Da Biella al mondo intero, radici che diventano futuro: la rivoluzione silenziosa della nuova manifattura

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Alleanze trasversali tra organizzazioni e startup innovative, transizione digitale preservando tradizione e identità, filiera interconessa e strategie evolute. Tutto questo e molto altro è Texploration, progetto di open innovation a livello nazionale e internazionale promosso e lanciato da MagnoLab, rete di aziende per l’innovazione della filiera tessile e realizzato da dpixel, la divisione di Fintech District che supporta la crescita delle startup e l’innovazione delle imprese favorendo le opportunità di business attraverso progetti di open innovation, e Sellalab in qualità di ecosystem partner.

In questo nuovo longform multimediale dedicato all’evoluzione del distretto tessile biellese e, in fondo, alle nuove reti di impresa si va dall’evoluzione delle monoculture industriali alla rinascita attraverso innovazione e collaborazione. Un viaggio anche geografico: da Eindhoven a Biella, la storia di territori che si reinventano intrecciando tradizione e futuro. Attraverso un unico filo rosso che lega competenze, persone e visione. Buona lettura! 

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Eindhoven era Philips, Philips era Eindhoven. Il legame indissolubile tra una delle più importanti fabbriche di elettrodomestici e la città olandese nacque agli albori del ’900, precisamente nel 1891, quando l’allora fabbrica di lampadine crebbe al punto da trasformare Eindhoven da piccolo villaggio agricolo nel sud dei Paesi Bassi a potenza industriale nazionale. Nel 1910 Philips era già la prima azienda olandese per dimensioni, importanza e organico, con oltre 2.000 lavoratori. Tutta l’urbanistica cittadina gravitava intorno agli stabilimenti: poiché il Comune, di indirizzo cattolico, non era disposto o in grado di aiutare la famiglia Philips (protestante-liberale), l'azienda costruì abitazioni, scuole, negozi, impianti sportivi e ricreativi (con teatro e cinema), sistemò spazi verdi, fornì servizi medici e fondò club sportivi. In questo intreccio tra industria e spazio urbano si può trovare un parallelismo con l’opera Ago, filo e nodo, l’opera monumentale di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen realizzata nel 1999 per il rinnovo della stazione ferroviaria Cadorna a Milano. Il gigantesco ago che trapassa la terra e si ricongiunge con il nodo colorato diventa simbolo della tradizione manifatturiera milanese e al tempo stesso della sua proiezione internazionale. Così come a Eindhoven la presenza di Philips cucì insieme fabbrica e comunità, definendo la fisionomia della città, a Milano l’ago e il filo intrecciano passato e futuro, ricordando come i territori sappiano riscrivere la propria identità attraverso segni condivisi che uniscono lavoro, cultura e innovazione globale.

Nel dopoguerra i lavoratori Philips erano oltre 400.000 e la città divenne centro mondiale dell’innovazione: negli stabilimenti di Eindhoven venne inventata la musicassetta (1963), il radioregistratore portatile (1966), la videocassetta (1972) e il compact disc (1982, con Sony).

 

Ma come in tutte le favole a un'armonia iniziale seguì una rottura dell’equilibrio narrativo: l’inizio della globalizzazione negli anni ‘70 e ‘80 e la concorrenza tecnologica dell’Asia fiaccarono la produzione elettronica olandese e la Philips iniziò a razionalizzare la produzione e delocalizzare gli stabilimenti. Nel 1990 la compagnia chiuse il bilancio con una perdita superiore ai 2 miliardi di dollari e ad ottobre dello stesso anno il nuovo CEO Jan Timmer fece scattare l’Operation Centurion: 50 mila licenziamenti. Nel 2001 il definitivo colpo con il trasferimento del quartier generale ad Amsterdam. La città subì un crollo occupazionale e identitario. Eindhoven, da locomotiva industriale, divenne una città-fantasma con enormi spazi industriali dismessi.

