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Il miglior servizio? È invisibile. La sfida è accompagnare l'esperienza dell'utente senza attrito

Il miglior servizio? È invisibile. La sfida è accompagnare l'esperienza dell'utente senza attrito
Federico Gennari Santori*
20 Apr 23
#vision #opinione

Vi è mai successo di rinunciare a un acquisto online? Di aspettare infiniti secondi per il caricamento di una schermata? O vedere una home page come un labirinto? Certamente sì. Sono quegli attriti che rallentano le nostre attività digitali e che ogni buon sito o app dovrebbe rimuovere per facilitare la vita agli utenti ed espandere il business. Un mantra che attraversa l'hi-tech e si riassume in una parola: frictionless, ossia senza attriti". Da anni su di essa si scontrano chi vede soltanto il funnel e chi, invece, denuncia una semplicità eccessiva colpevole di averci rincretinito. E il risultato di questa bagarre tra venditori e post-luddisti, che spazia dal marketing alla filosofia, è una gran confusione. Se nel 1995 Bill Gates parlò genericamente di "frictionless capitalism", trent'anni dopo ha senso perimetrare tanto il concetto quanto il dibattito. Quando oggi sentiamo usare l'aggettivo frictionless, il soggetto sottinteso è user experience (UX), ovvero l'esperienza di un utente nel mondo digitale, che dipende da struttura delle interfacce, articolazione dei processi ed efficacia dell'interazione. L'idea è che qualsiasi e-friction non necessaria, che complichi il compimento dell'azione desiderata dall'utente, deve essere eliminata. Siamo alla versione 2.0 di un principio antico del design, che già nel 1988 l'ingegnere Donald Norman professava nel libro cult La caffettiera del masochista, edito da Giunti. All'epoca la corsa a questo tipo di semplificazione portò al successo i primi colossi del software - tra questi Microsoft e Apple in testa - a cui sono seguiti tutti gli altri. "The best service is no service", rispose Bill Price, ex vicepresidente di Amazon, quando Jeff Bezos gli chiese, prima di assumerlo, quale fosse la sua ricetta per il servizio clienti. Era il 1999, quella frase è diventata un libro e in essa c'è una dottrina che chiunque, soprattutto nell'e-commerce, oggi cerca di seguire. "Non importa che tipo di attività hai. I clienti desiderano che le cose siano facili. E se non le rendi tali, qualcun altro lo farà", ha detto Price in un'intervista

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I rivenditori online hanno perso 260 miliardi di dollari di ordini in un anno a causa del flusso di pagamento e del design

Il necessario cambio di paradigma 
Nei rispettivi settori - Google, Facebook, PayPal, Spotify, Netflix, Uber, Deliveroo, Revolut e gli altri - si sono via via imposti grazie a intuitività, semplicità e rapidità dei loro servizi. La strada è segnata, perché Milliseconds Make Millions. È questo il titolo emblematico di uno studio commissionato da Google nel 2020. In esso Deloitte ha stimato che migliorare i tempi di caricamento di 0,1 secondi può far crescere gli acquisti del 4%. Così, da giugno 2021 il motore di ricerca ha introdotto degli indicatori che misurano la qualità della user experience offerta da una pagina web: i Core Web Vitals concorrono a stabilire quanto un sito potrà posizionarsi in alto tra i risultati.

La maggior parte della potenza dei computer è utilizzata nel tentativo di far dimenticare i computer

Se volete essere visti dagli utenti, è il principio, ora dovete trattarli bene. Un cambio di paradigma. E una spinta per accompagnare tutti gli attori verso un miglioramento. Anche perché la strada, per quanto segnata, è ancora lunga. Il Baymard Institute, autorità nel campo della UX, stima che i rivenditori online in Stati Uniti e Europa hanno perso circa 260 miliardi di dollari di ordini in un anno a causa del flusso di pagamento e del design. E secondo SAS solo il 40% dei responsabili marketing in Europa, Africa e Medio Oriente crede che la propria azienda sia in grado di fidelizzare i clienti. In fondo non è così semplice come sembra.

Coscienza e incoscienza
Se il digitale in sé stia affievolendo le nostre facoltà, ne stia sviluppando di nuove o entrambe le cose è un discorso ampio. Restringendo il campo alla frictionless experience, è certo che negli utenti ci sia una perdita di consapevolezza. Quanto sappiamo della complessità di un e-commerce? Abbiamo idea del perché una pagina web impiega tempo a caricarsi? Sappiamo come funziona internet?
In Digital Folkore i teorici dei media Olia Lialina e Dragan Espenschied hanno scritto che la maggior parte della potenza dei computer è utilizzata nel tentativo di far dimenticare i computer. Rincara la dose un recente testo di Jakko Kemper dell'Università di Amsterdam: "Da un lato, l'esperienza dell'utente è informata direttamente da una vasta infrastruttura. Dall'altro, all'utente viene sempre più impedito, attraverso la feticizzazione della tecnologia frictionless, di conoscere questa infrastruttura". La perdita di consapevolezza, oltre ai meccanismi di un servizio, può riguardare i suoi scopi e le sue implicazioni, con rischi concreti. 

Nel mondo fintech, per esempio, un procedimento troppo semplificato potrebbe non far comprendere quanto l'acquisto di azioni possa incidere sul patrimonio. Allo stesso modo, potrebbe distogliere dalle modalità di trattamento dei dati. Quindi? Chiunque voglia lanciare servizi digitali ed essere competitivo sui mercati non può esimersi dall'essere frictionless. Il punto è che c'è modo e modo di farlo. Secondo Gartner "la fedeltà dei clienti dipende dalla facilità con fanno affari con te. È allora che ti restituiranno il servizio con attività reiterate". E gli affari sono reciprocamente tali se fatti con consapevolezza. Per questo la rapidità non va evitata, ma accompagnata da avvisi che guidino l'utente nel percorso che sta facendo. Il risultato sarebbe una user experience positiva nel qui e ora, e anche in prospettiva. Un caso interessante è quello di Twitter, che anni fa introdusse una finestra per chiedere all'utente se avesse letto il contenuto di un link prima di ricondividerlo. Qualcosa di simile hanno fatto i mille pop-up (spesso poco user-friendly) che dall'introduzione della normativa GDPR ci informano sull'utilizzo dei cookie. La user experience va oltre l'acquisto e andrebbe vista a 360 gradi: le aziende devono farci comprare ma anche assisterci. Sappiamo quanto contattare un servizio clienti sia troppo spesso un'impresa. Contributi significativi nel contenimento degli effetti negativi del frictionless potranno svilupparsi in due ambiti. Il primo è l'avanzamento tecnologico nel campo dell'intelligenza artificiale, che seguendo l'utente nel suo percorso potrà consigliarlo su come muoversi al meglio tra interfacce e flussi, e avvisarlo su eventuali controindicazioni. Il secondo è invece la politica, che ha la responsabilità di stare al passo della tecnologia e dare, ove mancanti o insufficienti, delle regole per garantire i consumatori, promuovendo al tempo stesso l'educazione digitale. Il tutto senza cedere a posizioni retrograde né positiviste, e sapendo che, come la storia recente della tecnologia ci dimostra, molto probabilmente la rimozione di un attrito comporterà la manifestazione di un nuovo attrito. Teniamolo a mente.

 

* Federico Gennari Santori è giornalista specializzato in tecnologie, ha collaborato con Wired, Corriere della Sera, Fortune, Rivista Studio. Si occupa di web marketing, oggi come Head of SEO in Jakala, e insegna Brand Journalism presso la Digital Combat Academy.