi ben sessantotto anni fa, coniato da John McCarthy. Questo informatico statunitense, nato a Boston nel 1927 e morto a Stanford nel 2011, vincitore anche dell'ambito Premio Turing nel 1971 per i suoi contributi nel campo dell'AI, amava ripetere: «Solo quando c'è la volontà di fallire, si possono trovare mille ostacoli». Che inguaribile ottimista McCarthy, convinto che nello sviluppo le macchine potessero incarnare la natura del pensiero astratto e la risoluzione dei problemi del cervello umano, cioè simulare gli aspetti di apprendimento di un umano. Così ha ricordato il suo pensiero il New York Times in occasione della sua morte. Tutto parte da una proposta all'interno di gruppo di lavoro che avrebbe poi dovuto incontrarsi l'anno successivo al Dartmouth College, scrivendo di fatto la storia. A quella conferenza prendono parte dieci scienziati informatici, ma è McCarthy ad esplorare i modi in cui le macchine possono ragionare come gli esseri umani. Allora come oggi il principio resta immutato: ogni caratteristica dell'intelligenza o dell'apprendimento può essere descritta in modo così preciso che una macchina può simularla senza problemi. Così quando nel 1950 chiesero proprio a John McCarthy quando un computer sarebbe stato in grado di capire il linguaggio umano, lui rispose scherzando: «da cinque a cinquecento anni». C'è da dire che il padre dell'intelligenza artificiale all'epoca era solo un giovane assistente al Dartmouth College quando organizzò quella prima conferenza mondiale sull'AI. Ma l'obiettivo per lui era sfidante: esplorare i modi per realizzare una macchina che potesse ragionare come un essere umano, capace di pensiero astratto, risoluzione dei problemi e auto-miglioramento. Nel corso della sua vita McCarthy ha speso tutto se stesso nel progresso dell'AI, ma da quella prima conferenza sono dovuti passare quasi settant'anni prima che fosse alla portata di tutti. 

 

Un traguardo arrivato dopo il sorpasso di numerose resistenze endogene e altrettante rivoluzioni digitali: è la burrasca creativa teorizzata dall'economista austriaco Joseph Shumpster: «Anche dopo essere stata lanciata, un'innovazione può incontrare molte difficoltà ad affermarsi o essere superata da innovazioni rivali; tocca all'imprenditore sostenere questi rischi e far fronte agli scettici e agli oppositori». Lo stanno facendo tutti quegli imprenditori che oggi sostengono lo sviluppo e l'applicazione dell'intelligenza artificiale, la benzina che sta alimentando la sesta ondata di innovazione tecnologica. Dopo che Internet è emerso all'inizio degli anni '90, le barriere all'informazione sono state abbattute. I nuovi media hanno cambiato il discorso politico, i cicli di notizie e la comunicazione. Internet è stato il protagonista della quinta ondata di innovazione e ha inaugurato una nuova frontiera della globalizzazione, un panorama senza confini di flussi di informazioni digitali. Ora, sulla base delle reti digitali globali, si sta cementando la sesta ondata, segnata dall'intelligenza artificiale e dalla digitalizzazione attraverso l'Internet delle Cose (Internet of Things), la robotica e i droni, e probabilmente dipingerà un quadro completamente nuovo. Vale a dire l'automazione dei sistemi, l'analisi predittiva e l'elaborazione dei dati. Mentre le tecnologie si stanno ancora sviluppando, ci sono settori in cui la rivoluzione sta già prendendo piede. Uno di questi è il settore finanziario. 