C’era solo un modo per risollevarsi: mantenere l’identità innovatrice e operosa della città ma indirizzare il percorso su altri binari. Nacque così un modello collaborativo università-governo e settore privato: quello che il sociologo Henry Etzkowitz nominerà “tripla elica” alle soglie del nuovo millennio. Nel 2005 nacque il marchio Brainport Eindhoven: un consorzio di università, imprese, enti pubblici e startup. Questo modello di collaborazione interdisciplinare permise di attrarre talenti, risorse finanziarie e tecnologie avanzate, generando un ciclo virtuoso che ha portato alla creazione di numerosi spin-off e startup ad alta intensità tecnologica. Grazie a questa efficace sinergia, Eindhoven è oggi responsabile di ben il 40% dei brevetti olandesi, consolidando il suo ruolo come polo d’innovazione tra i più prolifici e influenti d’Europa. 

A distanza di 700 chilometri in linea d’aria c’è un altro centro, molto più piccolo che ha saputo cambiare pelle mantenendo fede alla tradizione industriale del proprio distretto. Se Eindhoven ha fatto da apripista a un modello virtuoso allora si può dire che Biella ha seguito questo sentiero incarnando un paradigma per tutto il territorio nazionale: negli scorsi due secoli Biella è stata la Manchester d’Italia, basata quasi esclusivamente sul distretto laniero, proprio come Eindhoven era cresciuta intorno a Philips. Biella ha una storia industriale che parte nel Medioevo e si sviluppa nell’Ottocento e Novecento. Durante il boom economico del secondo dopoguerra, Biella esportò in tutto il mondo tessuti di alta gamma destinati al lusso, consolidando una filiera verticale completa: dalla tosatura alla tessitura, fino alla confezione. Negli anni ‘80 e ‘90, la concorrenza asiatica, la delocalizzazione e l’emergere del fast fashion colpirono duramente il distretto biellese. Molti lanifici storici chiusero, i giovani migrarono verso Torino e Milano, e Biella entrò in una crisi identitaria ed economica che è riuscita a ribaltare negli ultimi vent’anni.

Biella ha infatti avviato un processo di rigenerazione industriale, puntando su sostenibilità, digitalizzazione e manifattura avanzata. Ex fabbriche come il Lanificio Maurizio Sella sono diventate incubatori di innovazione (Sellalab, Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto), e sono nate nuove iniziative come MagnoLab, un innovativo polo di ricerca e manifattura avanzata.

MagnoLab nasce dall’idea di sei imprenditori biellesi che, dopo viaggi in Silicon Valley, Svezia e Israele, hanno capito che in Italia mancava un centro capace di trasformare la ricerca tessile in applicazioni industriali. «Non volevamo creare un semplice laboratorio di ricerca, ma un luogo dove la tecnologia potesse fare il salto dalla fase sperimentale alla prototipia industriale», racconta Marco Vesipa project manager di Magnolab.

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Una caratteristica distintiva del centro è stata quella di non voler installare prevalentemente macchinari da laboratorio, ma di puntare su piccole macchine per la prototipia industriale. «Ci siamo resi conto che ciò che mancava era un supporto per fare lo scale-up della tecnologia: passare dal livello laboratoriale a quello industriale - spiega Vesipa - MagnoLab nasce proprio per accompagnare idee e innovazioni già mature, accelerandone lo sviluppo e portandole più rapidamente verso applicazioni concrete nel tessile e nell’arte».
La scelta di Biella non è stata casuale: il distretto laniero offre competenze storiche, spazi industriali e una rete di aziende che rendono possibile lo sviluppo di un ecosistema di innovazione. «Il focus principale è la sostenibilità – spiega Vesipa – e anche per questo abbiamo recuperato un fabbricato industriale esistente invece di costruire da zero».

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Filatura Produzione continua e ad alta velocità di filati omogenei

Dall'arcolaio medioevale, usato in botteghe e case, alle prime filature meccaniche della rivoluzione industriale: l'elettricità e poi l'open-end hanno reso i filiati più sottili e resistenti, adatti a produzioni di massa

Tessitura Maggiore velocità, possibilità di pattern complessi e controllo digitale.

Dal telaio manuale e dal Jacquard dell’Ottocento, che introdusse le schede perforate antesignane del computer, ai telai elettronici a getto d’aria: oggi la velocità e l’automazione riducono i costi e permettono intrecci mai sperimentati prima

Tintura Riduzione consumi d’acqua, uniformità del colore e automazione del processo

Dai bagni di colore con piante, minerali e mordenti naturali, tipici delle manifatture artigianali, alla tintura sintetica dell’Ottocento fino ai sistemi digitali: l’evoluzione ha ridotto scarti e permesso cromie stabili e durevoli.

