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Percorso 1 - Risparmio Cosa sono i tassi di interesse

Percorso 1 - Risparmio Cosa sono i tassi di interesse
Risparmio, un percorso per Clienti Premium
03 Mar 21

Abbiamo tutti un'idea di che cosa sia l'interesse: quando prendiamo in prestito dei soldi, spesso ne dobbiamo restituire di più e quella differenza è quello che chiamiamo interesse. Se volessimo essere più precisi, diremmo che l'interesse è la differenza tra la somma da restituire (detta montante) e la somma presa in prestito (detta capitale iniziale). A fare ancora più i pignoli, anche se colloquialmente i due termini sono intercambiabili, c'è una differenza tra interesse e tasso di interesse: il tasso di interesse è il risultato della divisione tra l'interesse e il capitale iniziale (una regola utile è che se si parla di tassi ci sono sempre in ballo delle divisioni).

L'interpretazione più importante che si può dare della definizione di interesse è che rappresenta il costo di prendere in prestito una somma di denaro. Letteralmente, gli economisti dicono che il tasso di interesse è il "costo del denaro", o meglio il costo del servizio di prendere del denaro in prestito da qualcuno, solitamente una banca. Sembra poco, ma in realtà si tratta di una definizione molto densa, che ha tante implicazioni e porta con sé ancora più domande: in base a che criterio si fissano i tassi di interesse? Quali sono i tassi di interesse che ci interessano di più? Che cosa fa cambiare i tassi di interesse? Che ruolo hanno le istituzioni? Sono tutte domande molto grandi, ma le cui risposte hanno relazioni molto concrete con tante cose della nostra vita, da un piano di risparmio al mutuo per comprare casa.

Perché esistono i tassi di interesse e come vengono stabiliti
Prestare del denaro ha un costo: banalmente, perché prestare denaro implica rinunciare ai benefici che otterremmo impiegando il capitale in un altro modo (per esempio quello che guadagneremmo investendo in un fondo comune o in titoli di stato). Il tasso di interesse serve quindi a ripagare questo costo indiretto: in altre parole, si può pensare all'interesse come a una sorta di incentivo a prestare i soldi, che altrimenti si potrebbero impiegare in modo più proficuo in altre attività.

Questo è sostanzialmente il meccanismo che sta alla base dei tassi di interesse, ma ovviamente il discorso è più complesso di così. C'entra ovviamente la relazione tra la domanda e l'offerta di prestiti, ossia tra le persone che hanno bisogno di un prestito e chi è disposto a finanziarlo. Se più persone fanno richiesta di un prestito di quante ne sono disposte a concederlo, allora gli interessi aumentano, e viceversa. Ma questo mercato particolare, che si chiama mercato del credito, non è lasciato a se stesso: è regolamentato e monitorato attentamente da diverse autorità di vigilanza, che si occupano di promuovere una competizione quanto più ampia e corretta. Infine, la banca centrale di un paese o di un sistema di paesi può influenzare direttamente il livello dei tassi di interesse, con l'obiettivo di raggiungere un equilibrio in cui gli interessi siano abbastanza alti da incentivare gli investimenti e sufficientemente bassi per renderli convenienti e accessibili a più famiglie, imprese e istituti possibile.

Ci occuperemo più avanti in dettaglio di questo aspetto, ma per ora fermiamoci a una conclusione centrale per questo discorso: i tassi di interesse, come i prezzi di tutti i beni, reagiscono alla domanda e all'offerta. Ma c'è di più: i tassi di interesse di obbligazioni diverse (come i prestiti bancari e i titoli di stato) si influenzano tra di loro. Per fare un esempio più quotidiano: se il prezzo del burro diminuisce, più persone lo compreranno, smettendo di comprare la margarina (il cui prezzo calerà quasi sicuramente in un secondo momento). Questo discorso si applica esattamente alle obbligazioni: se i rendimenti dei titoli di stato crescono, ci saranno degli effetti anche sugli interessi dei mutui.

Questo succede perché se i rendimenti dei titoli di stato crescono, allora chi investe preferirà usare i suoi risparmi per comprare i buoni del tesoro di quel paese, disinvestendoli da altri titoli che ha comprato. I gestori dei fondi pensione, per esempio, potrebbero vendere delle azioni particolarmente volatili o a basso rendimento e aumentare la porzione di titoli di stato in cui hanno investito, per assicurare ai loro investitori dei rendimenti più stabili o più alti. Lo stesso vale per le banche, che improvvisamente trovano più vantaggioso impiegare i loro depositi nei titoli di stato e non nei prestiti alle aziende o ad altre banche. Di conseguenza, concedono meno prestiti e, visto che c'è un'offerta minore di prestiti, i tassi di interesse aumentano.

