Percorso 3 Mutui - I mutui a tasso negativo in Danimarca

Percorso 3 Mutui - I mutui a tasso negativo in Danimarca
Mutui, un percorso per Clienti Premium
29 Apr 21

Nel 2019, la banca commerciale danese Jyske Bank ha lanciato il primo mutuo a tasso di interesse negativo al mondo: -0,5 percento fisso su un prestito a dieci anni. «Sì, hai capito bene», dice Jyske Bank per spiegare l'iniziativa sul suo sito: mutui i cui tassi di interesse fanno diminuire il capitale da restituire, invece che farlo aumentare. «Se leggi un vecchio manuale di bilancio questo sembrerà quasi assurdo», spiega un immobiliarista della Jyske Bank, ma negli ultimi anni i mutui a tasso negativo sul mercato danese sono aumentati: persino nel 2021, con una crisi economica e una pandemia che ha depresso i consumi, come riporta Bloomberg, si sono diffusi anche tra gli altri gruppi bancari.


È una cosa controintuitiva: i tassi di interesse sono generalmente considerati il "costo" che chi ottiene un prestito paga in cambio di quel prestito: chi presta denaro, infatti, si prende un rischio e per quel rischio vuole essere compensato. Come è possibile allora che una banca decida di fare l'opposto, di fatto "pagando" chi ottiene un prestito? Per capirlo bisogna fare alcuni passi indietro, tornando alla crisi economica iniziata nel 2008.


Semplificando molto, l'esistenza dei mutui a tasso negativo è stata resa possibili dalle decisioni di politica monetaria delle autorità bancarie di tutto il mondo, messe in atto per far fronte alla Grande Recessione del 2008. Nell'Unione Europea, poi, la situazione era ancora più delicata, perché alla crisi del 2008 e al fallimento della Grecia era seguita la cosiddetta crisi dei debiti sovrani: si era cioè diffuso il timore che anche altri paesi con un debito particolarmente alto, come l'Italia e la Spagna, potessero fare default. 


Per evitare rischi a tutta l'economia europea, la Banca Centrale Europea, allora presieduta da Mario Draghi, avviò a una serie di interventi con lo scopo di salvaguardare la stabilità dell'Eurozona. Oltre al programma di acquisto dei titoli di stato dei paesi dell'Eurozona (il cosiddetto quantitative easing), per sostenere l'economia dei paesi europei nel  2014 la BCE rese negativi i tassi di interesse sui suoi depositi. Lo stesso, poco prima, aveva fatto la banca centrale danese, paese che non ha adottato l'euro ma la cui moneta la corona danese è legata all'andamento dell'euro.


La BCE, come le banche centrali in generale, infatti, si comportano da "banca delle banche": le banche commerciali hanno dei conti presso le rispettive banche centrali, dalle quali possono anche ottenere dei prestiti. Se i tassi di deposito sono negativi, però, lasciare capitali sui conti delle banche centrali smette di essere conveniente e le banche commerciali sono quindi incentivate a prendere quei capitali e investirli altrove. A cascata, gli interessi negativi rendono meno conveniente anche per i cittadini lasciare i capitali sui loro conti corrente: così anche loro ,almeno in teoria, sono incentivati a usare o investire il loro denaro invece che depositarlo. È quello che le banche danesi, a partire da Jyske Bank, hanno fatto negli ultimi anni, attirando ovviamente l'attenzione dei ricercatori per capire che effetti ha prodotto.


Dal 2012 in Danimarca non c'è mai stato un momento in cui i tassi di riferimento siano stati positivi. Prima dell'inizio della pandemia sembrava che le autorità bancarie europee avrebbero iniziato un graduale ritorno a una situazione "normale", ma oggi è chiaro che i tassi negativi resteranno la norma per diversi anni a venire. 


In un articolo pubblicato su VoxEU, un autorevole blog e frequentato dai maggiori studiosi di economia europei, tre importanti ricercatori della banca centrale danese hanno riassunto gli effetti dei tassi di interesse negativi sull'economia del paese. Secondo la loro analisi, i tassi negativi sui depositi presso le banche commerciali sono diventati quasi la norma: «Non si tratta più di un fenomeno esotico riservato alle imprese più grandi». A febbraio 2020, «tre quarti dei depositi delle aziende non finanziarie erano soggetti a tassi di interesse negativi», mentre la percentuale è persino più alta per le imprese che operano nel settore finanziario (come i fondi di investimento). Inoltre, «verso la fine del 2019, le banche danesi hanno iniziato a trasmettere i tassi negativi ai depositi delle famiglie»: in alcune banche, i depositi privati sopra i trentacinquemila euro sono soggetti a un tasso di interesse negativo. Prima della pandemia, ad esempio, la banca danese Nordea aveva un tasso di interesse negativo dello 0,75 per i depositi sopra le 750mila corone danesi (circa centomila euro): oggi la soglia è diventata un terzo.


