Percorso 4 Finanza sostenibile - Il problema dell'inquinamento generato dai bitcoin

Percorso 4 Finanza sostenibile - Il problema dell'inquinamento generato dai bitcoin
Finanza sostenibile, un percorso per Clienti Premium
15 Jun 21

È dal 2017 che periodicamente si parla ovunque dei bitcoin, la prima e più famosa criptovaluta del mondo. Quell'anno il valore di un bitcoin raggiunse il suo massimo storico - quasi ventimila dollari - e nonostante i cali successivi negli ultimi mesi il suo valore è tornato a crescere, e così l'attenzione pubblica sulla moneta. In particolare, una delle cose di cui si parla di più è l'inquinamento generato dai bitcoin. Può sembrare strano, visto che si tratta di una moneta digitale e immateriale, ma produrre i bitcoin richiede enormi quantità di energia: e visto che uno dei paesi dove si producono più bitcoin è la Cina, quell'energia è spesso prodotta da centrali elettriche a carbone, molto inquinanti.

Da dove arrivano i bitcoin

Per capire il problema di sostenibilità ambientale dei bitcoin bisogna partire dal modo in cui vengono prodotti, la cosiddetta attività di mining. Perché un bitcoin venga prodotto, un computer deve risolvere un problema crittografico di una certa complessità: se ci riesce, ottiene un bitcoin. La grande complessità di calcolo necessaria per risolvere i problemi e il fatto che ci sia competizione per risolverli (visto il grande valore dei bitcoin) ha fatto però sì che nel tempo solo computer molto potenti diventassero adatti alla produzione di bitcoin. E computer molto potenti vuole dire molti processori, molte ventole per raffreddarli e quindi moltissima energia elettrica.

Sapere con esattezza quanta energia elettrica viene utilizzata per le attività di mining è complicato, ma il Centro per la finanza alternativa dell'Università di Cambridge ha stimato che le attività di estrazione richiedono circa centodieci terawattora all'anno: se fosse una nazione, sarebbe circa la trentesima al mondo per consumo di energia elettrica, al pari dei Paesi Bassi.

I bitcoin in Cina

Vista la grande quantità di energia elettrica richiesta, le attività di mining tendono ad essere più convenienti in paesi dove il costo dell'energia elettrica è più basso. Anche in questo caso è difficile avere informazioni precise - perché le "fabbriche di bitcoin" operano praticamente in un regime di segretezza - ma l'Università di Cambridge, che mantiene l'Indice di consumo di energia elettrica dei bitcoin (CBECI), ha stimato che nel 2019 il sessantacinque per cento dell'energia impiegata per estrarre bitcoin era consumata in Cina. In particolare, le regioni dove l'estrazione è più praticata sono lo Xinjiang e la Mongolia Interna nel nord del paese, mentre al sud il Sichuan e lo Yunnan. Solo nello Xinjiang verrebbero prodotti il venti per cento dei nuovi bitcoin in tutto il mondo.

La conseguenza più importante del fatto che i bitcoin siano prodotti in Cina è quindi l'alto costo ambientale, misurato in termini di emissioni di gas serra - cioè i principali responsabili del cambiamento climatico. Il sessanta per cento dell'energia prodotta in Cina, infatti, proviene dalla combustione di carbone - il più inquinante tra i combustibili fossili - e la maggior parte delle centrali a carbone si trova proprio nelle regioni in cui è concentrata la produzione di bitcoin.

Secondo una stima del giornale Joule riferita a novembre 2018, l'estrazione di bitcoin produrrebbe tra le ventidue e le ventitré milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Un altro studio su Nature Sustainability (che afferisce alla prestigiosa rivista Nature) ha stimato tra i tre e i quindici milioni di tonnellate di anidride carbonica emesse per tutte le criptovalute, tra il 2016 e il 2018. L'indice dei consumi di energia elettrica dei bitcoin prodotto da Digiconomist stima emissioni per cinquantanove milioni di tonnellate l'anno.

Bisogna concludere che i bitcoin siano sempre un problema ambientale?

Ci sono però altre questioni da considerare quando si parla di mining bitcoin. La prima è che ogni stima sul suo impatto ambientale si riferisce a un certo periodo di produzione della moneta. Ci sono momenti in cui la produzione è maggiore in paesi che usano una quota maggiore di energie rinnovabili, e questo da solo può cambiare l'impatto dei bitcoin in termini di produzione di CO2.

Date queste difficoltà, spiega l'Harvard Business Review, non possiamo pensare che il consumo di energia elettrica sia direttamente proporzionale alle emissioni.

Inoltre, bisogna anche tenere conto che in certi casi il mining permette di sfruttare pienamente l'energia prodotta dalle centrali idroelettriche, che altrimenti nei periodi in cui la produzione è molto superiore alla domanda non verrebbe utilizzata. In altre parole, dato che i bitcoin vengono estratti costantemente, permettono di arginare in parte gli sprechi dovuti all'intermittenza dell'energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Visto che le attuali batterie non permettono di immagazzinare e conservare l'energia prodotta in eccesso in maniera sufficiente, l'estrazione di bitcoin rappresenterebbe un impiego più remunerativo per queste risorse.

La conclusione dell'Harvard Business Review è che le preoccupazioni ambientali legate ai bitcoin sono «esagerate o basate su assunzioni scorrette». L'impatto ambientale del mining è reale, «ma meno allarmante di quello che pensiamo». Sicuramente l'estrazione di criptovalute potrebbe rivelarsi utile per affrontare la fornitura intermittente di energia rinnovabile, ad esempio quando l'energia solare diventerà molto più diffusa, come potrebbe già esserlo anche già in paesi come l'Islanda che sfruttano l'energia geotermica. In questo modo, insomma, si potrebbero ridurre gli sprechi.

Il punto è che l'estrazione dipende ancora molto dai combustibili fossili, come molte altre industrie. Verosimilmente, l'estrazione di criptovalute non si fermerà: quello che si deve fare è spingere le comunità di miner a riconoscere il loro impatto ambientale e intervenire per ridurlo, «dimostrando che il valore sociale dei bitcoin vale le risorse per sostenerlo». È quello che sta facendo Ethereum, la piattaforma che controlla ether, la seconda criptovaluta più quotata al mondo: la piattaforma modificherà i processi di estrazione in modo da ridurre i consumi energetici di circa il 99,95 per cento. Al momento, però, non si stanno discutendo simili cambiamenti per i bitcoin.