I tassi di interesse, il rischio e l'inflazione
Ci sono altri due aspetti che contribuiscono a determinare il valore dei tassi di interesse. Il primo è il rischio, cioè la probabilità che la persona a cui prestiamo i soldi non ce li restituisca. Ci aspettiamo quindi che più il rischio è alto e più l'interesse richiesto sarà alto. Potremmo spiegare questa relazione con una semplice formula matematica, ma non è davvero necessario. Diciamo che il ragionamento che sta dietro è che maggiore è il rischio che corriamo e più grandi sono le garanzie che vogliamo, cioè le prospettive di guadagno per quel prestito. In altre parole: di fronte a due prestiti con la stessa durata e lo stesso tasso di interesse, ma con due gradi di rischio diversi, quale scegliereste di finanziare? La risposta è ovvia: quello meno rischioso. Ma se il tasso di interesse del prestito più rischioso raddoppiasse, la scelta resterebbe sempre quella?

Lo stesso discorso si applica quando si considera la durata di un prestito: i prestiti con una scadenza più lunga sono associati a un interesse maggiore. La ragione è la stessa che abbiamo spiegato sopra: prestare un capitale significa rinunciare ad avere quei soldi a portata di mano per diverso tempo e usarli in altri modi. Il tasso di interesse più grande serve a compensare i mancati benefici di usare quel denaro in altro modo, o analogamente a rendere questo investimento competitivo come altri strumenti finanziari.

C'è poi un'altro fattore che influenza i tassi di interesse: l'inflazione. Per chi non avesse ancora letto il nostro glossario dell'economia, ecco un riassunto: le nostre spese essenziali di ogni anno cambiano, sia perché cambiano i prezzi sia perché cambiano le cose che compriamo (per esempio, nel 2020 le mascherine sono diventate dei beni essenziali, cioè una nuova voce di spesa per le famiglie). Questo aumento della spesa si chiama inflazione e significa che il denaro perde valore nel tempo: con mille euro oggi potrei non comprare le stesse cose tra uno, cinque o dieci anni. In altre parole, l'inflazione erode il potere di acquisto.

Poniamo di avere un'obbligazione da mille euro a scadenza un anno, con un tasso di interesse del due per cento. Il montante, dunque, ammonta a mille e venti euro. Questo, però, non significa che l'obbligazione produrrà un guadagno di 20 euro: tutto dipende dall'inflazione tra un anno e l'altro. Se l'inflazione fosse pari al due per cento, infatti, il guadagno si annullerebbe. Al contrario, se l'inflazione fosse inferiore al due per cento il guadagno sarebbe la differenza tra i due tassi.

Torna utile quindi separare questi due effetti, definendo come tasso di interesse nominale quello che viene concordato, mentre il tasso di interesse reale è quello che si ottiene sottraendo al tasso nominale il valore dell'inflazione. A volte alcuni strumenti finanziari offrono dei rendimenti reali e non nominali e cioè un interesse che ha due componenti: quella fissa (l'interesse reale) a cui viene aggiunta quella variabile dell'inflazione. In Italia, è il caso dei BTP Italia (titoli di stato poliennali indicizzati all'inflazione italiana) o dei BTP¿i (indicizzati all'inflazione europea).


Le banche centrali e i tassi di interesse di riferimento
Abbiamo visto che i tassi di interesse sono condizionati dalla durata di un prestito, dal rischio dell'operazione, dalle aspettative riguardo all'inflazione e anche dalle condizioni di domanda e offerta nel mercato del credito. Quando però vogliamo accendere un mutuo ci sono altri fattori che entrano in gioco, ad esempio la sua finalità (ad esempio se è per acquistare la prima o la seconda casa o per delle ristrutturazioni) e il piano di ammortamento, ossia il numero di anni in cui lo si vuole liquidare e la periodicità dei pagamenti. Solitamente, poi, le banche offrono due tipi di tassi di interesse (quelli fissi e quelli variabili) e addirittura offrono tanti tipi di mutui diversi: significa che stanno a calcolare esattamente tutte queste variabili e ad aggiornarle ogni giorno o ogni mese?