Confezione Rapidità, precisione e possibilità di cuciture programmate

Dall’ago e filo a mano, che richiedeva giornate per un singolo capo, alle prime macchine Singer a pedale e poi ai modelli elettrici e computerizzati: si passa dalla sartoria lenta alla produzione industriale di migliaia di pezzi al giorno

Innovazione Produzione diretta di capi senza taglio e cucito, integrazione di fibre conduttive e funzionali

Dalle fibre naturali filate da secoli (lana, lino, cotone) alla nascita delle fibre sintetiche come nylon e poliestere nel ’900, fino a oggi con stampa 3D, tessuti interattivi e smart che uniscono moda, tecnologia e biomedicina

Nuovi ecosistemi, vecchie radici: quando l’innovazione torna a casa

Lo sviluppo tecnologico di cui si è resa protagonista la città di Eindhoven è la vittoria di un modello che negli ultimi 20 anni si sta sviluppando poco alla volta ma che è destinato a crescere nel futuro: quello degli incubatori tecnologici, dei luoghi e programmi in cui le aziende riescono a svilupparsi in maniera virtuosa attraverso progetti di supporto e di finanziamento che favoriscono la crescita. Secondo The Brainy Insights, un importante centro di ricerca sui mercati, il mercato degli incubatori tecnologici ha generato nel 2023 un fatturato di 236,49 milioni di dollari, con una previsione di crescita fino a 517,22 milioni entro il 2033. A livello globale, esistono oltre 7.000 incubatori attivi, e la loro espansione è favorita anche dalla digitalizzazione dei servizi, che consente di erogare supporto in modalità virtuale e raggiungere territori fino a poco tempo fa esclusi dai grandi circuiti dell’innovazione

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236,49 Mil $
Valore del mercato globale degli incubatori nel 2023

L’ecosistema globale resta ancora relativamente di nicchia, ma in accelerazione grazie alla domanda di innovazione early-stage.

+8,1% CAGR (2024-2033)
Tasso di crescita annuale composto previsto

La spinta arriva soprattutto dai settori deep tech, life science e green economy, dove gli incubatori stanno ampliando il loro ruolo strategico.

517,22 Mil $
Valore atteso del mercato globale degli incubatori nel 2033

La crescita attesa riflette l’espansione geografica e l’ingresso di nuovi player pubblici e privati nel supporto all’innovazione.

Infatti, secondo il Global Startup Ecosystem Report 2024 che analizza lo stato di salute del sistema startup, stanno nascendo nuovi ecosistemi di imprese emergenti fuori dai territori classici: sebbene territori storicamente dominanti come la Silicon Valley, New York e Londra mantengano le posizioni di vertice, il GSER 2024 suggerisce un ampliamento delle opportunità e una minore concentrazione delle risorse esclusivamente in questi centri. Un esempio virtuoso arriva dall’Europa: il vecchio continente è la regione più rappresentata nella classifica dei Top 100 Ecosistemi Emergenti, con una quota del 42%, seguita dal Nord America con il 27%.Tra questi è da segnalare la città di Torino che solo nell’ultimo anno ha avuto un incremento del 122% entrando nella speciale classifica delle Top 100 ecosistemi emergenti.

L’ascesa dei Top 100 Emerging Ecosystems

Gli ecosistemi emergenti stanno guadagnando sempre più spazio nel panorama globale dell’innovazione.

Il valore aggregato dei Top 100 Emerging Ecosystems ha superato 1.600 miliardi di dollari, in lieve aumento rispetto al 2022. L’Europa guida il gruppo per rappresentanza, con il 42% degli ecosistemi inclusi, seguita dal Nord America con il 27%. Città come Madrid, Milano, Greater Lausanne, Jakarta e Rhein-Ruhr registrano scalate significative nei ranking grazie a unicorni e grandi exit.

Tecnologia e sostenibilità sono i settori trainanti: l'Intelligenza Artificiale (AI), in particolare quella generativa, emerge come forza principale, attirando investimenti senza precedenti e un numero crescente di accordi, mentre il settore Biotech continua a essere un catalizzatore di capitali nelle fasi iniziali. Accanto a questi, il Fintech mantiene la sua posizione di rilievo, generando un numero elevato di aziende "unicorno", e il Climate Tech si afferma con prepotenza, riflettendo un crescente impegno verso soluzioni sostenibili e innovative attente ai territori. 

