Percorso 2 - Investimenti Che cos'è il rischio?

Che cosa è il rischio?
Percorso 2 - Investimenti Che cos'è il rischio?
Investimenti, un percorso per Clienti Premium
24 Mar 21

Che cosa è il rischio?

Investire non serve semplicemente a "farci guadagnare dei soldi": al contrario, è importante stabilire i propri obiettivi e mettere a punto una strategia di investimento. Questo perché esistono strumenti finanziari di ogni sorta ed è importante conoscerli per scegliere quelli più adatti alle nostre esigenze. Per esempio, chi volesse assicurarsi una rendita complementare alla pensione, potrebbe ritenere più adatti i fondi pensione o le polizze assicurative sulla vita, mentre chi volesse speculare sull'andamento dei titoli potrebbe concentrarsi di più su titoli più volatili, come azioni e derivati.

Anche se scegliessimo gli strumenti più appropriati, però, dovremmo sempre fare i conti con la possibilità di perdere una parte o anche tutto il denaro che abbiamo investito: un po' come qualunque altra attività, infatti, anche gli investimenti non sono privi di rischio. Alcuni strumenti, poi, sono più rischiosi di altri. Valutare il grado di rischio di un investimento può essere complesso, anche per via di effetti imprevedibili o eventi con una portata più grande che possono condizionare interi settori industriali, o addirittura l'intera economia globale. Non esiste una formula magica per misurare il rischio che corriamo in ogni momento: possiamo però provare a interpretare correttamente certe caratteristiche dei prodotti finanziari e dell'andamento del mercato.

Rischi specifici e rischi sistematici
Solitamente, quando si parla di rischio ci si riferisce ai rischi legati a investire in azioni (o titoli di capitale) e obbligazioni (o titoli di debito). Non si tratta degli unici prodotti finanziari in circolazione, ma sono quelli con cui avremo a che fare più di frequente.

La differenza principale tra obbligazioni e azioni è che le prime ci rendono creditori dell'emittente (cioè di chi emette il titolo) mentre i secondi dei soci. Gli obbligazionisti ricevono un pagamento periodico di un interesse e, alla scadenza, ricevono indietro il capitale iniziale. Gli azionisti, invece, condividono il rischio dell'emittente: se le prestazioni dell'azienda sono peggiori di quanto atteso, potrebbero anche non ricevere i loro dividendi. In caso di fallimento, poi, gli azionisti sono gli ultimi a spartirsi la liquidazione degli asset dell'azienda, a differenza degli obbligazionisti. Insomma, le azioni sono più rischiose delle obbligazioni perché sono fondamentalmente diverse: avere delle azioni significa diventare proprietari di un pezzo dell'azienda, con tutti i diritti ma anche i rischi e le responsabilità.

Fatta questa precisazione, bisogna distinguere tra due grandi categorie di rischi: quelli specifici, legati alle caratteristiche dell'emittente o del settore di cui fa parte, detti anche rischi idiosincratici e quelli sistematici, che dipendono cioè dalle fluttuazioni del mercato e per questo motivo detti anche rischi di mercato. Un esempio di rischio sistematico è la pandemia da COVID-19, che ha coinvolto l'economia globale, mentre uno specifico è dato da come gli uragani negli Stati Uniti possano avere conseguenze per le compagnie petrolifere che operano nel Golfo del Messico o delle scarse precipitazioni possano ridurre la produttività del settore agricolo in una regione. Tra i rischi specifici ci sono anche i rischi emittenti, cioè quelli che dipendono dalla solidità finanziaria dell'azienda o dell'istituzione che emette i titoli: un'azienda o uno stato potrebbero avere più difficoltà a restituire un nuovo prestito se hanno già contratto debiti particolarmente onerosi o hanno dei ricavi volatili.