Si tratta di un fenomeno che si sta diffondendo sempre di più in Europa: persino in Germania, come racconta il Wall Street Journal. Dopotutto, le banche commerciali tendenzialmente depositano molti dei risparmi dei loro clienti presso la banca centrale: se il livello di risparmi aumenta, le banche dovranno pagare un interesse maggiore sui loro depositi. Prima della pandemia i tassi negativi non erano stati un problema, perché l'economia riusciva ad assorbire la liquidità in eccesso, ma oggi lo scenario è diverso: perché i lockdown nazionali e la crisi hanno provocato un aumento senza precedenti dei risparmi privati. Deutsche Bank, ad esempio, ha un tasso negativo per i depositi superiori ai centomila euro, ma è solo una delle tante banche tedesche a farlo: prima della pandemia erano poco meno di sessanta, oggi sono quasi quattro volte tanto.


Per via dei tassi negativi sui depositi, i correntisti stanno cercando alternative: aprire un conto di risparmio, per esempio, è una di queste. Anche investire è preferibile, perché dopotutto anche un tasso molto basso è sempre meglio di pagare gli interessi sui depositi. Ma questa situazione ha anche creato degli incentivi inaspettati: come spiega lo studio dei ricercatori danesi, «quando una banca introduce interessi negativi sui depositi di un'azienda non finanziaria, l'azienda risponde sia aumentando i suoi investimenti sia con nuove assunzioni». Questo, conclude l'analisi, è un segno che la politica monetaria della banca centrale in questi anni si è trasmessa con successo all'economia reale, sostenendo la ripresa.


Tra gli economisti, comunque, non esiste un chiaro consenso sull'analisi costi-benefici di politiche monetarie incentrate sugli interessi negativi: ad esempio, i professori Fredrik Andersson e Lars Jonung hanno sostenuto in altro un intervento su VoxEU che per la Svezia ,un altro paese che ha adottato interessi negativi, il bilancio non sia stato positivo. Se prestare denaro diventasse un costo troppo elevato, infatti, in teoria le banche potrebbero smettere di farlo e i correntisti potrebbero preferire abbandonare i loro conti correnti, lasciando le banche senza liquidità e creando altri grossi problemi economici. 


Si tratta della cosiddetta trappola della liquidità: un circolo vizioso teorizzato da John Maynard Keynes, importantissimo economista del primo Novecento. Nella trappola della liquidità, in poche parole, tenere denaro contante o investirlo non fa differenza, perché i tassi di interesse sono nulli. Questo significa anche che la banca centrale diventa impotente, perché abbassare i tassi di interesse non sortisce alcun effetto e, di conseguenza, i prestiti si riducono ulteriormente, peggiorando la crisi. 


Evidentemente, però, concludono alcuni economisti odierni, sembra che il limite inferiore dei tassi prima che si entri nella trappola della liquidità non sia effettivamente zero, ma ancora più basso. In un intervento molto dettagliato sul World Economic Forum, Signe Krogstrup (allora analista del Fondo Monetario Internazionale e ora economista responsabile della politica monetaria della banca centrale danese) aveva spiegato che a oggi non sappiamo ancora quale possa essere il vero limite inferiore per i tassi negativi. Ci troviamo in terreni sostanzialmente inesplorati, anche perché i tassi negativi resteranno ancora per diversi anni, e questo costringerà economisti, accademici e analisti a rivedere i loro modelli.


Le banche centrali, infatti, non hanno perso il controllo sui tassi di interesse. Al contrario, la BCE è stata in grado di promuovere una risposta ancora più decisa in seguito alla crisi economica legata alla pandemia da COVID-19: il Pandemic Emergency Purchase Programme, o PEPP, che a oggi prevede un piano di acquisto titoli per 1850 miliardi di euro fino ad almeno marzo 2022. Non sappiamo ancora, però, che cosa succederà se questa condizione di tassi negativi dovesse durare ancora a lungo: tendenzialmente, infatti, è sempre stata pensata dagli economisti come una condizione temporanea per rilanciare la crescita in caso di crisi. Che cosa potrebbe succedere nei prossimi anni? Forse la Danimarca e i suoi prestiti a tasso zero ci possono dare un'idea.