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18%

Quota del funding globale VC andata a GenAI nel 2023

+3x

Crescita del funding GenAI 2023 vs 2022

57%

Quota USA di nuovi unicorn nel 2023

11%

Quota Cina di nuovi unicorn nel 2023 (in crescita dal 6% nel 2022)

2,5x

Crescita del funding late-stage Cleantech (H2 2023 vs H1 2020)

50%

Aumento Serie A Cleantech Europe 2023 vs 2021

25

Nuovi unicorn creati globalmente nel Q1 2024 (il trimestre migliore da fine 2022)

$ 1.600 Mld

Valore aggregato dei Top 100 Emerging Ecosystems

42%

Quota europea nei Top 100 Emerging Ecosystems

$ 500 k

Credito d’imposta USA su R&D introdotto dall’Inflation Reduction Act per startup Cleantech

Nel nuovo contesto che abbiamo descritto si devono far posto nuove tipologie di aziende non legate per forza alla centralità delle metropoli. Imprese che il professor Giulio Buciuni, professore di Imprenditorialità presso il Trinity College di Dublino, nel suo ultimo libro Innovatori Outsider chiama imprese plug-in: realtà non centrali che fanno dell’innovazione ultra specializzata la loro forza. La seconda caratteristica rilevante - come ci racconta - «oltre alla geografia “periferica” è il fatto che l'impresa plug-in, essendo una startup tecnologica, lavora di concerto e a supporto con le filiere tradizionali». Le stimola e inietta in loro una nuova linfa vitale: «sono una sorta di reparto R&D dislocato delle grandi aziende». Buciuni fa l’esempio di Megaride una start-up napoletana che nasce da un progetto della Federico II: questa piccola azienda «sviluppa un algoritmo per testare l'andamento dei pneumatici racing in gara e di fatto poi vende il proprio software a Ducati e Ferrari». Ferrari avrebbe le risorse per sviluppare un software di questo tipo ma sarebbe complicato costruire dei team verticali su ogni aspetto di innovazione dell’automotive. Quindi Megaride può essere vista come «un soggetto esterno, un'estensione R&D di una grande impresa tradizionale» continua Buciuni. 

«I distretti tradizionali - come può essere quello tessile di Biella - sono importanti in questa rete geografica di imprese plugin ma non sono così vitali - aggiunge - sono fondamentali al contrario due caratteristiche: le risorse finanziarie e le risorse umane di qualità», oggi questi due aspetti hanno una concentrazione maggiore nei grandi centri ma l’innovazione deriva anche dagli investimenti delle grandi imprese e delle università. 
Oggi MagnoLab rappresenta un punto di riferimento per le aziende tessili locali, ma con uno sguardo aperto. Nei primi mesi di attività il centro ha attirato startup non solo italiane ma anche europee, dagli Stati Uniti alla Norvegia come ci racconta Marco Vesipa. L’iniziativa non punta solo all’innovazione tecnologica, ma anche a generare un indotto sul territorio, favorendo corsi di formazione, collaborazioni con strutture ricettive locali e la creazione di opportunità per nuove imprese. «Il nostro sogno è che ogni anno almeno una nuova azienda decida di insediarsi a Biella grazie al lavoro di MagnoLab» conclude.

L’ambizione di MagnoLab è essere un ponte tra la tradizione manifatturiera biellese e l’innovazione globale. Dal territorio il centro attinge competenze, know‑how artigianale e passione per il tessile. Al mondo vuole offrire soluzioni sostenibili e innovative, capaci di ridurre l’impatto ambientale della filiera. Questa filosofia si realizza anche con iniziative come Texploration, un progetto di open innovation internazionale promosso da MagnoLab, realizzato da dpixel e con Sellalab come Ecosystem Partner. Texploration ha coinvolto circa 70 startup, di cui un terzo estere. «Il nostro obiettivo è aprirci al mondo e fare rete» continua Vesipa. 