Misurare il rischio
Solitamente, per valutare il rischio emittente dei titoli si guarda a come cambia il loro prezzo nel corso del tempo: una riduzione del valore delle azioni indica spesso che le aspettative circa i profitti dell'azienda si sono ridotte. Allo stesso modo, più sono alti i tassi di interesse di un'obbligazione e più il prestito è rischioso. Ma guardare solo a questi indicatori non ci permette di osservare il quadro completo della situazione. Una crisi economica, per esempio, può far sì che i valori delle azioni di molte aziende si abbassino contemporaneamente, perché una recessione si traduce in una contrazione dei consumi e quindi dei ricavi. Al contrario, certe decisioni di politica monetaria delle banche centrali possono ridurre i tassi di interesse di moltissimi prestiti, senza però avere effetti sul loro grado di rischio. Queste condizioni rappresentano dei rischi sistematici o rischi di mercato, che per quanto riguarda le azioni si possono riconoscere dagli andamenti di indicatori aggregati, come gli indici azionari. Questi due indicatori si possono misurare attraverso diversi concetti della statistica e della finanza: deviazione standard, alfa e beta. La deviazione standard è quella più semplice da calcolare e misura la differenza tra i ritorni reali e quelli attesi (cioè quelli medi) di un asset. Più la deviazione standard è alta e maggiore saranno le fluttuazioni del valore di un titolo. L'alfa indica quanto un titolo ha fatto meglio o peggio rispetto a un indice di riferimento o al resto del mercato, mentre beta indica quanto un titolo è più o meno volatile rispetto al resto del mercato. Solitamente vogliamo che i nostri titoli abbiano un alfa il più alto possibile, mentre per beta dipende dallo scopo dei nostri investimenti. Un beta pari a uno, infatti, indica che il nostro asset si muove perdendo o acquistando valore esattamente come il mercato; se è inferiore a uno significa che è più indipendente e se è maggiore di uno che è particolarmente sensibile alle oscillazioni.

Altri tipi di rischio
Oltre ai rischi sistematici e specifici esistono i cosiddetti rischi di interesse, legati cioè alla variazione dei tassi di interesse e amplificati dalla durata dei titoli, mentre si parla di rischio di liquidità quando è difficile rivendere un prodotto finanziario e si va in perdita perché si è costretti a vendere il titolo a un prezzo minore di quello a cui lo si era acquistato. Il rischio di valuta, invece, indica la probabilità di perdere del denaro per via del cambiamento dei tassi di cambio di investimenti fatti con valute estere, ad esempio in dollari o yen per le azioni statunitensi o giapponesi. Questo ci porta a un altro tipologia di rischio: il rischio di credito, detto anche rischio di controparte o di insolvenza, cioè la situazione in cui il creditore non paghi le cedole o il capitale. Per misurare il rischio di credito si guarda a due indicatori: la probabilità attesa di fallimento dell'emittente o al rating delle agenzie. Il primo indica quanto è probabile che l'emittente faccia default; il secondo è un giudizio emesso da delle aziende specializzate nel valutare l'affidabilità di un debitore. Tra le agenzie più note ci sono sicuramente Moody's e Fitch.

Che cosa si può fare per mitigare il rischio?
Eliminare il rischio da un investimento è impossibile, perché investire significa fare delle previsioni (c'è chi direbbe "scommesse"): in altre parole, significa esporsi al rischio. Ci sono però molti modi attraverso i quali si può intervenire per ridurre la propria esposizione al rischio: conoscere gli strumenti finanziari e avere degli obiettivi chiari, ad esempio, sono ottimi punto di partenza, e diversificare è un altro aspetto essenziale. Ma non si deve dimenticare di valutare la propria propensione al rischio, ossia quanti rischi siamo in grado di assumerci.
Possiamo dire che la nostra tolleranza al rischio dipende da due componenti. La prima è quanto siamo avversi o predisposti al rischio per carattere, cioè quanto ci sentiamo effettivamente a nostro agio in situazioni di incertezza. La seconda (e per certi versi più importante) è la nostra situazione economica: perché se abbiamo più risparmi da parte o un reddito più alto possiamo assorbire meglio le perdite. Quando si investe è importante quindi riconoscere quanto le nostre pulsioni condizionano i nostri giudizi e, allo stesso modo, sapere quale livello di perdite saremo in grado di incorrere. Prima di investire, insomma, non solo dobbiamo conoscere gli strumenti della finanza e scegliere quelli più consoni ai nostri obiettivi, ma anche saper costruire e valutare il nostro profilo di rischio.

Non bisogna sottovalutare l'importanza del profilo di rischio, perché si tratta di un aspetto imprescindibile per chi desidera investire: letteralmente, molti servizi finanziari non possono essere nemmeno erogati se non viene fatto. In generale, poi, il profilo di rischio fa parte di una serie di diritti che sono stati sanciti dalle normative europee, assieme ad altrettanti doveri per le imprese finanziarie. Vediamo di capire quali sono queste leggi e che cosa contengono.

La direttiva MiFID e le leggi che ci tutelano
Dal 2018, qualsiasi impresa finanziaria che opera nell'Area Economica Europea deve rispettare la direttiva nota come MiFID II, ossia Markets in Financial Instruments Directive II (in italiano, direttiva relativa al mercato degli strumenti finanziari 2), introdotta per rendere i mercati finanziari più competitivi, aperti e trasparenti. La MiFID II è stata una risposta alla crisi del 2008 e ci riguarda almeno per quattro motivi: perché precisa quali aziende possono diventare intermediari finanziari, quali servizi possono offrire, che informazioni ci deve fornire e quali invece deve richiedere per categorizzare i rispettivi clienti. In questo modo possiamo riconoscere più facilmente gli intermediari di cui possiamo fidarci e instaurare una collaborazione per ridurre i rischi a cui andremo inevitabilmente incontro.
Assieme al MiFID, in Italia vige il Testo unico della finanza o TUF. Il TUF stabilisce che solo i soggetti dotati di una specifica autorizzazione, rilasciata dalla CONSOB (cioè la la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) o dalla Banca d'Italia, possono svolgere delle attività di intermediazione. Gli intermediari autorizzati sono elencati sul sito della CONSOB o della Banca d'Italia, se sono banche.