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L'AI al servizio delle banche 
Le attività e le capacità dell'intelligenza artificiale sono per molti aspetti inesplorate, ma si stanno evolvendo in tempi rapidissimi e comprendono l'apprendimento automatico, la pianificazione e la cooperazione tra agenti intelligenti, le interfacce di comunicazione hardware e software, la comprensione e l'elaborazione del linguaggio naturale e la simulazione della visione e interpretazione di immagini. Francesca Rossi, Research e AI Ethics Global Leader dell'IBM a New York, sostiene i vantaggi dell'intelligenza artificiale, ma aggiunge: «Bisogna riconoscere che porta con sé anche alcuni rischi, dovuti in parte ai limiti della tecnologia stessa e in parte al fatto che provoca una trasformazione molto rapida della nostra vita». Due degli impatti più significativi sono quelli sulla «privacy dei dati e la possibilità di bias e quindi di decisioni che discriminano tra vari gruppi di persone», precisa Rossi. Proprio per questo motivo l'Unione Europea sta supportando la nascita di una legge (AI Act) per salvaguardare i cittadini europei dai rischi dell'AI senza, tuttavia, censurare lo strumento. Tutte le aziende, infatti, riconoscono «la sua capacità di ottimizzare le loro operazioni e di creare nuovi servizi che prima non esistevano» conclude Rossi. Tra queste organizzazioni ci sono le banche che registrano ogni secondo una grande mole di dati: transazioni monetarie, registro del risparmio e degli investimenti. L'intelligenza artificiale è in grado di gestire tutte queste operazioni e offrire dei modelli predittivi, interfacciandosi con i clienti per offrire un desk più efficiente. Il ruolo chiave della finanza è infatti quello di comunicare il valore dell'organizzazione ai propri stakeholder, per aiutarli a prendere decisioni. Tuttavia, ciò che dovrebbe essere misurato e comunicato è notevolmente cambiato negli ultimi anni con la crescente importanza delle attività immateriali che spesso non sono immagazzinate allo stesso modo delle attività materiali. La complessità del mercato ha dunque portato a banche dati significativamente più consistenti rispetto a quelle riscontrate in altri settori, portando con sé la necessità di migliorarne l'esperienza e l'efficienza. 

In campo con le fintech
Ecco che entrano nel campo da gioco le fintech, aziende specializzate nell'offerta di servizi finanziari basati sulle nuove tecnologie. Spesso si tratta di piccole startup che offrono alle banche di medio-alto livello dei servizi, sostanzialmente tutti quelli della finanza tradizionale: dalle transazioni e i pagamenti all'intermediazione finanziaria, fino alla gestione del rischio e alle valute elettroniche, ad esempio il bitcoin. Lo sviluppo delle fintech sta diventando un punto focale per descrivere l'integrazione dell'intelligenza artificiale nel contesto bancario moderno: secondo la ricerca Big Data e Intelligenza Artificiale l'utilizzo dei servizi fintech offerti dalle startup sta crescendo in modo esponenziale in tutto il mondo, in particolare in America Latina - qui il 77% delle banche utilizza questo tipo di servizi - seguita dal continente europeo con il 65%. Il Nord-America è ultimo insieme all'Asia con il 59% di banche che adottano queste soluzioni offerte dalle fintech. 

 

 

A livello globale, quindi, possiamo osservare in base ai dati che molti istituti bancari, oltre a compagnie di assicurazione e gestione patrimoniale, hanno riconosciuto la necessità di abbracciare le fintech, facendo investimenti direttamente o attraverso partecipazioni. L'AI può essere sfruttata per ottimizzare queste interconnessioni ma quali sono le reali applicazioni delle tecnologie di intelligenza artificiale nel fintech? Le categorie principali sono otto:

  • Credit Scoring e Directlending: analizzano e rilevano rischi di credito o di insolvenza dei richiedenti un prestito ai Regulatory.
  • Compliance and Fraud Detection: rilevano comportamenti finanziari anomali o fraudolenti.
  • General Purpose and Predective Analytics: utilizzano applicazioni semantiche per fare analisi predittive.
  • Market Research and Sentiment Analysis: scandagliano la rete per misurare il sentiment degli utenti online nei confronti di uno specifico tema.
  • Quantitative and Asset Management: permettono la valutazione di rischio e la profilazione dell'utente.  
  • Business Finance and Expense Reporting: supportano le PMI nella gestione dei processi di incasso e pagamento in valute estere. 
  • Insurance: sviluppano innovazioni in ambito driverless car e robo-advisor.
  • Assistant and Personal Finance: supportano gli utenti nell'ambito della gestione delle finanze personali, anche tramite chatbot 