Il modello MagnoLab evidenzia chiaramente come la creazione di questi ecosistemi integrati di innovazione possa produrre impatti positivi su territori e comunità locali, proprio come ha spiegato Buciuni. In questa iniziativa, Gruppo Sella, tramite la piattaforma Sellalab e dpixel, gioca un ruolo fondamentale nel creare collegamenti tra imprese consolidate e startup innovative, stimolando un approccio collaborativo e dinamico. Proprio per questo motivo Texploration mira a individuare soluzioni utili ed efficaci che possano migliorare, ad esempio, la gestione energetica, la digitalizzazione dei processi produttivi, la riduzione dei consumi, l’uso di materiali riciclabili e biodegradabili, fino all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale per ottimizzare la supply chain. Il programma ha previsto la possibilità di confrontarsi con i principali anelli dell’intera filiera tessile con diverse fasi consequenziali, scouting, selezione, co-creazione e presentazione finale.

Aracne Textile Solutions

2023
AI, ispezione tessuti Spagna

Spin-off nato da Eurecat e Canmartex, Aracne sviluppa sistemi predittivi basati su intelligenza artificiale per macchine a maglia circolare. Le sue tecnologie monitorano ago, sinkers, plaiting e qualità del tessuto in tempo reale, riducendo scarti e tempi di fermo. Avviato nel 2019, il progetto ha partecipato a bandi come DIH4CAT e ACCIÓ, con diversi brevetti depositati su rilevamento usura e controllo sinkers.

BioFashion­Tech

2023
Biotech, riciclo enzimatico Italia

BioFashionTech sviluppa processi biotech per il riciclo enzimatico di rifiuti tessili multimateriale, senza necessità di separazione preventiva e con basso consumo energetico. Produce intermedi e materie prime sostenibili – dai coloranti ai biocarburanti, fino a materiali alternativi come il “vegan leather”. L’obiettivo è ridurre lo spreco di fibre sintetiche e tessili destinate a discariche o inceneritori, promuovendo una filiera circolare e biologicamente sostenibile, già attiva in diversi Paesi.

CDC Studio (Miktos)

2020
Riciclo tessile, circular economy Italia

CDC Studio ha sviluppato tecnologie brevettate per la valorizzazione degli scarti tessili. CÕÉO è un coating ottenuto da rimanenze di magazzino che restituisce tessuti e pellami waterproof, antivento e durevoli; MIKTOS trasforma scarti misti in un materiale plastico riciclabile per pelletteria, calzature e interior design. Nel 2023 ha raccolto 380 mila euro in R&D e nel 2024 ha ricevuto il premio “Best Startup for Impact” dalla Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore. Riduce emissioni di CO₂, consumo d’acqua e spreco di materiali.

E-Plato

2021
Data management, supply chain Italia

E-Plato ha sviluppato Socrate, una piattaforma di conoscenza aziendale con ricerca semantica capace di comprendere il linguaggio dell’impresa e connettersi ai dati nei loro archivi originari, senza richiedere migrazioni. Offre anche Aristotele, un sistema che classifica automaticamente testi in base a categorie definite dall’utente. Selezionata nel programma Texploration, collabora con Divé, Pinter Group e Stamperia Alicese.

Komete

2021
Tracciabilità logistica Italia

Komete sviluppa una piattaforma IoT/AI per il monitoraggio in tempo reale di produzione e logistica interna. Utilizza tag RTLS wireless per tracciare ordini, pallet e strumenti, generando mappe dinamiche e dashboard intelligenti che individuano colli di bottiglia e inefficienze. Il sistema è plug-and-play, non richiede integrazioni con PLC e può migliorare la produttività fino al 20-30%. Il team fondatore vanta oltre sessant’anni di esperienza combinata nel manifatturiero.

Mangrovia

2021
Blockchain, data orchestration, supply chain Italia

Mangrovia Group utilizza tecnologie come blockchain, intelligenza artificiale e knowledge graphs per creare soluzioni digitali integrate. Nell’ambito di Texploration propone una piattaforma che orchestra i flussi di dati lungo la filiera tessile: Datome gestisce e struttura dati eterogenei rendendoli affidabili, mentre MagentIA automatizza l’estrazione di informazioni da fonti multiple. Collabora con Canalair per un progetto concreto di tracciabilità nel tessile.

