Percorso 5 Innovazione - La storia del fintech
Fintech è un'abbreviazione di financial technology, che possiamo tradurre in italiano con tecnologia finanziaria o anche tecnofinanza. Fintech è un po' una buzzword, cioè un termine - spesso di nicchia - che in poco tempo diventa molto diffuso: come è successo per l'intelligenza artificiale, un concetto che esiste almeno dagli anni Cinquanta e che è diventato estremamente diffuso nel corso dello scorso decennio, grazie a processori più potenti e allo sviluppo dei linguaggi di programmazione. Anche il fintech è diventato popolare poco meno di dieci anni fa: Google Trends mostra che le ricerche cominciano a crescere consistentemente a partire più o meno dal 2015.
In realtà, se intendessimo la tecnologia finanziaria nella sua accezione più vasta possibile, allora potremmo persino parlare di fintech nel caso dell'invenzione del telegrafo, nel 1838, e della posa dei cavi sottomarini transatlantici nel 1866 - due importanti invenzioni che hanno permesso di scambiare le informazioni, anche finanziarie, più velocemente e tra tutte le parti del mondo. Certamente queste scoperte hanno contribuito - indirettamente - allo sviluppo dell'industria finanziaria come la conosciamo oggi, ma anche solo per semplicità non conviene parlare di financial technology per qualsiasi innovazione che abbia inavvertitamente avuto un impatto nella finanza.
La prima fase del fintech
Volendo essere più precisi, quindi, potremmo parlare di fintech a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando nel 1967 Barclays installa i primi sportelli automatici (o ATM, un'abbreviazione per automated teller machines). In questi decenni compaiono le prime forme di credito elettronico: quella che oggi conosciamo come VISA viene fondata nel 1958, mentre Mastercard nel 1966. Nel 1971, poi, viene fondata la prima borsa elettronica, che cioè viene gestita da una rete di computer: è il NASDAQ, che sostanzialmente è l'indice delle principali aziende tecnologiche statunitensi e oggi è la seconda borsa valori del mondo per capitalizzazione (quasi ventimila miliardi di dollari nel 2020, cinquemila in meno della Borsa di New York, ma comunque oltre tre volte la terza borsa del mondo, quella di Hong Kong).
In questi anni vengono istituiti i protocolli di trasferimento delle informazioni finanziarie tra paesi, usati per registrare transazioni e pagamenti, e negli anni Ottanta si vedono i primi abbozzi dell'online banking. La progressiva diffusione di internet rende possibile la comparsa dei primi e-commerce, mentre a partire dai primi anni Duemila è possibile investire dalla propria scrivania, senza che i broker debbano recarsi in borsa. Fino a questo punto, insomma, le innovazioni nell'ambito della tecnologia finanziaria sono state soprattutto "dietro le quinte", semplicemente perché c'era bisogno di costruire l'infrastruttura e i protocolli necessari. Internet, in questo senso, è stato un tassello fondamentale per concludere la globalizzazione e l'interconnessione dei mercati bancari e finanziari globali.
Da internet agli smartphone: home e mobile banking
Dall'entusiasmo per l'internet si arriva allo scoppio della cosiddetta bolla delle dot-com, cioè delle primissime aziende digitali, proprio nel passaggio al Nuovo Millennio. PayPal sopravvive e si quota in borsa nel 2002, e anche se la crisi finanziaria raffredda gli umori, il progresso non rallenta: alla fine degli anni Dieci del Duemila, i piani di abbonamento telefonici con connessioni a internet, la diffusione degli smartphone e lo sviluppo delle applicazioni trasformano completamente il settore dei servizi digitali, offrendo enormi possibilità anche per la tecnologia finanziaria. È in quel momento che nasce il fintech come lo intendiamo oggi: tutto l'insieme dei servizi digitali e mobile per gestire le proprie attività finanziarie, con un alto grado di disintermediazione.
È proprio nel 2009 che Bitcoin diventa pubblico. Appena due anni dopo, Google annuncia Wallet: un sistema che permette ai telefoni con un particolare chip (il near-field communication chip, o NFC) di effettuare pagamenti come con una carta. Apple introduce Apple Pay pochi anni dopo, nel 2014. Satispay, l'app italiana per pagamenti digitali, viene fondata nel 2013 e nel mentre praticamente tutte le banche tradizionali si sono dotate di servizi di home banking e internet banking. Nel frattempo, sono nate delle banche interamente online, che sfruttando la digitalizzazione e la disintermediazione offrono conti correnti con costi contenuti e molto competitivi rispetto a quelli delle banche tradizionali, talvolta con alcune limitazioni o un numero inferiore di funzioni. A volte queste banche nascono come costola di una banca tradizionale più grande (come Hype per Banca Sella o Hello Bank per BNP Paribas), o più spesso sono effettivamente indipendenti: in questi casi si parla di mobile banking.
