Percorso 4 Finanza sostenibile - Una breve storia dell'investimento etico

Percorso 4 Finanza sostenibile - Una breve storia dell'investimento etico
Finanza sostenibile, un percorso per Clienti Premium
15 Jun 21

Negli ultimi anni, la popolarità degli investimenti socialmente responsabili (Socially responsible investments, o SRI) è aumentata enormemente in tutto il mondo. Questo tipo di investimenti, detti anche investimenti sostenibili o etici, prevede di includere considerazioni di carattere etico, e non solo economico, nella scelta su come investire i propri soldi.

La pratica dell'investimento etico però non è nuova, anzi: nonostante fino a qualche decennio fa sia stata trascurata dalla maggior parte del mondo occidentale, esiste da almeno 3.300 anni ed è stata applicata in diverse forme da società e popoli diversi nel corso della storia.

Già nella Torah, il libro sacro della religione ebraica che la tradizione fa risalire al quinto o sesto secolo avanti Cristo, sono presenti dettami di carattere etico che hanno avuto impatto sugli investimenti di un intero popolo per millenni. Nel testo si fa infatti riferimento al concetto di tzedakah, un'obbligazione etica alla giustizia da applicare a ogni aspetto della vita, inclusa l'economia. Nella tradizione ebraica, la proprietà di qualcosa (e quindi anche delle quote di una società) porta con sé la responsabilità di evitare che questa arrechi danno ad altri, che si tratti della loro proprietà o della loro salute. Ciò imporrebbe ai fedeli di evitare di investire in attività che generino danni ad altri.

Prescrizioni di carattere etico su come investire il proprio denaro sono presenti anche nell'Islam. Dal Corano, testo sacro di questa religione scritto circa millecinquecento anni fa, derivano principi poi tradotti in norme imposte ai fedeli musulmani dalla Sharia, la legge sacra islamica. Alcune di queste norme proibiscono di prestare o prendere a prestito denaro in cambio di un interesse, nonché di investire, fra le altre cose, in attività coinvolte nel gioco d'azzardo e nella produzione di alcol, carne di maiale e armamenti.

Le prime forme di investimento etico di cui si abbia notizia in Occidente sono nate negli Stati Uniti all'inizio del Diciottesimo Secolo. Anche in questo caso, alla loro origine ci sono prescrizioni di carattere religioso: il pastore anglicano John Wesley, uno dei fondatori del movimento protestante metodista, predicava di non arrecare danno al prossimo coi propri affari e di evitare di investire in industrie che nuocessero alla salute dei propri impiegati, come quelle chimiche e quella conciaria, che esponeva i lavoratori ai solventi usati per trattare le pelli. Il metodismo imponeva poi l'astinenza dall'uso di alcol, e quindi anche l'investimento in società che lo producessero. Stessa cosa valeva per tabacco e gioco d'azzardo. Nello stesso periodo, sempre negli Stati Uniti, la comunità protestante dei quaccheri proibiva ai propri membri di investire nella tratta degli schiavi e nelle industrie legate alla guerra, come quella delle armi.
 
Insomma, gli investimenti socialmente responsabili hanno avuto origine (in momenti diversi e in forme diverse per popoli diversi) con l'applicazione di dettami religiosi alla gestione del denaro. Come visto finora, questi dettami prendevano solitamente la forma del divieto di investire in certe attività, cioè imponevano di eliminare alcune attività dalle proprie opzioni di investimento. Non a caso fu questo metodo, chiamato in gergo "negative screening" (cioè selezione per esclusione), quello usato dai primi fondi di investimento etico, creati negli Stati Uniti negli anni Venti del secolo scorso proprio sulla spinta di congregazioni religiose. Questi fondi raccoglievano denaro per investirlo in portafogli azionari che escludevano le cosiddette "sin stocks", azioni del peccato, e cioè azioni di società che producevano alcolici, armi, tabacco o che avevano a che fare col gioco d'azzardo. Il primo di questi fondi, il Pioneer Fund, fu creato nel 1928 a Boston. Tuttora esistono fondi d'investimento che usano strategie simili, anche se negli ultimi decenni ne sono nate di nuove e più complesse, che tengono conto di nuovi criteri non dettati da valori religiosi ma più attinenti a questioni di attualità come l'impatto ambientale delle società, quello sociale e la loro condotta gestionale (insieme di criteri a cui ci si riferisce con la sigla ESG: Environmental, Social and Governance).