Peter

2021
Riciclo chimico, poliestere Italia

Peter è una startup attiva nel riciclo chimico avanzato del poliestere. La sua tecnologia scompone i rifiuti in PET fino ai monomeri originari, rigenerandoli in materia prima “vergine” per ottenere poliestere 100% riciclato di qualità elevata. L’obiettivo è ridurre la dipendenza da fonti fossili e l’impatto ambientale di un settore ancora dominato dalla plastica. In collaborazione con Filidea, applica la propria innovazione a tessuti tecnici e moda, dimostrando la scalabilità industriale del modello circolare.

Sylfib

2024
Materiali sostenibili, fibre bio Italia

Sylfib è una giovane impresa italiana che produce fibre naturali bio-macerate da ortica tramite processi privi di sostanze chimiche nocive. La tecnologia consente di ottenere materiali resistenti, performanti e completamente tracciabili lungo l’intera filiera. Oltre alla moda, l’azienda esplora applicazioni in carta, rivestimenti e materiali ultraleggeri per l’edilizia sostenibile, unendo innovazione e tradizione agricola. Tra i principali partner figura Marchi & Fildi.

L’attività di Texploration e di MagnoLab hanno messo in mostra il ruolo preminente che le aziende dovrebbero avere in un territorio, quello di recuperare, rivitalizzare e conferire ai luoghi una trasformazione positiva. L'obiettivo dovrebbe essere quello di creare una sinergia dinamica in cui le imprese collaborano attivamente con le comunità locali per promuovere lo sviluppo sostenibile, l'inclusione sociale e la crescita economica. 

Innovation District: le città che diventano laboratori di futuro

Quando si parla di industrie e territorio si dovrebbe far evolvere i significati intrinsechi per abbracciare in toto il concetto di Innovation District coniato da Katz & Wagner, rispettivamente un avvocato e un’urbanista, che nel 2014 hanno sintetizzato in due parole il concetto più ampio di aree urbane geograficamente concentrate dove università, centri di ricerca, startup, aziende consolidate e istituzioni pubbliche convergono per formare un ecosistema dinamico e collaborativo. Non sono semplici parchi tecnologici isolati, ma piuttosto sezioni vitali di città, spesso ben connesse e dotate di una ricca offerta di servizi e spazi pubblici. L'essenza di un Innovation District di solito è un’ancora istituzionale come un'università di prestigio o un ospedale di ricerca attorno alla quale si aggregano altre realtà. In questi distretti, la vicinanza fisica favorisce lo scambio di idee, la nascita di partnership inattese e lo sviluppo di nuove soluzioni a problemi complessi. Giulio Buciuni spiega che per strutturare dei centri di innovazione così importanti non ci si può affidare solo alle risorse del contesto in cui nascono ma è necessaria un’attenzione particolare da parte della politica: «Faccio sempre l’esempio di Galway un piccolo centro di 80.000 abitanti che si è trasformato in un polo d’innovazione». Quando le multinazionali americane del biomedicale si sono insediate, il governo ha favorito l’arrivo grazie a politiche pubbliche mirate con incentivi e defiscalizzazione. Nel frattempo l’università locale ha risposto adattando i suoi corsi per formare nuovi ingegneri del posto. Questo ha creato un ecosistema dove ricerca, impresa e formazione lavorano insieme. «È questo il tipo di visione che serve anche in Italia per valorizzare i territori periferici» e permettere ai distretti dell’innovazione di non nascere solo nei grandi centri ma anche nelle periferie. 
 

Mappa globale dei principali distretti dell'innovazione

secondo il Global Startup Ecosystem Report 2024 che analizza lo stato di salute del sistema startup, stanno nascendo nuovi ecosistemi di imprese emergenti fuori dai territori classici

Secondo il Global Institute of Innovation District, che mette in comunicazione gli innovation district nel mondo, se ne contano circa 45 direttamente collegati alla rete ma l’istituto ne ha censiti circa 150. In Italia c’è il Mind: uno spazio urbano rigenerato dall’Expo 2015, collegato tramite la metro e treno alla città. Un unico luogo che mette in relazione realtà industriali diverse che hanno l’unico obiettivo di guardare all’innovazione condividendo competenze, in due parole Open Innovation. 


