Innovazione tecnologica e intelligenza artificiale per il Venture Capital
“Negli ultimi 18 mesi abbiamo assistito a una fase di normalizzazione nel mercato del venture capital che ha seguito due anni eccezionali, in particolare il 2021 e il 2022, durante i quali gli investimenti hanno superato di oltre il 50% i record precedenti. Il 2023, pur essendo percepito da molti come un anno di crisi, ha rappresentato in realtà una transizione verso valutazioni più equilibrate, riportando il settore su livelli più sostenibili. Il 2024 sembra confermare questo trend, con un ritorno ai volumi di investimento osservati nei periodi pre-pandemia, come il 2018 e il 2019”.
È lo scenario descritto da Luca Mannucci, Managing Partner e CIO di Sella Venture Partners, che nell’intervista con la rivista specializzata We Wealth (qui la versione integrale) illustra ai suoi lettori il recente passato del settore del Venture Capital ma soprattutto i trend del 2025 appena iniziato. Ne riportiamo alcuni passaggi anche su Sella Insights.
Vi sono indicazioni che suggeriscono una ripresa del mercato? se sì, quali fattori stanno guidando questo cambiamento?
Guardando al futuro, il 2025 potrebbe segnare una ripresa significativa. Negli Stati Uniti, l’attesa contrazione dei tassi d’interesse favorirà il mercato dei capitali privati, contribuendo a migliorare l’accesso ai finanziamenti. Un ulteriore elemento di rilancio sarà la riapertura della finestra delle IPO, rimasta chiusa per quasi tre anni, e dell’attività di M&A che consentirà nuove exit strategiche e di conseguenza l’alleggerimento dei portafogli dei venture capital. Infine, la pipeline di innovazioni tecnologiche, in particolare legate all’intelligenza artificiale, sta catalizzando un ingente afflusso di capitali. Questo fenomeno riflette una nuova rivoluzione tecnologica che sta attirando l’attenzione degli investitori, generando nuovo slancio per il settore.
Considerando la caratteristica del venture capital di concentrarsi spesso su settori specifici o nicchie di mercato, come si configura l’approccio di un fondo di fondi? A quale tipo di investitori o entità si rivolge principalmente la vostra strategia di investimento?
Il nostro approccio è di natura omnicomprensiva, grazie alla possibilità di offrire diverse classi di azioni. Questo ci consente di proporre un prodotto competitivo sia per investitori istituzionali sia per investitori privati con portafogli significativi. Nonostante il nostro fondo sia riservato, siamo stati tra i primi a sfruttare la normativa che ha ridotto il livello minimo di investimento a 100.000 euro, rendendo accessibile uno strumento che tradizionalmente era esclusivo per investitori istituzionali.Questa apertura ci ha permesso di ampliare la nostra base di investitori, mantenendo al contempo l’elevata qualità e professionalità che caratterizzano il nostro approccio e perseguendo il nostro obiettivo di offrire opportunità diversificate garantendo sempre un focus su qualità e risultati.
Attualmente quali ritenete siano i posizionamenti più strategici nel panorama del venture capital? Esistono particolari trend o settori emergenti che considerate particolarmente promettenti? L’intelligenza artificiale continuerà ancora a recitare la parte del protagonista?
La strategia si basa su un approccio diversificato che poggia su due pilastri. Il primo è che offriamo un prodotto che investe contemporaneamente sui mercati primari e secondari, che ci consente di offrire un vantaggio unico rispetto al mercato, tradizionalmente concentrato solo su investimenti di primario. Attraverso gli investimenti di secondario, siamo in grado di acquisire partecipazioni in fondi più maturi, spesso a sconti significativi, ottimizzando così il rendimento complessivo e la durata del fondo per i nostri investitori.
Il secondo pilastro è il posizionamento geografico. Ci concentriamo, infatti, prevalentemente sul mercato statunitense, dove negli anni abbiamo costruito un network solido che ci permette di accedere a fondi di altissima qualità, spesso inaccessibili al pubblico generale e persino agli investitori istituzionali. Manteniamo comunque anche un’esposizione su alcuni fondi che investono in Europa.
A livello settoriale, riteniamo che le migliori opportunità emergano dai fondi generalisti, capaci di intercettare i trend più promettenti senza essere vincolati a specifici verticali. Storicamente, le innovazioni di successo hanno trovato terreno fertile proprio in questi fondi. Chi ha investito vent’anni fa in Facebook non lo ha fatto su un fondo specificatamente dedicato al segmento dei social media, che ancora non esisteva, ma su uno generalista. Ed è proprio l’economia a stelle e strisce a favorire tale approccio. Oggi osserviamo segmenti particolarmente dinamici come la tecnologia per la difesa, la cybersecurity e il tech industriale, che sta finalmente penetrando settori finora poco digitalizzati. Inoltre, la biotecnologia, con scoperte come quelle legate al CRISPR (piattaforma di editing genetico di nuova generazione utilizzata per trovare nuove cure, ad esempio, per malattie rare e patologie oncologiche, ndr), sta rivoluzionando il panorama medico.
L’intelligenza artificiale, pur indubbiamente affermatasi come protagonista indiscussa, va inquadrata come parte di un contesto più ampio: la sua evoluzione, infatti, sta avendo un impatto trasversale su molteplici settori, generando un’onda di innovazione che continuerà a stimolare flussi di capitale significativi.
Infine, la nuova amministrazione USA dovrebbe essere particolarmente favorevole alle operazioni di m&a, da sempre volano per l’equity americano.
Stati Uniti ed Europa continuano ad avere un mercato del venture capital molto differente. Al di là dell’Atlantico i colossi tech sono attori fondamentali nel vivacizzare il settore delle startup, al di qua, no. Cosa manca all’Europa per colmare questo gap?
Il mercato statunitense del venture capital beneficia di un ecosistema unico, caratterizzato da un mercato domestico vasto e integrato, un accesso agevole ai capitali e una forte presenza di grandi acquirenti tecnologici.
Al contrario, in Europa, il settore risente ancora di alcune limitazioni strutturali, come la frammentazione legislativa, che rende complessa l’espansione su più mercati, e una burocrazia più onerosa. Un altro fattore critico è la carenza di grandi acquirenti locali. Molte società europee si trovano a dover attrarre compratori americani, che però, negli ultimi anni, si sono concentrati maggiormente sul proprio mercato domestico, complicando ulteriormente le opportunità di exit. Di conseguenza, i fondi europei di alta qualità mostrano generalmente un ciclo di distribuzione più lento rispetto ai loro omologhi statunitensi, con un impatto diretto sui ritorni degli investitori.