Proprio i chatbot sembrano essere una delle applicazioni di Natural Language Processing più diffuse nel settore bancario. Molte grandi banche hanno già lanciato proprie forme di interfaccia di conversazione per aiutare i clienti con richieste di routine, come effettuare pagamenti o ottenere dettagli sui propri account. Ciò richiede che l'industria fintech lavori a stretto contatto con sviluppatori, progettisti e tecnici per garantire che i nuovi concetti vengano diagnosticati, sviluppati e commercializzati in modo efficace e professionale, che porteranno a significativi benefici con un forte aumento dell'automazione nel settore finanziario e senza reali filiali bancarie, esattamente come Amazon che ha sfidato il resto del settore retail senza costruire negozi (nonostante abbia nel tempo strutturato una rete di distribuzione fisica altamente digitalizzata), Airbnb che ha introdotto un modello radicalmente nuovo nel settore hospitality senza avere propri hotel o Netflix che sta cambiando il panorama dei media senza infrastrutture proprietarie.

Il contesto italiano
Dal mondo intero all'Italia. Di fatto noi manteniamo una posizione di rilievo e partecipiamo come i grandi gruppi bancari globali agli sviluppi delle fintech. Secondo la ricerca Rilevazione sull'IT nel settore bancario italiano nel 2021 promossa dall'Associazione Bancaria Nazionale, l'86% dei 21 gruppi bancari e 34 banche selezionate includono nella propria strategia IT il ricorso ad aziende fintech. Tuttavia, solo il 29% vi collabora in forma continuativa, mentre il 57% in modalità occasionale. 

 

 

Le grandi banche nazionali partecipano in modo diverso alla collaborazione con le fintech: sui 18 gruppi che vi ricorrono, 17 avviano la collaborazione sulla base di accordi commerciali, mentre 14 promuovono dei progetti di sperimentazione. Solo un gruppo ha creato un'azienda fintech interna al gruppo per gestire tutto lo sviluppo IT interno. Le tendenze di utilizzo dell'intelligenza artificiale in Italia si adattano a quelle mondiali: molti gruppi le utilizzano per gli scambi di credito, la fraud detection, la profilazione degli utenti, l'analisi degli investimenti e nell'aiuto allo sportello. Ben sei gruppi dei 21 inclusi nella ricerca ne fanno uso, il segno che determinate attività lavorative nel settore si stanno rimodulando e semplificando. Partendo da questo assunto la domanda che molti si pongono è se l'AI danneggia o meno le risorse umane. 

 

 

Capitale umano e capitale tecnologico
Il McKinsey Institute ha svolto una ricerca sull'impatto dell'intelligenza artificiale sul tessuto lavorativo nelle aziende: il risultato delinea un divario crescente che potrebbe manifestarsi a livello dei singoli lavoratori. La domanda di posti di lavoro potrebbe spostarsi dai compiti ripetitivi a quelli che sono guidati socialmente e cognitivamente e richiedono più competenze digitali. I profili di lavoro caratterizzati da attività ripetitive o che richiedono un basso livello di competenze digitali potrebbero subire il calo maggiore in termini di quota dell'occupazione totale a circa il 30% entro il 2030, da circa il 40%. Tuttavia, potrebbe essere compensato dal maggior guadagno nelle attività non ripetitive e in quelle che richiedono competenze digitali elevate, passando da circa il 40% a oltre il 50%. L'intelligenza artificiale, quindi, non sancirà la fine del lavoro umano, ma lo spostamento delle competenze.