Oltre i confini dell’impresa: l’open innovation come linguaggio universale

L'Open innovation sta diventando sempre più cruciale nelle strategie aziendali globali: fu Henry Chesbrough, professore alla Haas School of Business dell'Università della California, Berkeley, a coniare il termine nel suo libro sull'argomento, pubblicato nel 2003. In un mondo di conoscenza distribuita, sosteneva la teoria, era più efficiente per le aziende collaborare con partner esterni, siano essi start-up, istituzioni accademiche o associazioni di consumatori, per accelerare l'innovazione. Come abbiamo detto in precedenza la grande diffusione di startup tecnologiche stanno orientando anche i temi di open innovation. 

In questo contesto, anche MagnoLab si sta muovendo per rafforzare il proprio network di collaborazione. «Siamo a Biella da neanche due anni – racconta Marco Vesipa – e fino a metà 2023 eravamo concentrati sui lavori di ristrutturazione. La creazione di un network era ancora in fase embrionale: da settembre 2023 abbiamo iniziato a sviluppare progetti, aprendo contatti con il Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano, altre università e con il CNR. Collaboriamo anche con Pointex, un centro di innovazione attivo sul territorio. Non è un processo semplice e immediato, ma i primi risultati ci stanno già dando soddisfazione».

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Cambio di approccio
Venture Client e Venture Builder: l’adozione diretta dell’innovazione
Venture Client e Venture Builder: l’adozione diretta dell’innovazione

Sempre più aziende si stanno orientando verso il modello Venture Client. Questo approccio consente di integrare soluzioni innovative direttamente dalle startup, evitando i lunghi processi di onboarding tipici dei modelli tradizionali. L’obiettivo è accelerare il time-to-market e ottenere rapidamente risultati concreti, riducendo la burocrazia e portando le innovazioni operative fin da subito.

Budget
Ottimizzare ogni investimento in innovazione
Ottimizzare ogni investimento in innovazione

Con budget più limitati in molte realtà, diventa essenziale focalizzare gli investimenti su obiettivi chiari e misurabili. Ogni euro speso in innovazione deve generare valore tangibile, allineato con le priorità strategiche aziendali. L’innovazione non è solo produzione di idee, ma generazione di impatto concreto e misurabile sul business.

Poli distribuiti
Un’innovazione sempre più globale
Un’innovazione sempre più globale

L’innovazione non nasce più solo nelle tradizionali capitali come Silicon Valley o Israele. Crescono i poli innovativi in Asia, Europa e lungo la East Coast americana. Questo ampliamento geografico porta nuove prospettive, diversifica le fonti di innovazione e arricchisce gli ecosistemi locali grazie al confronto internazionale.

L'AI
Il ruolo abilitante della Generative AI
Il ruolo abilitante della Generative AI

La Generative AI sta trasformando non solo ciò che si produce, ma anche il modo in cui si produce. L’integrazione consapevole di queste tecnologie consente ai team di concentrarsi sulle decisioni strategiche, delegando alla tecnologia le attività più operative. L’obiettivo è un’integrazione equilibrata che potenzi il lavoro umano senza sostituirlo.

L'impatto positivo
Innovazione con uno scopo: sostenibilità e diversity
Innovazione con uno scopo: sostenibilità e diversity

Oggi il 73% delle aziende include la sostenibilità nelle proprie agende di innovazione. La creazione di valore passa sempre più attraverso progetti che mettono al centro l’ambiente, le persone e la diversità dei punti di vista. Non è più una tendenza accessoria, ma il fondamento su cui costruire l’innovazione futura.

KPI
Ripensare i parametri di successo
Ripensare i parametri di successo

I KPI dell’innovazione si stanno evolvendo: oltre al ritorno economico immediato, contano sempre più l’impatto culturale, l’allineamento strategico, il coinvolgimento delle persone e la capacità organizzativa di adattarsi. L’innovazione di domani sarà valutata sulla capacità di generare trasformazioni durature, non solo su risultati a breve termine.

Esempi virtuosi di open innovation non emergono solo negli Stati Uniti, dove Silicon Valley e Boston rappresentano benchmark storici nel biotech con oltre 8 miliardi di dollari annui in investimenti, ma anche dall'Asia. In Corea del Sud, aziende come Samsung e Hyundai stanno guidando un modello collaborativo con startup innovative nei settori biotech, intelligenza artificiale e green tech, sostenute da programmi governativi mirati come il "Deep Tech Value-up".