I primi fondi socialmente responsabili che rispondessero a valori di origine non religiosa furono sviluppati negli anni Sessanta del secolo scorso da sindacati, organizzazioni non governative e associazioni di consumatori. Questi fondi selezionavano le società in cui investire anche in base a criteri legati alla loro gestione delle risorse umane, alla qualità dei loro prodotti e al loro impatto ambientale.

Dagli anni Sessanta agli anni Novanta, l'investimento sostenibile prese spesso la forma del boicottaggio di società per farne cessare specifiche attività. Durante la guerra del Vietnam, per esempio, gruppi pacifisti cominciarono a boicottare Dow Chemical, la società che produceva il napalm usato come arma dall'esercito americano, e chiesero alle fondazioni universitarie (che gestiscono grandi patrimoni) di smettere di investire in aziende che rifornivano l'esercito.  

Nel 1985, gli studenti della Columbia University di New York organizzarono una manifestazione per esigere che l'università (i cui fondi ammontavano a circa un miliardo di dollari) eliminasse dal proprio portafoglio di investimenti tutte quelle società che facessero affari con la Repubblica Sudafricana, con l'obiettivo di boicottare il governo sudafricano affinché ponesse fine all'apartheid, la politica di discriminazione razziale perpetrata dalle minoranze bianche del paese ai danni della popolazione indigena. Grazie anche a proteste come queste, il flusso di investimenti verso il Sudafrica si ridusse sensibilmente tra gli anni '70 e i primi anni '90.

L'ultima decade del secolo scorso fu invece caratterizzata dall'emergere di una consapevolezza sempre più profonda e diffusa dell'emergenza climatica, la quale peraltro non ha fatto che peggiorare fino ai giorni nostri ed è ora uno dei temi dominanti nella definizione dei criteri degli investimenti sostenibili, tanto che spesso per indicarli si usa direttamente il termine green investments (investimenti verdi). Le tragedie di Bhopal, Chernobyl e l'incidente della petroliera Exxon Valdez negli anni '80, con la loro risonanza mediatica, hanno sicuramente giocato un ruolo in questo fenomeno di sensibilizzazione.

Nel 1990, la domanda di investimenti socialmente responsabili portò alla creazione del primo indice di borsa costruito in modo da includere solo aziende considerate "sostenibili" secondo una serie di criteri: il Domini 400 Social Index, ora noto come MSCI KLD 400 Social Index.

Da allora, il numero di indici sostenibili e fondi d'investimento che li replicano è aumentato incredibilmente: oggi si contano più di 37 mila indici sostenibili, ognuno coi suoi criteri: alcuni tuttora si limitano a evitare certi tipi di società, altri investono selezionando le imprese in base al loro rating ESG (un punteggio che ne riassume la sostenibilità, rilasciato da agenzie specializzate), altri ancora si focalizzano su uno solo dei tre fattori ESG (per esempio investendo solo in società con alto rating in tema ambientale) mentre altri investono con l'obiettivo di esercitare un impatto su uno specifico problema.

L'alto numero e la grande varietà di indici e fondi attualmente a disposizione rispecchiano non solo il forte aumento della domanda per questo tipo di investimenti negli ultimi anni, ma anche una maggior consapevolezza degli investitori e soprattutto la crescente varietà dei loro insiemi di valori: ciò che è eticamente accettabile per qualcuno può non esserlo per qualcun altro, e l'offerta di possibilità di investimento si sta adeguando a questo nuovo contesto.