La risposta, ovviamente, è no: perché si tratterebbe di un lavoro molto oneroso e che ciascuna banca farebbe a modo suo con dei risultati molto differenti. Ancora una volta entrano in gioco le banche centrali, che stabiliscono dei tassi di interesse speciali, detti tassi di riferimento o reference rate o ancora benchmark rate. Le banche o le aziende o gli istituti finanziari che emettono dei titoli (non solo le obbligazioni, ma anche strumenti finanziari più complessi come i derivati) "agganciano" il loro valore a un tasso di riferimento e vi aggiungono una percentuale fissa (che può variare da istituto a istituto) detta spread.

A stabilire quali sono questi tassi di riferimento sono le autorità bancarie di un paese o di un sistema di paesi: nel caso dell'UE, si tratta della Banca Centrale Europea, o BCE. La BCE gestisce tre tassi di riferimento, ma riconosce anche degli altri tassi valutati da istituti indipendenti. I tassi di riferimento diventano così degli indicatori trasparenti, condivisi e utili per molte ragioni. Permettono di stabilire rapidamente tassi di interesse e rendimenti degli strumenti finanziari, di tenere conto delle oscillazioni del mercato dovute a come cambiano le condizioni economiche e quindi anche di stimare più precisamente le perdite e i guadagni delle proprie attività. Ma soprattutto i tassi di riferimento aiutano la banca centrale a misurare l'impatto delle sue politiche monetarie, o addirittura ad attuarle.

Che cosa fa una banca centrale?

Una banca centrale solitamente è solo un pezzo di un sistema di controllo di una valuta in un paese. Negli Stati Uniti, per esempio, questo compito è ricoperto dal Federal Reserve System, un sistema di dodici banche che operano in altrettanti distretti in cui è diviso il paese e che hanno la loro sede centrale a Washington. Con alcune differenze, la stessa cosa accade nell'UE: la Banca Centrale Europea e tutte le banche centrali nazionali si occupano della politica monetaria in tutta l'Unione. Nell'UE ci sono effettivamente due sistemi che convivono: il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), composto dalla BCE e da tutte le banche centrali degli stati membri, e l'Eurosistema, composto dalla BCE e da tutte le banche centrali dei paesi che adottano l'euro (che sono diciannove su ventisette).

Lo scopo di SEBC ed Eurosistema è lo stesso: garantire la stabilità dei prezzi, controllando la quantità di moneta in circolazione nell'UE. Questo obiettivo si traduce nel mantenere il livello di inflazione a livelli «inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo», cioè senza superare il due per cento e senza grandi oscillazioni del valore, sostenendo così le politiche promosse dai governi per la piena occupazione e la crescita economica dei paesi. Ma la BCE ha anche altri compiti, tra cui stampare gli euro, assicurare il funzionamento delle infrastrutture finanziarie digitali (cioè il funzionamento di pagamenti con le carte) e vigilare sul sistema bancario.

Per mantenere questo equilibrio, la BCE ha a disposizione due tipologie di strumenti: quelli convenzionali, che passano attraverso i tassi di interesse di riferimento, e quelli non convenzionali, che ha sviluppato negli anni Dieci del Duemila per far fronte alle crisi economiche che hanno colpito l'area euro. L'obiettivo di entrambe le categorie di strumenti è di regolare il tasso di interesse, ad esempio abbassandolo durante i periodi di crisi economica per rendere meno costosi i prestiti e contribuire alla ripartenza dell'economia stimolando gli investimenti. Senza scendere nel dettaglio, gli strumenti convenzionali consistono di fatto nel modificare i tassi di interesse di riferimento, che vedremo tra pochissimo.

Abbassare i tassi di interesse significa rendere gli investimenti meno remunerativi per chi presta i soldi e più convenienti per chi ha bisogno di denaro: da un lato, questo sembra "penalizzare" chi ha dei risparmi da investire, ma si tratta di misure temporanee che servono a sostenere un'economia durante una crisi, cioè quando l'incertezza è talmente grande da frenare gli investimenti. Queste operazioni non sono dei "giochi a somma zero", dove c'è qualcuno che vince (in questo caso, chi prende in prestito il denaro) e chi perde (i risparmiatori, che ricevono un interesse più basso): accelerando la ripartenza dell'economia, la politica monetaria consente di produrre più ricchezza e di tornare a un aumento degli interessi superata la crisi. La BCE, comunque, non si è limitata ad abbassare i tassi di riferimento: ha anche creato degli strumenti non convenzionali che sono stati introdotti progressivamente soprattutto grazie alla figura di Mario Draghi, presidente della Banca dal 2011 al 2019, che sono serviti anche a mitigare gli effetti della riduzione degli interessi.