In Italia l’adozione dell’open innovation mostra segnali di consolidamento, ma con forti differenziali dimensionali. Se tra le grandi imprese l’approccio è ormai pervasivo – l’88% ha già integrato modelli collaborativi, con un progressivo passaggio da soluzioni isolate a strategie integrate di inbound e outbound innovation – tra le PMI il quadro è ancora frammentato: solo il 31% adotta pratiche strutturate, e la maggior parte si limita a forme di innovazione inbound, più accessibili e meno onerose in termini di governance. Il rapporto tra imprese e startup, in particolare, si sta intensificando: oggi il 62% delle grandi aziende collabora stabilmente con realtà emergenti, raddoppiando il dato del 2018, mentre tra le PMI il dato resta molto più contenuto. La leva principale resta la collaborazione con università e centri di ricerca, scelta dal 72% delle grandi aziende, seguita dallo startup scouting (59%) e da pratiche quali call4ideas, hackathon e programmi di incubazione. 

L’evoluzione delle collaborazioni startup-imprese

Negli ultimi 7 anni le collaborazioni tra grandi imprese italiane e startup sono cresciute in modo costante, passando dal 33% del 2018 al 62% del 2024.

Parallelamente, è diminuita la quota di aziende che pianificano collaborazioni future (dal 27% al 14%), segnale che molte imprese sono ormai passate dalla fase esplorativa a quella operativa. Oggi, il 48% delle grandi imprese collabora stabilmente da oltre 3 anni con startup, mentre solo il 7% ha interrotto tali collaborazioni. Permane però un 17% di aziende ancora inattive o indecise, che rappresentano un potenziale di sviluppo per l’ecosistema innovativo

A livello organizzativo, solo una minoranza di aziende dispone oggi di ruoli dedicati esclusivamente all’open innovation (20%), mentre gran parte delle attività è ancora gestita all’interno di funzioni più ampie di innovazione o ICT. Anche sul fronte dei budget, sebbene il 59% delle aziende abbia oggi risorse specificamente allocate, gli importi restano spesso contenuti, con la maggioranza sotto il mezzo milione di euro. Accanto a questi modelli consolidati, sta emergendo con forza l’interesse verso il Corporate Venture Building: il 12% delle imprese ha già attivato iniziative in questa direzione, mentre una quota crescente sta valutando di integrare strutture dedicate alla creazione di nuove imprese interne. Un’evoluzione che fotografa un ecosistema ancora eterogeneo, ma sempre più dinamico e orientato a superare i confini tradizionali tra impresa e innovazione esterna.


G-local: la visione che unisce territori e mondo

Guardando al futuro, progetti come MagnoLab intrisi di competenze locali ma proiettati su un sapere globale saranno determinanti per affrontare le sfide globali più urgenti: progresso delle intelligenze artificiali, blockchain e rinnovamento dei processi industriali. La visione “G‑local”, che unisce la forza delle reti territoriali con l’attrazione di competenze internazionali, incarna un modello sempre più supportato dai dati. Secondo l’OCSE, le politiche industriali dei paesi membri pesano in media sull’1,4 % del PIL e sono sempre più orientate a infrastrutture green, digitali e basate sull’open innovation . Un recente studio OCSE, Open Innovation in a Global Perspective, dimostra inoltre che le reti internazionali di innovazione—supportate da dati su R&S, brevetti e licensing—sono in deciso aumento, a testimonianza di un passaggio da approcci chiusi a dinamiche collaborative e interconnesse. In questo contesto, ecosistemi come MagnoLab, profondamente radicati nel territorio ma aperti a una dimensione globale, godono di un terreno fertile per diventare nodi strategici nell’ecosistema industriale sostenibile del futuro.

«Il futuro di MagnoLab – racconta Vesipa – è quello di diventare un nodo di questa rete: vogliamo attrarre competenze internazionali trasformando le nostre radici locali in un trampolino per l’innovazione globale. L’obiettivo è far sì che ogni progetto che nasce qui possa avere un impatto concreto e misurabile, sia sul territorio sia sul mercato internazionale» conclude.