I primi due servizi di mobile banking in Europa sono N26 e Revolut: la prima, tedesca, è stata fondata nel 2013 e ha ottenuto una licenza bancaria solo del 2016 (e prima operava sostanzialmente come interfaccia, appoggiandosi ai servizi di Wirecard), mentre la seconda, britannica, è nata nel 2015 e ha fatto richiesta per la licenza nel 2021. Nel 2020, N26 valeva quasi 2,9 miliardi di euro, mentre Revolut quasi due miliardi di euro in più - tutto questo offrendo anche un servizio di compravendita di azioni, criptovalute e altre valute. Wise (prima nota come Transferwise) è un'altra azienda fintech britannica specializzata nei trasferimenti di denaro tra vari paesi e valute diverse con commissioni molto basse, che nel 2020 valeva oltre quattro miliardi di euro.
Un'app per qualsiasi attività finanziaria
La popolarità di questi servizi è dovuta alla loro versatilità: visti i costi molto bassi, è possibile trasferire denaro senza commissioni, ad esempio per dividersi il conto a tavola. Negli USA, Apple permette a chi usa il servizio di messaggistica iMessage di scambiarsi denaro, ma i servizi fintech possono fare molto, molto di più: eToro, Robinhood e Bux X sono solo alcuni nomi di app per acquistare direttamente titoli, con tutta la semplicità e la convenienza che un'applicazione per smartphone può offrire. La stessa Apple ha creato Apple Card, una carta di credito in collaborazione con JP Morgan.
Da qualche anno troviamo addirittura aziende e fondi di investimento che offrono piani di investimento curati direttamente da robo-advisors, fondamentalmente degli algoritmi che sfruttano le tecniche di apprendimento automatico (machine learning) per investire senza un broker come tramite. Sono nate aziende per fornire l'infrastruttura per costruire attività di ecommerce, come Shopify, e in parallelo altre che offrono la possibilità di rateizzare i pagamenti online, come l'australiana Afterpay e la svedese Klarna. Questi servizi sono disponibili al checkout quando si compra da piattaforme come Amazon, ma in Italia anche con Leroy Merlin, Decathlon ed Euronics.
La storia che si racconta, insomma, è sempre quella di Davide contro Golia: le piccole startup sfidano i colossi finanziari, e anche se magari non «uccidono il gigante», riescono a ritagliarsi una nicchia consolidata e trasformare definitivamente l'industria finanziaria. È il caso delle piattaforme di investment crowdfunding, per finanziare iniziative anche a scopo sociale senza dover richiedere finanziamenti alle istituzioni di credito, e anche del cosiddetto peer-to-peer lending, cioè dei prestiti tra privati: attività finanziarie che si possono eseguire tramite un sito web come Peerform, Upstart o Payoff - il tutto cioè una banca che fa da intermediario.
Addirittura, grazie allo sviluppo della blockchain, Ethereum e Ripple hanno reso popolari i cosiddetti smart-contract: semplificando molto, sono programmi che vengono eseguiti solo a certe condizioni, ad esempio il pagamento di una somma. Altre aziende stanno specializzandosi nel settore B2B, cioè con altre imprese: è il caso di SumUp, che offre un POS a tariffe inferiori rispetto a quelli che normalmente i commercianti noleggiano tramite la propria banca.
Il fintech e i paesi in via di sviluppo
Se queste tecnologie ci fanno pensare per certi versi al lusso e al benessere Occidentale, non bisogna dimenticare che stanno anche giocando un ruolo molto importante nei paesi in via di sviluppo. In questi paesi non è mai effettivamente arrivato il conto in banca o la carta di credito: molte delle attività economiche sono informali (cioè in nero) e su scale molto piccole, in contesti in cui è difficile ottenere persino dei piccoli prestiti per avviare un'impresa. In un quadro di povertà, dove le istituzioni sono fragili e la proprietà privata è tutelata solo sulla carta, si è passati direttamente al mobile money: in vari paesi dell'Africa viene usato il popolarissimo servizio M-Pesa, in poche parole un'app per inviare denaro e ottenere micro-finanziamenti che sfrutta la sim del proprio cellulare.
Per certi versi, si tratta dello stesso fenomeno che ha portato in Cina all'ascesa di WeChat, la piattaforma di messaggistica che viene usata fondamentalmente per qualsiasi cosa. In Cina servizi come Mastercard e Visa non hanno mai davvero preso piede, e questo ha permesso ad aziende come Tencent (sviluppatrice di WeChat) e Alibaba (il più grande e-commerce del mondo, amministrato dal miliardario Jack Ma) di sviluppare dei sistemi di pagamento mobile che sfruttavano già dal 2017 tecnologie come il riconoscimento facciale per autorizzare i pagamenti.