Per cominciare, la BCE ha creato delle speciali linee di prestito per le banche, dalla durata di due tre o quattro anni, il cui tasso di interesse diventava sempre più conveniente in base al numero di prestiti che venivano concessi alle famiglie e alle aziende: i TLTRO (operazioni di rifinanziamento mirate a più lungo termine, o in inglese targeted longer term refinancing operations). L'ultima linea speciale, il TLTRO III, ha un tasso di interesse che può diventare negativo: letteralmente, le banche vengono pagate per concedere dei prestiti.

Tra gli strumenti non convenzionali più noti c'è il quantitative easing, un programma di acquisto dei titoli di stato detenuti dalle banche e dai fondi di investimento. La BCE ha comprato a prezzi molto vantaggiosi i titoli di stato a lunga scadenza che questi enti detenevano, permettendo loro di reinvestire il capitale che ricevevano. L'obiettivo di questi programmi è stato anche di ridurre gli interessi sui titoli di stato, permettendo di espandere il budget dei governi per finanziare misure rivolte alla crescita economica. Nella stessa direzione va il PEPP, il programma di acquisto titoli straordinario dovuto alla pandemia da COVID-19.

Quali sono i tassi di interesse di riferimento che ci interessano?
Ci abbiamo messo un po', ma finalmente abbiamo capito che cosa fa una banca centrale: con le sue politiche monetarie, agisce direttamente sui tassi di interesse di riferimento, provocando degli effetti a catena su tutti i tassi di interesse e di conseguenza sui mercati finanziari. La banca centrale riesce ad agire su molti strumenti sfruttando le loro interdipendenze, ma anche perché spesso gli strumenti finanziari (anche quelli più complessi) si "agganciano" ai tassi di interesse di riferimento. Ora vediamo di capire quali sono questi tassi di riferimento.

Possiamo dividere i tassi di riferimento in quelli che gestisce la BCE e quelli che invece sono calcolati da altri enti indipendenti. Della prima categoria fanno parte i tassi di interesse sui depositi, i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principale e quelli sulle operazioni di rifinanziamento marginale, che la BCE aggiorna ogni sei settimane. Per la seconda, invece, ce ne sono molti, ma quelli principali sono l'EURIBOR e l'EURIRS (o IRS).

Le riserve obbligatorie e il tasso di interesse sui depositi

Le banche commerciali sono tenute a conservare una porzione dei loro depositi sotto forma di riserve obbligatorie, per far fronte ad esempio a un aumento improvviso dei prelievi. È la BCE a determinare quale percentuale le banche devono detenere come riserva: a oggi è l'uno per cento di una serie di titoli che le banche detengono, tra cui i crediti deteriorati (in inglese, non-performing loans o NPL) cioè i debiti dei quali non sono pagate le rate o gli interessi per più di novanta giorni. La banca commerciale può impiegare la parte restante dove vuole: dandola in prestito a privati o ad altre banche, ad esempio, o detenendola sotto forma di depositi presso gli sportelli della banca centrale. La banca centrale è di fatto la banca delle banche e in quanto tale stabilisce i suoi tassi di interesse.

Solitamente, se il tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale è maggiore di zero, significa che le banche commerciali ricevono un pagamento per depositare altri risparmi. Dal 2014, però, questo tasso è negativo: in questo modo, la BCE incentiva le banche a prestare il denaro anziché lasciarlo alla banca centrale. A oggi, vale -0.5 per cento. Questo tasso di interesse si applica solo ai depositi delle banche commerciali presso la BCE: in altre parole, i risparmi sui nostri conti corrente non sono toccati.

Il tasso di rifinanziamento sulle operazioni principali e marginale
Si tratta dei tassi di interesse su dei prestiti che hanno una durata molto breve: per le operazioni principali sono sette giorni, mentre per quelle marginali di un giorno lavorativo (si chiamano anche overnight). La BCE in questo modo si offre di prestare denaro alle banche, allo stesso modo in cui chiediamo un mutuo alla nostra banca, e lo fa per evitare che le banche commerciali si concedano prestiti a vicenda anziché finanziare le attività dei privati. Attualmente, i tassi per le operazioni principali sono pari a zero, mentre per le operazioni marginali (quelle da un giorno) sono dello 0.25 per cento.


