La storia d´Italia per capire l'Europa
Lo storico Massimo L. Salvadori ripercorre il "cammino tormentato di una nazione" dal 1861 fino ai giorni nostri

La storia d'Italia come chiave di lettura per comprendere quella europea. Nella lunga vita del vecchio continente, infatti, la nascita dell'Unione europea ha rappresentato una «svolta epocale», che ha unito sotto un'unica bandiera, una sola moneta e istituzioni comuni tante realtà molto diverse fra loro, segnate da profonde differenze nelle identità culturali, politiche, sociali e religiose e animate da forti interessi particolaristici, motivo anche di conflitti secolari. Ne deriva dunque l'utilità e l'importanza di riflettere a fondo sul rapporto che lega le vicende e la storia dei singoli stati dell'Unione e le caratteristiche di quest'ultima, con le sue potenzialità e le sue fragilità. A partire da questa premessa lo storico Massimo L. Salvadori ha ripercorso la vicenda nazionale in una nuova ponderosa Storia d´Italia (Einaudi, pp. 551, 38 euro), dall´Unità del 1861 ai giorni nostri (2016), lungo quello che nel sottotitolo è definito Il cammino tormentato di una nazione. «Chi osservi l'Italia dei nostri giorni, a oltre un secolo e mezzo dal conseguimento della sua unità nazionale - scrive Salvadori - non fatica a notare come il Paese si trovi ancora a fare i conti con tutta una serie di grandi e irrisolti problemi che già si presentavano nel 1861: l'accentuata divaricazione economica e sociale tra il Nord e il Sud; il ridotto consenso popolare alle classi dirigenti che sono andate a mano a mano succedendosi; una costante elevata conflittualità politica e sociale periodicamente culminata in momenti di grande asprezza; la presenza di un'articolata rete di organizzazioni criminali»; un certo ritardo rispetto ad altri stati democratico-liberali più avanzati sul piano dei diritti civili. Questi fattori di continuità hanno resistito anche di fronte a «profonde discontinuità», che hanno riguardato innanzitutto il succedersi di tipi di stato e di regimi politici molto diversi tra loro per caratteristiche sia politiche che istituzionali: liberale, fascista (entrambi monarchici) e democratico (repubblicano). In un contesto e con metodi non equiparabili tra loro - specie per quanto riguarda la dittatura fascista rispetto agli altri due - è un fatto ricorrente che sotto tutti e tre i tipi di Stato in questione c'è stata una tendenza da parte delle forze di governo a considerare quelle d'opposizione delle pericolose forze anti-sistema, addirittura anti-Stato. «Conseguenza è stata - osserva Salvadori - che per oltre cent'anni i sistemi politici hanno protratto la propria esistenza in una condizione di "eccezionalità"», dalla quale è derivata per i maggiori partiti di opposizione una conventio ad excludendum dalla possibilità di accedere alla guida del Paese (estendendo anche alle alte epoche la definizione usata per definire la condizione del Partito comunista negli anni della Guerra fredda, quando la guida del paese era saldamente in mano alla Democrazia cristiana). «L'impossibilità tra il 1861 e il 1994 - prosegue l'analisi dello storico dell'Università di Torino - di dare vita in Italia a una normale dialettica tra opposti schieramenti ha fatto sì che tutti i blocchi di potere che si sono succeduti, quando nel Paese la conflittualità ha raggiunto livelli tali da sfuggire alla capacitò di controllo delle forze di governo, sono andati incontro al loro dissolvimento nella forma, nei casi dello Stato liberale e dello Stato fascista, della caduta dei rispettivi regimi, in quello della cosiddetta Prima Repubblica, del crollo del sistema dei partiti al potere a partire dal 1945. La crisi di sistema consumatosi nel 1992-94 si è differenziata dai casi precedenti per due aspetti di grande importanza: non ha provocato il crollo delle istituzioni democratico-liberali; e ha creato per la prima volta le condizioni dell'accesso alla guida del Paese di schieramenti in competizione». È in questi fattori e in queste dinamiche - segnate da una costante conflittualità ideologica, politica e sociale - che Salvadori individua i germi di un fenomeno per certi versi più accentuato in Italia rispetto ad altri paesi, di un minore attaccamento alle istituzioni e un indebolimento del sentimento di unità nazionale. Ciononostante l'Italia nel corso della sua storia è riuscita a progredire e lasciarsi alle spalle l'iniziale arretratezza civile, sociale ed economica, riducendo il considerevole gap che al momento dell¿unificazione la separavano dal resto d'Europa. È diventata un paese moderno, con un'economia avanzata e settori di assoluta eccellenza. La sua storia - è la conclusione del ragionamento di Salvadori nella premessa della sua Storia d'Italia - ora va necessariamente letta di pari passo con quella dell'Unione europea, di cui è uno dei paesi fondatori, che a sua volta si trova a dover affrontare questioni profonde non ancora risolte come una compiuta e reale unificazione.