 

 

Questi spostamenti avrebbero un impatto sui salari: l'istituto stima che circa il 13% della massa salariale totale potrebbe spostarsi verso categorie che richiedono competenze digitali elevate e non ripetitive, in cui i redditi potrebbero aumentare, mentre i lavoratori nelle categorie ripetitive e con competenze digitali basse potrebbero sperimentare una stagnazione o addirittura una riduzione dei loro salari. La quota del costo salariale totale di quest'ultimo gruppo potrebbe scendere al 20%, dal 33% attuale. Le banche sono ormai consapevoli delle potenzialità e delle opportunità offerte dall'intelligenza artificiale: l'hanno testata e implementata in vari processi. Per questo motivo tengono gli occhi puntati su questa tecnologia, la studiano e la testano. Ma soprattutto ne osservano l'evoluzione normativa, che pone nel nodo della governance temi etici e di privacy, oltre che di sicurezza. Tuttavia, per migliorare c'è bisogno di tutti gli attori in campo. «Non affidiamoci alla tecnologia in modo passivo. Usiamola per capire meglio, per affinare le nostre conoscenze, esplorare nuove aree, confrontarci con altre persone, cambiare idea, raggiungere dei compromessi e collaborare», conclude Francesca Rossi. Inoltre, c'è la consapevolezza che determinate attività potrebbero aumentare la produttività e migliorare il bilancio di questi grandi gruppi riadattando le risorse interne. Di fatto l'impatto della tecnologia sta ridisegnando mercati e relazioni, offrendo una migliore performance dei brand e un'azione più mirata sugli utenti connessi. «Di tutte le funzioni di un'azienda il marketing è l'ambito che ha più da guadagnare dall'intelligenza artificiale. Le attività principali sono comprendere le esigenze dei clienti, abbinarle a prodotti e servizi e convincere le persone ad acquistare», ha scritto Thomas Davenport sull'Harvard Business Review. «Oggi siamo in una fase nuova che mette in pratica quella centralità del cliente teorizzata nel tempo. Parliamo di intelligenza aumentata, non più soltanto artificiale. Anche perché l'analisi dei dati consente di comprendere i bisogni degli utenti anche in logica predittiva. Ci sono persino sistemi agganciati ai call center che modellano le risposte sulla base delle emozioni espresse o che consigliano all'operatore quale strategia conversazionale adottare», ha dichiarato al Sole24Ore Guido Di Fraia, fondatore e CEO del laboratorio Iulm AI Lab, docente e prorettore all'innovazione dell'Università Iulm di Milano. Così di fatto oggi gli algoritmi ottimizzano le performance, arrivando a coinvolgere persino l'intera azienda. «Le possibilità robotiche delle auto a guida autonoma, le abilità linguistiche di assistenti virtuali e chatbot, le capacità predittive della medicina di precisione o della manutenzione anticipatoria in fabbrica impongono di aggiornare le competenze e le professionalità. Alcuni lavori spariranno, altri verranno ridisegnati. Per tenere il passo con gli sviluppi dell'intelligenza artificiale sarà necessario un imponente piano di educazione e formazione a tutti i livelli. E consideriamo che siamo ancora solo all'inizio», scrive nel nostro approfondimento Cosimo Accoto, tech philosopher e research affiliate e fellow al MIT di Boston, uno dei più influenti filosofi digitali contemporanei, da anni impegnato a studiare l'innovazione culturale e tecnologica su diversi livelli e autore per Egea di un'originale trilogia filosofica sulla civiltà digitale: Il mondo in sintesi (2022), Il mondo ex machina (2019), Il mondo dato (2017). L'Italia si pone in un contesto mondiale altamente competitivo che viaggia a mille all'ora solcando l'onda di una rivoluzione digitale in larga parte ancora inesplorata, ma che deve necessariamente partire da una integrazione virtuosa tra capitale tecnologico e capitale umano.