L'EURIBOR

L'EURIBOR è un tasso di riferimento amministrato dallo European Money Markets Institute (EMMI), un ente senza scopo di lucro con sede a Bruxelles. Si tratta di una tipologia di -IBOR, cioè Interbank Offered Rates: in altre parole, un tasso di riferimento basato sugli interessi che le banche chiedono ad altre banche per prestare denaro.

L'EURIBOR si calcola facendo una media dei tassi di interesse che le principali banche della zona euro praticano nel prestarsi soldi a vicenda. In realtà, ci sono cinque benchmark EURIBOR, calcolati sui prestiti a scadenza di una settimana, un mese, tre mesi, sei mesi e un anno. Si tratta di uno dei benchmark più utilizzati al mondo per indicizzare le attività finanziarie e ci interessa particolarmente perché è il tasso di riferimento usato per indicizzare i mutui a tasso variabile, cioè quelli in cui la rata periodica non è fissa. All'EURIBOR viene aggiunta una percentuale, detta spread, che si misura in punti base o in percentuale (un punto base, o pb, è pari allo 0.01 per cento).

L'EURIBOR settimanale è direttamente influenzato dai tassi di riferimento sulle operazioni principali stabiliti dalla BCE: non ci deve sorprendere, quindi, che sia negativo (attualmente vale circa lo -0.5 per cento, cioè mezzo punto in meno del tasso MRO della BCE). Scegliere un mutuo a tasso variabile significa scommettere sull'andamento dell'EURIBOR: si vince la scommessa (e si pagano interessi più bassi di quelli pattuiti) se l'EURIBOR cala. Ovviamente ci si espone anche al rischio contrario: pagare di più se l'EURIBOR cresce.

EuroSTR e EONIA

L'EONIA (Euro Overnight Index Average) è un altro benchmark rate calcolato da EMMI, che misura la media degli interessi dei prestiti interbancari overnight, cioè della durata di un giorno. Verrà sostituito completamente a partire dal 2022 dall'EuroSTR (o ESTER), lo Euro Short Term Rate (o tasso a breve termine dei prestiti in euro), che misura quanto costa a una banca prendere in prestito denaro overnight da un numero più grande di controparti: non solo banche, ma anche fondi del mercato monetario, fondi di investimento o fondi pensione e altri operatori finanziari, comprese le banche centrali. A differenza dell'Eonia, quindi, l'EuroSTR non misura solo i tassi dei prestiti interbancari, ed è calcolato direttamente dalla BCE.

L'EURIRS (o IRS)

È il benchmark usato per indicizzare i mutui a tasso fisso, cioè le cui rate non cambiano mai per tutta la durata del mutuo. I vantaggi di un mutuo a tasso fisso sono che la rata non varia: in cambio di questa sicurezza, gli spread applicati sono tendenzialmente più alti rispetto a quelli dei mutui a tasso variabile. Definire l'EURIRS è un po' più complicato, perché bisogna capire che cosa misura: le operazioni di interest rate swap (IRS, ossia scambi di tasso di interesse) tra gli istituti bancari dell'area euro. Quello che è importante sapere è che, come l'EURIBOR, l'EURIRS viene valutato quotidianamente sulle operazioni di swap tra uno e quarant'anni compiute dalle principali banche europee.

TAN e TAEG

TAN e TAEG sono altre due sigle di cui si sente parlare spesso, soprattutto nelle pubblicità dei finanziamenti. Non si tratta di tassi di riferimento, ma delle sigle che servono a valutare gli interessi nominali ed effettivi dei finanziamenti su base annua.

Il TAN è semplicemente il tasso annuo nominale, ossia gli interessi che si devono corrispondere ogni anno. Di solito si parla di TAN nel caso di interessi che non vengono corrisposti annualmente. Per esempio, corrispondere un interesse dell'uno per cento ogni sei mesi significa pagare un TAN del due per cento ogni anno. Il TAN serve insomma per confrontare i rendimenti nominali di titoli che maturano interessi in periodi diversi.

Il TAEG, invece, è il tasso annuo effettivo globale, ossia il TAN più tutte le altre spese, ad esempio commissioni, le imposte di bollo e l'apertura delle pratiche del prestito. Non si tratta di un tasso che si paga davvero, ma è piuttosto un indicatore "virtuale" di tutti i costi che si sosterrebbero per ogni anno di mutuo.

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