Insights
Open Innovation

Dai silos verticali alle piattaforme orizzontali, così la banca sarà sempre più ibrida e centrata sul valore della relazione

Inaugurato a Torino l’Open Innovation Center, il nuovo spazio del Gruppo Sella aperto ad una pluralità di servizi consulenziali. La nuova riflessione nel format Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini parte proprio da qui, evidenziando come la transizione digitale abbia trasformato il mondo bancario verso un approccio digitale e fisico insieme per sfruttare tutti i canali e garantire una relazione fatta di prossimità e di conoscenza
Dai silos verticali alle piattaforme orizzontali, così la banca sarà sempre più ibrida e centrata sul valore della relazione
Un dettaglio degli spazi del nuovo open innovation center del gruppo Sella
17 Oct 24
#open innovation
Pierangelo Soldavini
Pierangelo Soldavini

Questa è la nuova puntata della rubrica mensile Insights - Il punto di Pierangelo Soldavini, giornalista italiano esperto di economia e innovazione considerato un riferimento sui temi legati al mondo bancario.

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Potremmo discutere per giorni o anni se l’intelligenza artificiale sia davvero intelligente, ben sapendo che non abbiamo ben chiaro cosa sia davvero l’intelligenza umana. Sappiamo bene cosa sia la stupidità dell'essere umano, ma sul suo opposto le opinioni sono senza dubbio più divisive. Ho provato a chiedere a ChatGpt come definirebbe una persona intelligente. Risponde che “può essere definita come qualcuno che possiede una combinazione di abilità cognitive, emotive e sociali. È capace di comprendere e analizzare situazioni complesse, risolvere problemi in modo creativo e adattarsi ai cambiamenti. Inoltre, mostra curiosità e un desiderio di apprendere, è capace di pensare in modo critico e riflessivo, e sa comunicare in modo chiaro ed efficace”. Su queste caratteristiche possiamo trovarci più d’accordo, ma ciascuno metterà l’accento su un aspetto piuttosto che sull’altro. Dal punto di vista etimologico l’intelligenza viene da “intelligere”, cioè “leggere tra”, mettere insieme concetti e realtà diverse, creare relazioni tra situazioni differenti, trovare soluzioni integrando dimensioni e competenze apparentemente separate. Non è un caso che uno degli esseri umani che possiamo associare all’intelligenza sia Leonardo da Vinci, che era artista, umanista, matematico, ingegnere, letterato, filosofo, fisico, anche un po’ medico: sapeva integrare la conoscenza dell’epoca per trovare soluzioni innovative ai bisogni e alle esigenze, icona del genio rinascimentale italiano. Al centro di tutto c’è comunque l’umano, l’uomo vitruviano, misura fondamentale dell’intero universo.

A pensarci bene, se c’è una cosa che possiamo concordare sull’intelligenza artificiale è proprio la sua capacità di sfruttare l’enorme capacità di calcolo che le macchine oggi mettono a disposizione per integrare i saperi e trovare relazioni e associazioni tra eventi e conseguenze, anche quelle più recondite, che sfuggono all’essere umano. In realtà è già stato il digitale a creare piattaforme che aprono la conoscenza rompendo la rigidità delle specializzazioni verticali. L’internet è il paradigma di questo nuovo modo di affrontare la realtà integrando conoscenze e specializzazioni, aprendo il sapere e mettendolo alla portata di tutti. O, meglio, di chi sa sfruttarne le potenzialità al meglio, perché poi abbiamo scoperto che queste potenzialità si scontrano con la stupidità di cui si parlava prima a favore della superficialità e del primato della velocità. Ma non c’è dubbio che la rete metta a disposizione di tutti la possibilità di superare le specializzazioni verticali creando connessioni che diventano fonte imprescindibile di innovazione e creatività con livelli di scalabilità mai visti nella storia dell’umanità. Proprio l’intelligenza artificiale abilita una crescita esponenziale della capacità di connettere e integrare i saperi. Sulla base del presupposto che il tocco umano rimane fondamentale per tradurre quelle intuizioni in soluzioni e strategie adatte alla realtà in cui operiamo. Non è un caso quindi che a scuola si punti, sia pur con enorme fatica, a superare la divisione in materie a favore della trasversalità delle competenze, basate proprio sulla capacità di saper pescare alle diverse discipline per individuare la soluzione ideale. Ed è esattamente la transizione che sta attraversando anche il mondo aziendale, dove sempre più i silos verticali delle singole funzioni puntano a sciogliersi in piattaforme orizzontali in grado di individuare relazioni tra fenomeni e saperi per trovare la soluzione più innovativa andando incontro alle esigenze di consumatori e aziende, del mercato in generale, comunque fatto di persone . 

In questo senso l’intelligenza artificiale non deve essere considerata come strumento sostitutivo, ma come supporto, estremamente potente ed efficiente, per individuare potenziali connessioni che ispirino soluzioni a cui nessun altro ha pensato. 

Se dobbiamo trovare una parola che sintetizzi tutto questo è “contaminazione”, ossia la capacità di “leggere tra” le diverse discipline trovando relazioni e connessioni che ne moltiplicano le potenzialità. Non è altro che il concetto ispiratore dell’open innovation, fatto proprio di contaminazione che si può sviluppare grazie all’abbattimento delle barriere, tra discipline, persone, competenze e aziende concorrenti. Perché il risultato di questo melting pot di persone, culture, visioni può diventare il brodo di coltura di futuri possibili, plurali e aperti.

Questo è quello che si propone l’Open Innovation Center Torino del gruppo Sella: un hub trasversale di incontro e confronto tra banca, innovatori, territori, imprenditori, visionari, pionieri per creare un circolo virtuoso da cui necessariamente esce qualcosa che è più grande dei singoli soggetti che si incontrano. D’altra parte lo ha già dimostrato l’esperienza di incrocio di open innovation e territori avviata giusto dieci anni fa con il SellaLab che tutto questo è possibile e a portata di mano. Basta avere la cultura e l’approccio aperto, rivolto a un futuro possibile che è l’unica possibilità di trovare risposte a un presente che ci pone interrogativi e dubbi che paiono insormontabili. D’altronde la transizione digitale ha trasformato il modo stesso di essere banca, che non può essere più solo fisica, ma neppure unicamente digitale, ma che deve presentarsi come realtà davvero ibrida, che sappia avere un approccio nativamente digitale e fisico insieme, che sfrutti i diversi canali per garantire una relazione fatta di prossimità e di conoscenza. Perché oggi il cliente sceglie il suo modo di usare la piattaforma banca, ma allo stesso tempo dà per scontato di avere a disposizione tutti gli strumenti possibili, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Per la banca è più complesso dal momento che la vecchia filiale si è trasformata in una realtà multiforme fatta di filiali fisiche, app, banking online, chatbot, call center, persone tra cui il cliente vuole poter scegliere: sarà lui a decidere quale strada intraprendere a seconda dell’esigenza e del momento. La relazione si gioca quindi sul filo della contaminazione tra le varie modalità di relazione con il cliente, che è sempre al centro. Questa è l’unica certezza da cui non si può prescindere: alla stregua dell’uomo vitruviano leonardesco, la persona rimane il perno della relazione, la misura unica del mondo intero. Anche di quello dei servizi finanziari.

 

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