La CONSOB spiega esattamente anche quali attività possono essere svolte dalle imprese finanziarie. Sostanzialmente, possiamo dire che si dividono in due grosse categorie: svolgere richieste per noi (cioè fare esecuzione ordini) e gestire il nostro patrimonio o una sua parte. Anche se le attività di esecuzione ordine non richiedono alle aziende di stilare un profilo di rischio (ci arriviamo), per offrire questi servizi le imprese devono rispettare degli obblighi piuttosto dettagliati in termini di informazione del rischio.

Innanzitutto, per ogni strumento in cui permette di investire, l'azienda deve comunicare il rischio di perdita totale, le possibilità di oscillazione del prezzo, la sua liquidabilità (cioè quanto facilmente può essere venduto) e altri oneri relativi all'acquisto del titolo. Inoltre, gli intermediari devono spiegare ai clienti i costi dei servizi che offrono, specificando l'ammontare di ogni voce di spesa come le commissioni, gli oneri e le imposte. Devono inoltre presentare le modalità e la periodicità della rendicontazione, cioè i documenti che spiegano come stanno andando i nostri investimenti, e le procedure di conciliazione o di arbitrato in caso di controversie legali.

Il profilo di rischio

A seconda del tipo di servizio finanziario di cui abbiamo bisogno, il MiFID sancisce l'obbligo da parte delle aziende di classificare i propri clienti a seconda della loro tolleranza al rischio. Questo passaggio è fondamentale, perché i consulenti finanziari sono tenuti a proporre ai clienti solo investimenti in linea con quel profilo. Come spiega la CONSOB, ci sono sostanzialmente due classificazioni: il cliente professionista e il cliente al dettaglio (o cliente retail). Venire ascritti a una categoria piuttosto che a un'altra significa sostanzialmente poter comprare più o meno strumenti e avere forme di tutela diverse (ad esempio sotto forma di comunicazioni e aggiornamenti sui propri prodotti finanziari). Solitamente, spiega CONSOB, «tra i clienti professionali rientrano le banche, i governi, i fondi pensionistici, le grandi società e, in via eccezionale, alcune persone fisiche».

Più precisamente, la MiFID stabilisce che è richiesto raccogliere due tipi di informazioni. Il primo è quello legato al grado di appropriatezza (in inglese, appropriateness) di uno strumento finanziario. La CONSOB spiega che:

Per valutare l'appropriatezza, l'intermediario deve chiedere al cliente informazioni riguardanti, esclusivamente, la sua conoscenza ed esperienza circa il tipo di strumento o servizio proposto o richiesto. Più precisamente, deve chiedergli quali sono i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali ha dimestichezza, la natura, la dimensione e la frequenza delle operazioni finanziarie realizzate in passato, il livello di istruzione e la professione svolta.

Il secondo tipo di valutazione viene fatta sul grado di adeguatezza (in inglese suitability), ossia quanto i prodotti finanziari proposti sono in linea con tre fattori: la capacità di un cliente di sostenere perdite legate agli investimenti, i suoi «obiettivi finanziari» e la sua tolleranza al rischio.

Concretamente, l'obbligo per le imprese finanziarie si traduce nel raccogliere queste informazioni dai clienti, ad esempio con dei questionari.

La CONSOB consiglia senza mezzi termini di fornire tutte le informazioni  e di diffidare dagli intermediari finanziari che non svolgano o sminuiscano l'importanza di questa procedura. Inoltre, i clienti possono chiedere in qualsiasi momento di visionare e aggiornare il proprio profilo. Se i clienti si rifiutano di fornire queste informazioni, gli intermediari non possono concedere il servizio: non possono nemmeno offrire consulenze.

Il MiFID stabilisce però alcune eccezioni: non sono tenute a stilare un profilo di rischio quelle aziende che forniscono servizi legati solamente «all'esecuzione, ricezione o trasmissione degli ordini dei clienti». Si tratta della distinzione tra le due grandi categorie di servizi finanziari che abbiamo accennato prima: i servizi di mera esecuzione non prevedono che l'intermediario raccolga informazioni sui clienti.